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Le Giornate di Modena

pnj
Danitheripper scivolava dolcemente verso l’oblio, sentiva i pensieri spegnersi, il dolore, quello fisico, aveva cessato di travolgerla da tempo, e adesso anche quel malessere che la nostalgia iniziava a recare scorreva via. Via verso la morte, quella vera, quella per sempre …

Adesso che il comune sentire era cessato e che i pensieri si erano saziati ed avevano quasi cessato di catapultarsi nel cervello, Danitheripper iniziò ad avvertire la pesantezza delle proprie palpebre, qualcosa di reale, una finestra verso il mondo che chiedeva solo di essere spalancata. Ma erano pesanti quelle palpebre, come le braccia di un contadino quando il tramonto viene ad annunziargli che il suo lavoro è finito.

Gli occhi chiedevano di aprirsi perché le orecchie invocavano che il folle tacesse. Quella voce acuta e sempre uguale a se stessa. Coglieva qualche parola qua e là, sentiva un significato che voleva essere svelato, ma lei invocava solamente il silenzio.


“Era un anno fertile per il grano ... Nei giorni dei grandi temporali il cielo era rosso … ci sarà la guerra ... nessuno fece nulla ... perché non ne restasse nessuna … è raccomandabile piangere ... non c'è mai molto tempo a disposizione"

“Ti svelerò un segreto, una cosa che non insegnano. Gli dei ci invidiano. Ci invidiano perché siamo mortali, perché ogni momento può essere l'ultimo per noi, ogni cosa è più bella per i condannati a morte .. E tu non sarai mai più bella di quanto sei ora! Questo momento non tornerà”.

Tergesteo … era lui adesso, prima un folle poi la follia in persona.

Aprì gli occhi e fu avvolta da quell’immagine familiare.


“Non ce l’abbiamo fatta” provò a dire, ma le parole non trovarono la strada.

“Siamo morti Dani, siamo tornati indietro dall’Inferno, ci siamo riusciti” le disse mostrandole il palmo della sua mano.

Il taglio brillava come la coda di una cometa, o almeno così le era parso.
Tergesteo
Galleggiare.
Inabissarsi.
Riemergere.
Inabissarsi di nuovo.
Anelare la superficie.

Tergesteo galleggiava sospeso in quello che sembrava un mare nerissimo.
Nessun riferimento dove indirizzarsi.
Nessuna lama di luce che facesse presagire la superficie.

Nell'oscurità riemergevano immagini antiche.
Una nave.
Un mare d'un blu profondo eppure ospitale.
Lo slancio.
Diventare acqua in un momento schiumante e disagevole.
Sospeso nel blu.
Sprofondare verso il fondo.
Indirizzarsiverso la superfice.
Sentire i polmoni che bruciano e gli occhi che fanno male fino a chiudersi.
Riemergere.

Galleggiava Tergesteo, senza un punto di riferimento nel nero di quel mare.
Annegare o riemergere?

D'improvviso, l'ultimo istante prima di ritronare in superficie.
Voci confuse d'intorno, lamenti , gemiti.


“..la superficie ...” si disse.

Difficile capire dove fosse, difficile capire se fosse vivo.
Il contatto delle dita con la stoffa ruvida del pagliericcio fu di conforto.
L'odore del sangue e di chiuso della corsia gli fu da conforto.
Il suono delle voci e dei gemiti gli fu di conforto.
Iniziava a sentire le tempie pulsare, il sangue scorrergli nelle vene e le ferite richiamarlo al dolore.

Solo i suoi occhi non risposero.
Era ben certo di avere le palpebere aperte, ma i suoi occhi non risposero.
Nessuna immagine.
O meglio una sola immagine indelebile.

Un volto di donna coperto di sangue.
Poi la visione si fece liquida.
Un immagine indelebile che gli bruciò la vista.

Chiuse e rinchise le palpebre ma nessuna immagine prendeva forma.

Credette di mormorare qualcosa.
".. i miei occhi … i miei occhi … “

Immaginò che ora fossero chiusi e sperava che le lacrime gli lavassero via l'oscurità.
Nulla.
Dicono che piangere faccia bene al cuore.

Credeva di piangere per il dolore o forse anche per il terrore di rimanere cieco.

Ma era una illusione.
Lo terrorizzava l'idea di non riuscire mai a scrollarsi dalla mente quell'ultima immagine di una donna dal volto sanguinante che lo avrebbe accompagnato come una condanna.

Il coraggio è guardare.
L'orrore chiudere gli occhi.
Tergesteo
"Alzati , cane ... "
Tergesteo fu svegliato da una voce rabbiosa.
Non distingueva se era quella del solito infermiere o di qualcun'altro.
Poteva essere lo stesso Aristotele sceso sulla terra, in fondo contava poco.
Gli occhi del folle erano ancora malati , nessuna possibilità di rendersi conto di cosa stesse succedendo se non l'intuito.


"Bau! "
disse il Folle in tutta risposta ".. però non aspettarti che ti faccia le feste o scondizoli eh ..."
Gli parve che anche l'inserviente avesse sorriso.
"Ridi ridi , folle che sei ... anzi più che folle mi sembri stupido ... soprattutto ora"

Tergesteo fu aiutato a rialzarsi.
Le membra erano deboli,le ferite più dolorose che mai.

"Perchè che è successo?"
"Succede.."
disse l'inserviente prendendolo per la vita e facendolo avanzare"..che i tuoi amichetti abbiano concordato una tregua .... sarai d'accordo con me che hai rischiato la morte per nulla ... sempre se in precedenza ci fosse una motivazione che non la paranoia di qualche governante ..."

La stessa sensazione di un pugno nello stomaco.
Non ebbe la forza di controbattere.
Per dirgli che cosa?
Formulargli delle scuse? Certo questo sì : mi spiace che ci siamo fermati, bisognava andare fino in fondo.
Fino all'ultimo respiro.
Questo ve lo dovevamo.
Questo sì.
Tutto il resto non conta : non è la causa che santifica la guerra.
La guerra non è nè buona nè cattiva.
La guerra è.
Si combatte e si muore.
Ma chiedere quartiere ... suona come un tradimento.


"Dove mi porti?"
"Ci servono letti liberi .. ti trasferisco da un'altra parte, dove c'è meno gente. Ormai non sei in pericolo di vita ..potresti esserlo se rimani là..."
"Capisco cosa intendi..."
"No , milanese , non credo che tu capisca. Tu non hai idea delle sofferenze che avete causato e ora , per un motivo o per l'altro , molti modenesi potrebbero non avere giustizia ... lo sai tu quanti ho visto morire in quei letti?
Eppure tu ti sei salvato ... non è giusto!"


Tergesteo camminava a fatica.
"No.. non è giusto ... su questo hai ragione.
Sarei dovuto restare là accanto ai miei compagni.
Ho mancato ad una promessa e questo non me lo perdonerò mai."


Giunsero dopo qualche tempo in una stanza più piccola, con una decina di pagliericci adagiati a terra.
Vi erano soltanto un paio di feriti che riposavano
.

"Ecco, Eccellenza, la sua nuova dimora ..." disse l'inserviente aiutandolo a distendersi "... bada di non fare scherzi , hanno l'ordine di farti arrivare vivo alla sentenza del processo ma nessuno esiterà a farti secco se se ne dovesse presentare l'occasione!"
"Dove vuoi che vada ?" ribattè il Folle sciogliendosi la benda che gli copriva gli occhi.
Benchè li avesse aperti, essi rimandavano solo qualche punto luminoso ed intermittente.
L'inserviente lo guardò e usci dalla stanza.


Ogni tanto qualche colpo di tosse rompeva il silenzio del luogo.
Tergesteo ripensò quel pugnale conficcato nel letto che occupava poc'anzi.

Solo, cieco e tradito ora quel pugnale si sarebbe rivelato terribilmente utile ...
Tergesteo
" Allora Milanese ... non sei ancora morto?" disse l'ufficiale medico tra il serio e il faceto mentre gli slegava le bende attorno agli occhi. "No , signore ... vedrò di impegnarmi!" rispose Tergesteo.

L'ufficiale modenese passava la mano davanti al volto del Folle.
"Niente? Nessuno stimolo? Nessuna immagine?"
"No , signore ...nulla se non qualche lampo di luce ".

Non era più il caso di insistere.
"Ti vedo docile, milanese ... quasi remissivo ... era diverso quando giocavi a fare il Portavoce fantoccio eh?"
"Potrei insultarla, signore, gridarle improperi circa sua madre ... ma avrebbe senso? Lei non ascolterebbe giacchè la violenza delle parole rende sordi, io non ascolterei giacchè le parole urlate rendono sordi ... la vedo così ... o meglio la penso così dal momento che non vedo alcunchè!"


Il medico non rispose .

"E poi , signore, avrei necessità di chiederle un favore ..."
"Ti ricordo che sei un prigioniero alla fin fine : considera questo!"

Il medico era spazientito : gli sembrava una richiesta alquanto arrogante per uno sconfitto.
"... avrei bisogno che scrivesse una lettera per me .. come vede non mi è possibile..."
Il medico ristette.
Si fece scappare un risolino e si placò
:" Va bene ..lascia che prenda il necessario ".
L'ufficiale si allontanò per ritornare poco dopo con pergamena e inchiostro.

"Avanti, Tergesteo .. dì"

"Vorrei che Tu tornassi.
Perchè di nuovo voglio ascoltarTi.
Di quei sogni che hai immolato
sull’altare di un’idea più grande.
Di quegli amori che, rinunciando,
hai chiuso in uno scrigno..."


"Tergesteo mi prendi in giro? Che razza di lettera è questa?"
"Abbia pazienza, signore ... mi assecondi, la prego "


Ci fu un momento di silenzio.



Vorrei che Tu tornassi.
Perchè di nuovo voglio ascoltarTi.
Di quei sogni che hai immolato
sull’altare di un’idea più grande.
Di quegli amori che, rinunciando,
hai chiuso in uno scrigno.

Di quei piaceri che hai, volutamente,
dimenticato.
Di tutto ciò che hai donato
che per Te era tutto.

Di come hai riscattato
la fierezza e l’orgoglio
d’una terra ingrata
con un solo Tuo sguardo,
l’ultimo sguardo della Tua vita.

Di quando il fumo del fuoco
Ti sembrò incenso di Paradiso,
e la pioggia cadente
pianto di stelle.

Parlami dei Tuoi progetti
dei Tuoi sogni, dei Tuio amori,
oggi che torni nella mia anima.
Oggi che Ti omaggio
e Ti ringrazio.

Oggi che il mediocre
vince sbeffeggiando
Tu perdona,
dall’alto del Tuo trono
Tu che in testa
porti l’alloro.
Parlami ancora delle Tue gesta.
Morte non hai vinto.


Silenzio.

"A chi devo farla consegnare , milanese?"
"La bruci e la disperda nel vento , la prego ..."


"Tu sei completamente pazzo ..."
L'ufficiale trattenne a stento l'impulso di colpirlo in faccia.
Ma ciononstante portò via la lettera con sè ...
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Danitheripper, seppure facesse fatica a camminare venne trascinata verso una nuova destinazione visti i notevoli miglioramenti delle sue condizioni.

Cercava di mettere a tacere il dolore fisico concentrandosi su quello che sarebbe venuto dopo, su Will e Terge, che nessuno le diceva dove fossero finiti e se fossero vivi o meno.

Lei aveva visto Tergesteo, ne era certa, sentiva che se lei era morta e tornata in vita, il loro destino non poteva tradirli. E così doveva essere anche per Will, la cui sorte si era unita alla loro in un incredibile serie di episodi.

I carcerieri avevano per lei una particolare attenzione: il silenzio. Nessuno le rivolgeva la parola. Gesti e parole sussurrate tra loro in sua presenza sembravano un segno di rispetto per chi era stata una Duchessa, seppure fantoccio.

Le indicarono dei pagliericci, scelse il primo che vide libero e si accomodò. Quando i carcerieri uscirono esplorò la stanza con lo sguardo.

Fu allora che lo vide.

Delle bende gli coprivano gli occhi, ma era lui ed era vivo ...

Gli altri feriti sembravano dormire e non fecero caso a lei quando si portò a fatica verso lui.

Abituata com'era al silenzio non lo chiamò, anche se avrebbe voluto urlare il suo nome e risvegliare i morti col suo sollievo.
Si chinò ed accarezzò il volto libero dalle bende con il palmo della mano destra. La cicatrice fece attrito con la barba incolta ed il ricordo la colpì in pieno. Lui le afferrò il polso e le bloccò la mano nell'atto di accarezzarlo.

"Sapevo che ci saremmo ritrovati all'Inferno"
"Non è l'inferno Terge, solo un ospedale"
gli sorrise.
"Quanto ti sbagli Dani ... per me è l'Inferno, le fiamme bruciano così tanto che mi costringono a tenere gli occhi chiusi"
"Cos'è successo ai tuoi occhi?"
"Non lo so Dani ... so solo che non ci vedo"


Quella rivelazione recò con sé il silenzio. Istintivamente Danitheripper si strinse a Tergesteo. Per farlo si dovette distendere accanto a lui. Le forze l'abbandonarono a causa dello sforzo di quelle ultime ore e svenne abbracciando il fratello.
Dormì come non faceva da tempo, senza incubi né urla nella sua testa.
Tergesteo
Quella notte il Folle non riposò.
Non volle.
Vegliò la Sorella come ella faceva nella albe livide di Milano.

Ne percepiva il respirare tranquillo.
L'unico rammarico non vederla dormire.

Ora come su quel campo di battaglia.

Per lui il sonno della sorella era rappresentato ormai da un volto completamente insanguinato.
Nessuna possibilità di rivederlo.


“Curioso “ mormorò il Folle prima la distanza, ora l'oscurità … la mia è una maledizione : la maledizione di non poterla rivedere..”

Avrebbe voluto toccarle i capelli – quella chioma bionda che lei usava alle volte come una scusa alle volte come un vessillo – ma non voleva correre il rischio di svegliarla.
Restò quindi immobile.


“Dormi, ora.
Magari stiamo dormendo entrambi e domani ci sveglieremo e sarà tutto diverso.
Non ci sarà quel giorno a Mirandola, quando hai rischiato la vita per starmi accanto.
Non ci saranno le voci di quelli che nascondono il livore e l'odio dietro la virtù e i principi.
Non ci sarà dolore, non ci sarà attesa.
Solo due solitudini.
Solitudine …
No Sorella ti sbagliavi … quanti compagni abbiamo trovato? Quante persone care ?
Tante, tantissime.
E se anche volerle difendere contro tutto o contro tutti ci farà chiamare traditori o vili poco importa.
No, sorella non sei sola … solo è colui che odia.

Tu non puoi odiare nessuno.
Non ne sei capace.

E' buffo.
Potremmo bruciare villaggi e sterminarne gli abitanti, i bambini nelle loro culle e i malati nei loro letti, senza una sola goccia d'odio o di risentimento.
Non l'odio ci guida, ma l'Ineluttabile.”


Tergesteo mormorava . Si interruppe dal momento che gli sembrava che Dani si fosse mossa. E stesse per destarsi.
Riposava ancora.


“Continua a dormire.
Ad aprire gli occhi c'è ancora tempo.
C'è ancora tempo ….”
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Quel sonno, ristoratore e appagante, non era molto diverso dalla morte. L’ennesima separazione quando ci si era appena ritrovati.

Eppure Danitheripper teneva stretto il fratello di morte perché egli potesse essere lì al risveglio. Se quella situazione era irreale, se Tergesteo non era lì e neppure lei, allora avrebbe creato nella sue testa un mondo migliore in cui ci si abbandona al sonno consapevoli di non essere più soli, certi che al proprio risveglio una voce amica avrebbe dissipato la nebbia e consolato l’eterno dubbio in cui si è destinati a restare. Tante domande, mai delle risposte, tante risposte a domande mai poste.


Quando Danitheripper riaprì gli occhi era ancora tenebra. Un raggio sbirciava la sua serenità e colpiva la benda di Tergesteo in corrispondenza dell’occhio destro.

La cecità del fratello la fece crollare nuovamente sotto il peso della sua presenza.

Dormiva? Chissà … L’ultima volta che lo aveva visto dormire la follia era giunta a portarselo via e lei aveva avuto paura. Adesso non c’era paura solo sollievo, e dolore.

Avvicinò la bocca all’orecchio bendato e gli sussurrò, cercando d’insinuarsi nella sua incoscienza
“Dormi?”
“E come potrei dormire con te attaccata come un polpo?”


Non dormiva.

“Perdonami fratello, ti ho visto annegare e sono scesa a fondo con te. Spero che non verremo puniti per questa nostra debolezza”
“Quale debolezza?”
“Ci siamo voluti bene in un’altra vita e adesso che ci siamo ritrovati in quest’altra vita tu sei cieco ed io non ho la forza di sopportarlo”
“Mi vuoi mollare qui da solo al buio?”
“No, voglio che tu veda”
e così dicendo gli tolse delicatamente le bende.

Due occhi chiusi protestarono il proprio fastidio.


“A che serve togliere una benda? Non hai ancora il potere di guarire le ferite Dani, o Aristotele ti ha fatto questo dono quando gli hai reso il servigio di non restare morta a disturbare i profeti?”

“Tu non hai ferite agli occhi Terge”
gli rivelò dopo aver esaminato accuratamente la testa del folle.

“Tu non sei un medico”
“Io non sono cieca”
“Questo è un colpo basso”
“Apri gli occhi Tergesteo e permetti al mondo di entrare nella tua testa”


Lui apri gli occhi, una lacrima rigò la sua guancia.
“Vai via Dani”
“No”
“Non voglio che tu veda le mie lacrime mentre io non posso rivedere i tuoi occhi, la tua bocca, i tuoi capelli … Non tormentarmi con la tua presenza”
“Non vedo lacrime sul tuo volto, solo una barba incolta su cui, immagino, stiano proliferando colonie di pidocchi”


Il folle sorrise.

“Li manderò a fare compagnia a quelli che tu hai nei capelli”
“Impossibile, Dama Sconosciuta ha predisposto tutti i riguardi per me ed ha provveduto perché la prigionia non peggiorasse la già critica condizione della mia chioma. Ogni giorno delle gentili signore modenesi si occupano della mia igiene personale”
“Ecco cos’era quello strano profumo mentre mi abbracciavi. La prossima volta che vorrai svenire però potresti trovarti un moribondo più pulito da stringere”
“Cercherò Will allora, scommetto che se lui è sopravvissuto ha preteso tutti i riguardi del caso. Non per nulla è lo splendido Barone di Tirano …”


Una risata seppellì per un momento la tristezza, ma Danitheripper fissava Tergesteo e ridendo si chiedeva cosa mai potesse impedire ai suoi occhi di vedere. La follia apre la mente, non rende ciechi, qualcosa però lo aveva fatto, aveva reso cieco Tergesteo.

Il silenzio che seguì quell’esplosione di allegria recò con sé un dubbio.


“Ho ucciso molti uomini fratello, e li ho sentiti morire, e li ho visti morire, e non c'è niente di glorioso, niente di poetico … Per un guerriero, durante il combattimento, l’annientamento del nemico deve essere l'unica preoccupazione. Reprimi qualsiasi emozione o compassione. Uccidi chiunque ti ostacoli. Questo è il cuore dell'arte del combattimento. Ma adesso siamo qui, feriti ma vivi. Chi li perdonerà di non averci finito? Perché questi nemici non ci odiano?”

“Ci uccideranno Dani, una sentenza ci seppellirà e scriverà la parola fine sotto ai tuoi dubbi e sopra le nostre tombe”

“Eppure sai che parole usò con me Marcolando quando, dietro al suo malcelato disprezzo, volle esprimermi il suo personale giudizio? Mi disse: il prigioniero è protetto per mezzo della sua prigionia, ed il ferito è protetto per mezzo delle sue ferite.
Se anche quest’uomo dovesse firmare la mia condanna so che non sarà dipeso da una sua precisa volontà. Quando si è in guerra è la guerra che comanda e coloro che la combattono: gli uomini, non i re”
Tergesteo
Tergesteo non sentiva più il tocco della benda sugli occhi.
Cionostate d'intorno era ancora oscurità.
Come il marinaio trascinato nel naufragio , sapeva benissimo dov'era la superficie.
Ma era impossibile arrivarci.
Alla superficie lo attendeva lei, e questo rendeva il tutto ancora più penoso.


"E' vero Dani, hai ucciso molti uomini senza distogliere lo sguardo.
Ma quello che i miei occhi hanno visto è diverso : ho visto te , là , nel sangue e forse c'ho visto anche me stesso.
Io ti ho visto e ti credevo morta.
Ed eri là per causa mia.

Non puoi chiedermi di guardare ancora ... non posso o non voglio.
Non fa differenza.
Ho combattuto questa guerra per uccidere la paura.
E ho perduto ..."


"Apri gli occhi ..."
"Ti prego ... lasciami stare"


Dani si paralizzò.
Da quando in qua il Folle era diventato un mendicante che supplicava?
Cos'era diventato?


Benchè debole, la donna fu scossa dalla rabbia.
"Tergesteo, apri gli occhi ..."
"Dani ... "


Una mano calata sul volto del Folle.
Uno schiaffo che valeva migliaia di carezze.


Il Folle ristette , la testa rivolta verso destra.
Uno smorfia gli percorse il viso.
Rimase in silenzio.

Percepiva gli occhi di lei puntati addosso, come una condanna.
Era una situazione surreale e splendida.


Il Folle sorrise.
"Non sei cambiata, sorella ... potresti convincermi che l'Inferno si sia congelato, con le tue maniere così gentili ..."
Ora la sentiva sorridere.

Tergesteo spalancò le palpebre.
Ancora nulla.
Solo qualche palpito di luce.
Gli stessi pallidi raggi che l'annegato intuisce.
Ora si trattava di raggiungere quei raggi.


"Resta qui, sorella ... avessi bisogno di altri ... incentivi"
"Ne sarò prodiga ..."
disse lei ridendo.
"Sai ... è da un pò che la mia follia non mi dispensa incubi nè alcuna visione ...."
"Stai guarendo dalla tua pazzia?".
Il tono di voce era preoccupato.
"No ... credo di avercela davanti " disse il Folle ridendo.
Rise anche lei.


Erano tornati quei due bambini che giocavano a dispensare morte e pazzia.
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La felicità. Improvvisa, inattesa, senza inviti. Eccola giungere, dove non ti aspetti, quando non ti aspetti e con chi non ti aspetti. Promettersi morte e condividere vita. Un uomo cieco che non sa più usare la sua vista e una donna cieca, che non vede al di là del suo naso e per di più vede solo ciò che vuole vedere.

Due solitudini che si erano trovate e che si consolavano a vicenda del fatto di essere ancora vive. La follia che si fa persona e che decide che sia giunto il momento per regalare una tregua alle anime che tormenta.




La vostra gioia è il vostro dispiacere smascherato.
E lo stesso pozzo dal quale si leva il vostro riso,
è stato sovente colmato dalle vostre lacrime.

E come potrebbe essere altrimenti?

Quanto più il dolore incide in profondità nel vostro essere,
tanta più gioia potrete contenere.

La coppa che contiene il vostro vino non è forse la stessa coppa
che è stata scottata nel forno del vasaio?
E il liuto che calma il vostro spirito non è forse
il legno stesso scavato dai coltelli?

Quando siete felici guardate nelle profondità del vostro cuore
e scoprirete che ciò che ora vi sta dando gioia è soltanto
ciò che prima vi ha dato dispiacere.

Quando siete addolorati guardate nuovamente nel vostro cuore
e vedrete che in verità voi state piangendo per ciò
che prima era la vostra delizia.

Alcuni di voi dicono: “La gioia è superiore al dolore,”
e altri dicono: “No, il dolore è superiore.”
Ma io vi dico che essi sono inseparabili.

Giungono insieme e quando uno siede con voi alla vostra mensa,
ricordatevi che l’altro giace addormentato sul vostro letto.

In verità siete sospesi tra dolore e gioia come bilance.
Solo quando siete vuoti siete immobili ed equilibrati.
Quando il tesoriere vi solleva per pesare l’oro e l’argento,
la vostra gioia o il vostro dolore devono necessariamente alzarsi o cadere.


La voce era tornata, una voce maschile che le parlava e scavava impietosa. Fu in quel momento che Danitheripper tornò alla realtà. E la realtà era un pagliericcio sporco sul pavimento e Tergesteo, cieco, disteso sopra. La realtà era che loro erano vivi ma che Will probabilmente era morto perché quel giorno aveva scelto di seguirli, e che non esisteva una tomba per dirgli addio.

Aveva scambiato un sogno per felicità e la realtà tornava a farle pesare l’esito delle sue scelte. Will e Tergesteo, senza un futuro, senza più una vita.

Avrebbe dovuto cercare da sola la sua dannazione ed impedire loro di averci a che fare.

Tergesteo dormiva, o almeno così sembrava. Dopo due giorni trascorsi con lui aveva deciso che quell’uomo non meritava ulteriori noie. Andarsene, come quel giorno a Fornovo, senza voltarsi.

Ma il folle non aveva occhi eppure la sua anima sentiva i pensieri.


“La felicità esiste Dani, ne ho sentito parlare ... il suo segreto non è di far sempre ciò che si vuole, ma di voler sempre ciò che si fa”

“Potrei obiettarti che si è più felici in solitudine che in compagnia Terge. Questo perché in solitudine si pensa alle cose e che in compagnia si è costretti a pensare alle persone”.

“Nulla di ciò che ti dirò potrà fermarti?”

“No”

“Devo forse ricordarti che siamo prigionieri?”

“Devo trovare Will”

“Io sono cieco ma uno di noi due temo sia sordo ... ti darò un indizio: non sono io ...”


Danitheripper a quel punto se ne uscì con un gesto impulsivo ed inatteso che lasciò Tergesteo spiazzato e senza parole. Mentre lui, avvolto nelle tenebre, già assaporava l’amarezza dell’ennesimo addio, lei gli si avvicinò e gli diede un bacio sulla guancia. Nulla di violento o patetico, poggiò le labbra umide, le congiunse alla sua guancia ispida e le tirò via ... umide ... Se solo avesse potuto vedere si sarebbe accorto che il mostro di Piacenza aveva pianto.

Un’altra ferita squarciò la pelle del folle. Non avrebbe lasciato cicatrici ma quando Danitheripper chiamò la guardia per farsi portare via un'altra lacrima, non vista, bagnò la nuova ferita senza poterle dare sollievo. Quel bacio assomigliava dannatamente ad un addio e non c'era una promessa tra loro che potesse cancellare un giorno le distanze.
Tergesteo
Il Folle allungò una mano.
Artigliò il braccio della donna.

"No ... non andare ..."
Nessuna supplica. Nessuna preghiera.
Davanti alla morte non si fanno richieste.


Lei si divincolò dalla stretta.

Come l'annegato lascia l'ultimo appiglio per andare verso il fondo, così Tergesteo lasciò andare la presa.
Vedeva la superficie allontanarsi, scivolare verso il nulla.
I polmoni che sembrano esplodere, gli occhi che bruciano.
Gli occhi.
I suoi occhi.
Uno sforzo devastante percorse quegli occhi stanchi.
Il coraggio è guardare.
Guardare.
Guardare.

Lentamente si riformano le immagini.
Lentamente cioè che gli è d'intorno riacquista una fisionomia.
I suoi occhi sono come tizzoni ardenti.

Guardava rapito il volto di lei.
Non era più sangue ma lacrime.

Nessuna promessa ora.
Nessuna prospettiva.
Nessuna speranza.

Solo il nulla.

Avrebbe voluto gridare.
Avrebbe voluto abbracciarla.
Avrebbe voluto stringerla.

Ma soltanto si lasciò scivolare verso il nulla, ad osservare la superficie che si allontana.

Tergesteo non si oppose a quell'addio.
Con quella donna se ne andavano gli ultimi frammenti di umanità.
Cadevano come brandelli di pelle bruciata.
Era l'ultimo, grande dolore.

Aveva riacquistato la luce nei proprio occhi, barattandola con un buio eterno nell'anima.

Non si mosse per inseguire la donna.
Inutile scappare.
Inutile anche solo pensare di evitare l'ineluttabile.

Soltanto sprofondare in un immenso nulla.
Non più un folle.
Non più essere umano.
Soltanto.
Il nulla.

Avrebbe voluto che non ci fosse alcun domani.
Quel coltello, quella lama che gli necessitava come aria,era ancora maledettamente lontana.
--Una.rondine.in.volo
“Dama Danitheripper, lasciatevi dire che la vostra fama è meritata: voi siete un mostro!”

Danitheripper sorrise.


“Ho l’ordine di non importunarvi, ma dopo quello che avete fatto a quell’uomo non posso più tacere!
Vi abbiamo portata da lui perché lo avevamo preso a cuore, perché la sua follia e la sua cecità erano uno strazio per noi.
Noi sappiamo benissimo che Tergesteo è una brava persona, la sua spada non si è macchiata del sangue modenese, se avesse potuto scegliere egli avrebbe scelto di combattere con noi, non contro di noi”


“Non è uno di voi, non lo conoscete neppure. Vi fate impietosire da un cieco! Se vi stesse davvero a cuore lo uccidereste, perché solo così potreste porre fine alla sua infelicità”

“Non potete dire davvero! Egli è un uomo prima che un nemico, per tutti noi.
Noi non siamo soldati, siamo volontari, costretti dalla guerra a lavorare in un carcere che era un convento un tempo. Ma voi? Che razza di donna siete? Non avete cuore altrimenti non lo abbandonereste”


“Vediamo le cose da prospettive diverse.
Gli sto rendendo un grande servigio andandomene. Prima di augurare la felicità alla gente dovreste prevederne le conseguenze.
Credete davvero che restando avrei fatto la sua felicità? Volete sapere cosa sarebbe successo?
Non avrebbe mai riacquistato la vista, si sarebbe accontentato di me e dei miei occhi, avrebbe smesso di essere un uomo saggio e sarebbe diventato solo un uomo, come tanti, fino al giorno in cui, rendendosene conto, mi avrebbe odiata.
Sapete benissimo che egli non ha ferite che ne giustificano la cecità e che è la sua testa che non gli permette di vedere”


“Egli probabilmente già vi odia …”


“L’odio che prova adesso è solo il livido di un colpo appena preso. Domani non sentirà più nulla L’odio di cui vi parlo ha radici ben più profonde. Si insinua senza avvisare e si palesa quando non trova alternative e non può più tacere la sua presenza”

“Io sono un uomo semplice mia signora. Amavo una donna, l’ho sposata ed abbiamo avuto tre figli meravigliosi, non mi sono mai posto il problema che un giorno lei potesse odiarmi”

“E’ questo il punto: l’amore.
Non c’è amore tra me e Tergesteo. C’era solo un patto di morte tra noi ed entrambi lo abbiamo onorato.
Esso ci legherà per sempre, anche se lo abbiamo archiviato, ma non parlatemi di amore. Quella è la cosa che più gli somigliava, non sarei in grado di concedere di più”


Il carceriere allora trasse una pergamena da una tasca e gliela porse.

“Leggete! Voleva che fosse bruciata ...”

Danitheripper lesse.



Vorrei che Tu tornassi.
Perchè di nuovo voglio ascoltarTi.
Di quei sogni che hai immolato
sull’altare di un’idea più grande.
Di quegli amori che, rinunciando,
hai chiuso in uno scrigno.

Di quei piaceri che hai, volutamente,
dimenticato.
Di tutto ciò che hai donato
che per Te era tutto.

Di come hai riscattato
la fierezza e l’orgoglio
d’una terra ingrata
con un solo Tuo sguardo,
l’ultimo sguardo della Tua vita.

Di quando il fumo del fuoco
Ti sembrò incenso di Paradiso,
e la pioggia cadente
pianto di stelle.

Parlami dei Tuoi progetti
dei Tuoi sogni, dei Tuoi amori,
oggi che torni nella mia anima.
Oggi che Ti omaggio
e Ti ringrazio.

Oggi che il mediocre
vince sbeffeggiando
Tu perdona,
dall’alto del Tuo trono
Tu che in testa
porti l’alloro.
Parlami ancora delle Tue gesta.
Morte non hai vinto.


Non riconosceva quel tratto incerto, ma le parole danzavano davanti ai suoi occhi chiare come le acque del lago di Piacenza.
Quel foglio, destinato alle fiamme, fu spazzato via dalla tempesta e cancellato dalle gocce che l’animo le dava copiose.


“Le ha dettate all'ufficiale medico … ”

Fece una pausa.

“Siete ancora convinta di ciò che dicevate? Tornate da lui.
Ha bisogno di voi!”

Quell’uomo semplice indicava la via.

Danitheripper fece un gran respiro e riassunse padronanza di se stessa.

“Voi siete un nemico spietato. Avete abbattuto le mie difese”

Il carceriere non se lo fece ripetere due volte. Riaprì la porta della stanza e vi ricondusse dentro una Danitheripper provata.

Tergesteo giaceva disteso, la testa abbandonata sul braccio sinistro allungato, il destro piegato a proteggersi il fianco da un nemico invisibile.


“Tergesteo” lo chiamò lei con voce incerta.
Lui si voltò incredulo.

La guardia assisteva in un angolo, finalmente discreta ed appagata, come le ferite che tenevano inchiodati ai propri giacigli gli altri feriti.

Lei avvicinò la testa a quella di lui.
Tergesteo non si mosse.
Attese che le ciocche bionde gli sfiorassero il volto.
Fu allora che il Folle le mise la mano sul volto, quella mano screziata da una cicatrice che sapeva essere carezzevole e leggera ma anche capace di lordarsi di sangue.
Sgranò gli occhi, Tergesteo : il dolore gli indicava che non era un sogno e che lei era lì davanti.
Ma lei non se ne accorse.
Stavolta gli occhi chiusi erano quelli della donna, come a volere dire “mi spiace di causarti altro dolore”.
Un attimo.
Le labbra che si congiungono.
Un unico bacio.
Il sangue che si incendia nelle vene.
Lo stesso che li ricopri a Mirandola.
Lo stesso che sgorgò dalle mani a Fornovo.
Il Folle richiuse gli occhi.
Nell'oscurità di entrambi solo quelle labbra che si cercavano e si rincorrevano erano permesse.
In quei momenti il mondo circostante venne escluso.


Fu allora che entrò il destino, beffardo e spietato.

“Lady Ragnarson Epelfing”
anche la voce del destino trema di fronte a due persone che si baciano.
“Siete stata giudicata colpevole di ribellione e del suo incitamento, di disturbo dell’ordine pubblico e di appartenenza ad Esercito nemico, viste le richieste formulate dal Pubblico Ministero, il Ducato di Modena condanna l’imputato alla pena di morte. Seguiteci”.

Il carceriere si sentì mancare il terreno sotto ai piedi e dovette sorreggersi al muro per non cadere. Danitheripper rimase impassibile e seguì i latori della sentenza.

Voltandosi verso Tergesteo cercò una luce nei suoi occhi e le sembrò di coglierla.

Gli disse
“Addio” ma senza un suono, pregando che egli potesse leggere sulle sue labbra.
Tergesteo
Due guardie dell'esercito modenese entrarono a prelevare la prigioniera.

La donna ebbe ancora tempo di voltarsi verso Tergesteo per donargli un ultimo sorriso che addolciva lo strazio di un volto sfregiato dalla costernazione, lo stesso volto che pochi istanti prima si era ricongiunto a quello di lui.
Sembrava avesse intuito che il Folle potesse vedere nuovamente.

Tergesteo comprese immediatamente.
Stavolta era la fine.
Restò paralizzato come se un dardo di ghiaccio lo avesse trafitto spaccandogli il petto.
Il cervello sembrava spappolarsi sotto la morsa della visione che lo stava uccidendo.
Due bimbi che giocano.
Una donna dall'abito nero.
La bambina che si allontana.
Nessuna promessa, nessuna speranza.

Il ghiaccio di quel dardo gli si sparse nel petto.
Non sentiva più pulsare il cuore.
Non provava più emozioni che si definissero umane.

Negli occhi di quella donna l'esecuzione di una condanna.
Una solitaria dannazione.
O forse l'accostarsi al calice della divinità.

Il Folle crollò a terra , carponi.
Violenti accessi di tosse lo scossero da capo a piedi.
Sembrava posseduto da una forza oscura venuta ad ucciderlo o a consacrarlo.
Non aveva in verità alcuna importanza.
Lei sarebbe stata giustiziata.
Lui morto lo era già.

Le guardie si affrettarono a far uscire la condannata.

Tergesteo rimase sul pavimento.
I ricordi lo accarezzavano come rasoiate sul volto.

Il bagliore del fuoco a Milano.
La pioggia gelida di Fornovo.
La brezza tagliente di Modena.
Infine la terra intrisa di sangue a Mirandola.
E in ogni singolo ricordo lei.
Ma atrocemente bella come oggi non era stata mai.

Mentre mormorava alla morte che si prendesse cura di lei,
sperava che la follia lo annientasse sì da essere meno solo.
Ormai gli restava soltanto una cicatrice sulla mano,
insopportabile come una condanna.
Tergesteo
Potevano essere passate alcune ore o diversi mesi.
Il tempo è una questione privata.
Impossibile stabilire quanto tempo fosse passato da quando due guardie modenesi la portarono lontano.
Oggi, ieri o un secolo fa era impossibile determinarlo.
Solo il domani era certo.
Certo che sarebbe stato maledettamente duro.


Tergesteo stava immobile sul pagliericcio, svuotato.
Sospeso.
Inerte.


Giunse una guardia a verificare se fosse in vita.
Cortesia o crudeltà difficile stabilirlo.
Il giovane piantone si affacciò all'uscio della stanza, scorse il milanese sul pagliericcio ed entrò.
Osservò il corpo immobile e pensò bene di passargli velocemente le mani aperte davanti agli occhi, nel tentativo di carpirne qualche mossa.


A cosa pensano le vipere quando mordono?
Pensano a colpire.
Non pensano all'esito dell'assalto.


Il Folle aprì gli occhi e li cacciò in quelli del piantone.
La giovane guardia restò interdetta, stupita.
Come il topo con il serpente.
Non si avvide del calcio che lo fece ruzzolare a terra.
In pochi istanti si trovò un coltello sotto il mento.
Il proprio coltello.
E il respiro calmo e tranquillo di uno squilibrato che lo impugna.

“Se fai il bravo sei vivo …. non sei tu che mi interessi! Resta immobile!”
Il piantone non rispose.
Ma fu sollevato nel sapere che il coltello si allontanava dal suo collo.
Fissava il milanese che s'era allontanato di qualche passo e s'era seduto sul pagliericcio, con le gambe incrociate.
Questi con fare lento si tolse la camicia sudicia e impugnò saldamente il coltello.


Tergesteo fissava la lama agognata nelle sue mani.
Un istante disagevole per scrivere la parola fine.
A occhi aperti , naturalmente.
Il folle appoggiò la punta della lama al ventre.


Raramente in questo modo la fine giunge subito.
La lama pigramente cominciava a farsi strada nella pelle, fino a farne uscire un rivoletto minuscolo.
Un colpo secco verso il ventre, un movimento circolare e attendere.
Niente altro da fare.
Ad attendere era diventato un maestro.
Un colpo secco verso il ventre.
E attendere il volto sorridente della morte.
Chissà se assomigliava a Lei?
Ne era certo, in cuor suo.


Fu allora che Tergesteo realizzò.
Anche la disperazione impone dei doveri.
L'infelicità può essere preziosa.


Il folle alzò lo sguardo a fissare il piantone inebetito.
Aggrottò lo ciglia, allontanò la lama del coltello.


“No... non voglio togliere questa soddisfazione al giudice...sempre se ne ha il coraggio!”
Con un gesto della mano face fare un mezzo giro e agguantò l'arma per la lama.
S'alzò e porse il coltello al legittimo proprietario.


Questi , atterrito allungò la mano per prenderlo e riporlo nel fodero.
La manovra ferì leggermente la mano del Folle.

Tergesteo guardò il palmo della mano che gocciolava sangue.
Sorrise.

“Oh Sorellina , mi fai promettere anche se non ci sei … “ mormorò.
Si passò la mano sul viso, imbrattandolo di sangue.
Il volto vermiglio.

“Questa promessa però è ancora più difficile da mantenere ….”
Il coraggio è guardare.

Si avvicinò al piantone.

“Dì al giudice che sto ancora aspettando … e che sono curioso della sua decisione.
Molto curioso : che faccia attenzione a non deludermi”

“E ora puoi andare ….hai verificato che sono qui e che sono vivo!”

disse il Folle facendogli l'occhiolino.

Il piantone si alzò mentre Tergesteo intonava un canto militare, imparato chissà quando in Stiria
“Ob's stürmt oder schneit,
Ob die Sonne uns lacht,
Der Tag glühend heiß
Oder eiskalt die Nacht....”


La guardià uscì, tra l'incredulo e lo spaventato, mentre nella camerata rieccheggiava un canto straniero.

“Bestaubt sind die Gesichter,
Doch froh ist unser Sinn,
Ist unser Sinn;
Es funkelt unsere Schwert
Im Sturmwind dahin!”


Tergesteo cantava macchinalmente.
Ripensava al gesto paventato poco prima , ma mai concluso.
Si dice che morendo si riveda qualche brandello della vita che fugge.
Avesse visto ancora il volto della Sorella di morte, un'unica ultima volta, quel gesto sarebbe stato il più necessario della sua vita.






Ob's stürmt oder schneit,
Ob die Sonne uns lacht,
Der Tag glühend heiß
Oder eiskalt die Nacht
Bestaubt sind die Gesichter,
Doch froh ist unser Sinn,
Ist unser Sinn;
Es funkelt unsere Schwert
Im Sturmwind dahin!

Nella tempesta o nella tormenta,
O sotto il sole caldo e luminoso,
Il giorno caldo come l'inferno
O fredda gelata la notte.
Cosparse di polvere sono le nostre facce,
Ma sereno è il nostro animo,
Sì, il nostro animo;
La nostra spada scintillerà
nella Tempesta.
Tergesteo
La notte era lunga .
Ancora molto lunga.

La notte era stata benigna fino ad ora.
L'orrore sembrava aver smesso di visitare il Folle.

Ma quando ormai Tergesteo sembrava aver ricomposto i cocci di un sogno frantumato, la Notte si decise a reclamare quanto di buono concesso.

Come a Milano, fu il latrare lontano di un cane ad annunciare la visita.
Furtiva come in ladro, la Follia si ripresento a reclamare quanto di suo.

Tergesteo conosceva bene la sensazione di smarrimento e inquietudine.

"E' ora ..." mormorò , prima che la Follia tornasse a ghermirlo.

Vide due cavalieri in marcia, nascosti da cappe scure, arrancare in una distesa desolata. Le cavalcature incerte guadagnavano quota su di un passo montano che sembrava un cratere lunare.
Una voce, quella voce gli si conficcò nel cranio come una scure.
Impossibile ribellarsi.


"Dopo la luce rossa delle torce su volti sudati,
dopo il silenzio gelido nei giardini,
dopo l'angoscia in luoghi petrosi,
le grida e i pianti,
la prigione e il palazzo
e il suono riecheggiato del tuono a primavera su monti lontani,
ciò che era vivo ora è morto.
Noi che eravamo vivi ora stiamo morendo
con un po' di pazienza.


Qui non c'è acqua che mondi ma soltanto roccia.
Roccia e non acqua e la strada di sabbia.
La strada che serpeggia lassù fra le montagne
che sono montagne di roccia senz'acqua.
Se qui vi fosse acqua ci fermeremmo a bere
fra la roccia non si può né fermarsi né pensare.
Nè fermarsi nè pensare.
Non acqua in cui annegare.


Chi è che sempre ti cammina accanto?
Se conto, siamo soltanto tu ed io insieme
ma quando guardo innanzi a me lungo la strada bianca
c'è sempre un altro che ti cammina accanto,
che scivola ravvolto in un ammanto bruno, incappucciato.
Io non so se sia un uomo o una donna.
Ma chi è che ti sta sull'altro fianco?


Cos'è quel suono alto nell'aria?
Quel mormorio di lamento?
Chi sono quelle orde incappucciate che sciamano?
Su pianure infinite, inciampando nella terra screpolata
accerchiata soltanto dal piatto orizzonte.
Qual è quella città sulle montagne?
Che si spacca e si riforma e scoppia nell'aria violetta?

Attendevamo la pioggia, mentre le nuvole nere
si raccoglievano molto lontano.
Anelavi all'acqua che monda, lacrima di dolore celeste.
Allora il tuono parlò."


Tergesteo fu scosso da un fremito , come se tutti i muscoli avessero deciso di contrarsi all'unisono.
Cionondimeno la voce continuò.
Ma il timbro era diverso, femminile.


“Che abbiamo dato noi? Amico mio sangue che scuote il mio cuore, l'ardimento terribile di un attimo di resa che un'era di prudenza non potrà mai ritrattare.
Secondo questi dettami e per questo soltanto noi siamo esistiti, per questo che non si troverà nei nostri necrologi o sulle scritte in memoria drappeggiate dal ragno benefico o nelle nostre stanze vuote.
Ho udito la chiave girare nella porta una volta e girare una volta soltanto.
Noi pensiamo alla chiave, ognuno nella sua prigione, pensando alla chiave, ognuno conferma una prigione.
Solo al momento in cui la notte cade, rumori eterei ravvivano un attimo un guerriero affranto"


L'eterno ritorno all'uguale.
Parole note, voce familiare.
Un tormento.

Anelava la fine della notte.

L'alba lo sorprese riverso sul pavimento della stanza che fungeva da prigione e lazzaretto.
Gli occhi a fissare un orizzonte lontano.

L'Orrore era tornato.
Nessun posto dove nascondersi.
Nessuna mano alla quale implorare aiuto.

Ma il coraggio è guardare.
Ed attendere.

Provare a credere per un giorno che il sole porti buone notizie.
Inchiodare i ricordi al proprio muro, sì da poter ricordare.

Verrà il giorno in cui sarà ora di andare.
Andare.
--Una.rondine.in.volo
La morte bussava alla porta di lei ed era sua la voce che la cullava nel sonno con versi suadenti che la illudevano e che la facevano piombare nello sconforto ogniqualvolta le ricordavano ciò che avrebbe potuto essere ma che non sarebbe stato mai …

Con gli occhi chiusi sul viavai di facce
che fanno popolo nella mia stanza
mi sento solo che è una bellezza
quasi una vetta della mia via.
Da tronco cavo da nido senza sonno
viene non viene chiede di me.
Da pianto perso che piange altrove
viene non viene lui chiede di me.
Genio peloso, demone del tardi
che mi assecondi e dopo un po’ mi perdi
portami adesso al Castello corsaro
dove qualcuno ha un regalo perché,
sento la voce di una donna,
lei scende le scale consola me.
Le faccio posto sul mio tappeto
che è più leggero, da quando tu
ti sei nascosta in fondo a un segreto
ed hai deciso che non voli più.
Genio peloso, demone del tardi
che mi somigli finché non mi guardi
portami adesso l’odore del ferro
del rosmarino e del caucciù
tutto il tuo cielo a che cosa mi serve
se poi non riesco a tornare giù.
E ancora scalcio per il mio gusto …
In fondo il posto mi sembra adatto alla mia guerra,
alla mia fame
sono venuto per disturbare …




Tergesteo, fratello, amico, mio … ,

non sapevo se fosse opportuno scriverti o meno, ma alla fine il buon senso difficilmente prevale in me.

Ed eccoci qui, noi due, io condannata a morire, ancora, tu condannato a vivere …

Eppure non ho paura, né per me né per te, so che te la caverai … come sempre, e mi consola la tua follia che forse ti concederà una spiaggia in cui poter essere di nuovo felice, come lo fosti quel giorno in cui fummo certi di aver mantenuto il nostro patto. Espellerai il dolore … ti verrà naturale come respirare.

Il tempo ha semplicemente smesso di passare tra queste quattro mura, ma sarei bugiarda a dirti che mi manca il sole. Mi ero costruita una prigione tutta mia e quella che ho dentro di me è meno confortevole di questa che mi circonda. Ci hanno lasciato credere che potessimo scegliere, che la solitudine potesse essere superata da un bacio … non ti vedrò più … non sentirò più il tuo sapore, il gusto della follia … che abbiamo fatto? Un gesto totalizzante … come se ci fossimo scambiati una nuova promessa, come se ci fossimo procurati un taglio, diverso, che non saprei dove cercare … così adesso sapremo che non è vero, che anche la peggiore delle fini ha un seguito. Avrei dovuto perderti ed invece ti ho cercato …

Adesso rifletto e mi sembra di aver compreso il motivo per cui non riesco ad aver paura, ed è il dubbio quel motivo. La perplessità mi fa scudo. Vado incontro a quello che non capisco col beneficio del dubbio. Un enorme punto interrogativo … Se io sapessi cosa c’è dopo la morte probabilmente mi lascerei prendere dallo sconforto, oppure offrirei lacrime alla consolazione, ma io non lo so Terge e mai come adesso la curiosità mi pone di fronte a questo evento come, in passato mi ha posta di fronte ad una birra il cui gusto mi era ancora ignoto. Devo bere per saziare la mia sete.

La notte quando giunge lo fa in silenzio, e così vorrei obliarmi io, senza clamori, ma il buon senso, stavolta sì, mi fa intendere che non si può pretendere ciò di cui si è stati avari: il rispetto. Marcolando è un nemico che noi stessi ci siamo scelti, è normale che egli non tuteli noi ma i suoi scagnozzi, seppure non sarà sua la mano che mi colpirà egli non farà nulla per fermarla. Ho rinunziato a capirlo. Le sue scuse per la mia condanna mi giunsero inattese, ma la sentenza è stabilita ed il giudice è rimasto al suo posto. Le sue parole adesso risuonano inutili e superflue nella mia testa.

Ho incontrato la mia dannazione a Fornovo, Tergesteo, e ringrazio ogni maledetto minuto passato in quella meravigliosa città. Era inverno, ero un soldato, era Fornovo, era la Gemina, erano Braken, Ippolita, Imprimatur, Amsterdam, Plue, Ottaviana, Katerina, Walden, Sarnek, Luigi … eri tu. Era quel senso di giustizia che muoveva le nostre spade, spazzato via da un Duca che decidemmo di deporre. Siamo stati giudici e adesso? La storia ci ha già reso le nostre ragioni, noi adesso le rendiamo i nostri torti. Ed il tempo intanto crea eroi … e di certo non saremo noi … ma non è mai stato quello che avremmo voluto, né santi né eroi, solo dei folli visionari legati ad un patto che a raccontarlo non ci si potrebbe mai credere.

Una ferita auto inflitta … questo siamo noi, padroni delle nostre vite e delle nostre morti.

Mi rendo conto solamente adesso di aver concesso il mio affetto a più persone di quante non avessi mai potuto immaginare e sarà questo il rimorso che mi porterò dietro: il pensiero di aver trascinato nella mia dannazione coloro cui ho preso molto senza mai dare nulla in cambio. Persone … amici … Will … Will è vivo … e mi detesta Terge, per quello che ho fatto e per quello che ho detto. Ti chiederai come lo so … è venuto a trovarmi. Ma la sua vita non mi è di conforto nella misura in cui mi è di tormento.

Chiedevo continuamente di lui alle guardie, sperando che qualcuno sapesse dirmi che fine avesse fatto, ma un muro di silenzio, alto ed insormontabile, mi circondava. Finché un giorno lui è entrato dalla porta della mia cella solitaria, come se nulla fosse. La porta si è aperta ed eccolo lì, biondo e arrabbiato.

Avrei voluto abbracciarlo, felice perché lui era vivo e stava bene, ma lui mi si è fatto incontro e mi ha schiaffeggiata con forza. Anche lui ha affrontato l’ineluttabile, lui che non voleva che io lo salvassi, tu che non volevi che io ti salvassi, ho sbagliato nei vostri confronti, vi ho fatto un torto enorme attirando su di me le attenzioni. Avreste meritato ben altro, una forca con una corda d’oro, un’impiccagione collettiva magari … morire insieme, di nuovo, ora e per sempre. Eppure credo che anche lui col tempo espellerà me, il mio ricordo, ed il dolore che gli ho procurato.

L’ho visto tentennare, la sua sicurezza ha lasciato il posto alla persona che era, prima che io gli mostrassi il suo lato oscuro. E’ stato allora che gli ho poggiato una mano sulla nuca ed ho attirato la sua testa contro la mia spalla. Ha opposto una blanda resistenza, poi si è lasciato andare, si è semplicemente svuotato. Con una mano gli tenevo la testa nell’incavo della spalla, con l’altra gli accarezzavo i capelli. Siamo rimasti così a lungo … poi basta … è andato … non lo rivedrò mai più.

Non so se avrò modo di scriverti di nuovo, non saprei come salutarti, non sono mai stata brava a dire addio …

Ed io non sarò oscura, ma bella e terribile come la Mattina e la Notte! Splendida come il Mare ed il Sole e la Neve sulla Montagna! Temuta come i Fulmini e la Tempesta! Più forte delle fondamenta della terra. Tutti mi ameranno, disperandosi!
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