Tergesteo
Il Folle non era cieco ma tuttavia teneva gli occhi chiusi.
Se è vero che il coraggio è guardare , ora preferiva restare nella più completa oscurità.
Una brezza gentile gli scivolava lungo il viso.
Inaspettata dapprima.
Poi insistente.
Lo costrinse ad aprire ancora gli occhi.
Le palpebre socchiuse gli rimandarono immagini anelate ma tuttavia assolutamente impreviste.
Dinanzi a lui, seduta sul bordo del pagliericcio sudicio, stava seduta la Sorella di Morte, poggiata su un braccio a scrutarlo come non l'avesse visto mai.
Tergesteo sembrava quasi contrariato da quella apparizione.
Ella non era più.
Aveva lottato furibondo con i propri ricordi per rimettere un poco d'ordine nel suo spirito devastato e ora una immagine surreale che avrebbe potuto parimenti provenire dagli Inferi come dal più cristallino dei paradisi gli si stagliava davanti.
Non era abituato a vivere la follia come ricordo ma come orrore.
La novità non gli piacque.
L'orrore è tempesta che scuote acque tranquille, il ricordo una piccola goccia che scava anche il marmo più duro e lo consuma.
Prima che potesse emettere solo un suono, quella visione gli poggiò due dita sulle labbra.
Non era più tempo di parole.
Lei lo scrutava con sguardo severo.
Sembrava chiedergli :che cosa è successo al guerriero? È ridiventato un uomo pavido?
Tergesteo intui' il senso di quello sguardo.
Che inverò lo ferì non poco.
Chiuse gli occhi , reazione scontata e necessaria.
Fu la mano di lei che gli si posò sul viso a ricostringerlo a guardare.
Era l'ultimo atto.
Stavoltà la labbra si poggiarono delicatamente.
Il bacio della morte.
Leggero, etereo, rapidissimo.
Tergesteo alzò la mano con la cicatrice : attendeva che la sorella la ricongiungesse alla sua.
Questo gli era dovuto.
Questo gli era maledettamente dovuto.
Assaporò il contatto della mano di lei.
Ma non ne percepì altro se non la pelle liscia.
Nessuna cicatrice.
Tergesteo respirò a fondo come fosse stato colpito.
Nessuna cicatrice.
Nessuna promessa.
Nessuna speranza.
La fine.
Era tempo di lasciare che Dani andasse.
Più nulla da dire più nulla da tentare.
Scrivere unicamente la parola fine e sostenere l'urto dei ricordi e del rimorso.
Era tempo.
Il Folle richiuse gli occhi.
Qunado gli riaprì era mattina, luce intorno.
Accanto al letto un inserviente.
Stanotte deliravi, milanese tendevi la mano verso il nulla e ti agitavi nel sonno...
Capisco..ma ora mi sento meglio.. si meglio.
Tergesteo ricompose a fatica un pensiero logico.
Certo un sogno.
Ma se di sogno si era trattato , aveva sortito lo stesso effetto di un coltello rovente nella carni.
Si chiese se non avesse sognato sin da quel bivacco a Milano.
Se nulla fosse accaduto.
Se le parole dette e le parole scambiate non fossero uno splendido sogno o un incubo atroce.
Proveniva dalla piazza una nenia cantata da voce femminile.
Ipnotica.
Gli angeli vennero a cercarla
La trovarono al mio fianco,
lì dove le sue ali l'avevano guidata.
Gli angeli vennero per portarla via.
Aveva lasciato la loro casa,
il loro giorno più chiaro
ed era venuta ad abitare presso di me.
Mi strinse a sé perché
ebbe pietà della follia.
Gli angeli vennero dall'alto
e la portarono via da me.
Se la portarono via per sempre
tra le ali luminose.
É vero che era la loro sorella
e così vicina alla notte come loro.
Ma mi strinse a sè perché
il mio cuore non aveva una sorella.
Se la portarono via,
ed è tutto quel che accadde.
Era una nenia dolce a sentirsi ma a Tergesteo fece l'effetto dell'assenzio.
Si mise la testa tra le mani e pianse.
Aveva cento anni di dolore da sublimare e capì fino dalla prima goccia che le lacrime non sarebbero bastate a giustificare quello che era stato.
E a richiamare quello che non sarebbe stato mai più.
Avrebbe dato la vita per poter sentire la pioggia graffiargli la pelle ...
Se è vero che il coraggio è guardare , ora preferiva restare nella più completa oscurità.
Una brezza gentile gli scivolava lungo il viso.
Inaspettata dapprima.
Poi insistente.
Lo costrinse ad aprire ancora gli occhi.
Le palpebre socchiuse gli rimandarono immagini anelate ma tuttavia assolutamente impreviste.
Dinanzi a lui, seduta sul bordo del pagliericcio sudicio, stava seduta la Sorella di Morte, poggiata su un braccio a scrutarlo come non l'avesse visto mai.
Tergesteo sembrava quasi contrariato da quella apparizione.
Ella non era più.
Aveva lottato furibondo con i propri ricordi per rimettere un poco d'ordine nel suo spirito devastato e ora una immagine surreale che avrebbe potuto parimenti provenire dagli Inferi come dal più cristallino dei paradisi gli si stagliava davanti.
Non era abituato a vivere la follia come ricordo ma come orrore.
La novità non gli piacque.
L'orrore è tempesta che scuote acque tranquille, il ricordo una piccola goccia che scava anche il marmo più duro e lo consuma.
Prima che potesse emettere solo un suono, quella visione gli poggiò due dita sulle labbra.
Non era più tempo di parole.
Lei lo scrutava con sguardo severo.
Sembrava chiedergli :che cosa è successo al guerriero? È ridiventato un uomo pavido?
Tergesteo intui' il senso di quello sguardo.
Che inverò lo ferì non poco.
Chiuse gli occhi , reazione scontata e necessaria.
Fu la mano di lei che gli si posò sul viso a ricostringerlo a guardare.
Era l'ultimo atto.
Stavoltà la labbra si poggiarono delicatamente.
Il bacio della morte.
Leggero, etereo, rapidissimo.
Tergesteo alzò la mano con la cicatrice : attendeva che la sorella la ricongiungesse alla sua.
Questo gli era dovuto.
Questo gli era maledettamente dovuto.
Assaporò il contatto della mano di lei.
Ma non ne percepì altro se non la pelle liscia.
Nessuna cicatrice.
Tergesteo respirò a fondo come fosse stato colpito.
Nessuna cicatrice.
Nessuna promessa.
Nessuna speranza.
La fine.
Era tempo di lasciare che Dani andasse.
Più nulla da dire più nulla da tentare.
Scrivere unicamente la parola fine e sostenere l'urto dei ricordi e del rimorso.
Era tempo.
Il Folle richiuse gli occhi.
Qunado gli riaprì era mattina, luce intorno.
Accanto al letto un inserviente.
Stanotte deliravi, milanese tendevi la mano verso il nulla e ti agitavi nel sonno...
Capisco..ma ora mi sento meglio.. si meglio.
Tergesteo ricompose a fatica un pensiero logico.
Certo un sogno.
Ma se di sogno si era trattato , aveva sortito lo stesso effetto di un coltello rovente nella carni.
Si chiese se non avesse sognato sin da quel bivacco a Milano.
Se nulla fosse accaduto.
Se le parole dette e le parole scambiate non fossero uno splendido sogno o un incubo atroce.
Proveniva dalla piazza una nenia cantata da voce femminile.
Ipnotica.
Gli angeli vennero a cercarla
La trovarono al mio fianco,
lì dove le sue ali l'avevano guidata.
Gli angeli vennero per portarla via.
Aveva lasciato la loro casa,
il loro giorno più chiaro
ed era venuta ad abitare presso di me.
Mi strinse a sé perché
ebbe pietà della follia.
Gli angeli vennero dall'alto
e la portarono via da me.
Se la portarono via per sempre
tra le ali luminose.
É vero che era la loro sorella
e così vicina alla notte come loro.
Ma mi strinse a sè perché
il mio cuore non aveva una sorella.
Se la portarono via,
ed è tutto quel che accadde.
Era una nenia dolce a sentirsi ma a Tergesteo fece l'effetto dell'assenzio.
Si mise la testa tra le mani e pianse.
Aveva cento anni di dolore da sublimare e capì fino dalla prima goccia che le lacrime non sarebbero bastate a giustificare quello che era stato.
E a richiamare quello che non sarebbe stato mai più.
Avrebbe dato la vita per poter sentire la pioggia graffiargli la pelle ...