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Dichiarazione di Guerra

Amsterdam707

Città di frontiera

Le città di frontiera sono molto particolari: sono al tempo stesso cariche di opportunità e di preoccupazioni.

Sono composte in maggioranza di gente chiusa e al tempo stesso ospitale, di quell'ospitalità un po' burbera ma sincera di chi sa che ogni nuovo venuto può portare un pugnale d'oro da commerciare o da piantarti alla schiena alla prima disattenzione.

Le città di frontiera ospitano da sempre viaggiatori, umanità diversa e multiforme, colorata e pittoresca, genti di ogni razza e tipo che riesce a superare con qualche agilità anche le punte di lancia di molti eserciti e guardiani.

Nella Taverna e per le strade di Fornovo passavano molti personaggi, diretti verso e fuori dal Ducato, che avessero lasciapassare o meno. Il rischio era loro.

Con loro viaggiavano matrimoni, merci, reati e storie. Notizie.

Da queste fonti ad Amsterdam giungevano all'orecchio, dai territori di guerra, molte voci, e poche di queste radicalmente nuove.

La gente continuava ad urlare e a scannarsi in piazzae non sui campi di battaglia, su concetti e parole fumosi e pieni di interrogativi, minacciando di trafiggere persone così come concetti. Ognuno si crogiolava nel proprio brodo di narcisismo.

Amsterdam guardava ad est: i suoi amici in marcia, qualcuno di loro, gli era stato riferito, aveva addirittura conquistato la capitale Modena: lui non aveva alcun dubbio che ci sarebbero riusciti, conosceva bene i Porcelli...

L'amministrazione cittadina in questi tempi difficili doveva essere attenta e oculata: nulla lasciato al caso, perchè anche il diavolo, quando avesse voluto metterci la coda, avesse avuto a scottarsi prima di riuscire nei propri intenti.

Eppure avrebbe voluto partire, andare con i commilitoni sul campo di battaglia, mettere alla prova sul serio le proprie capacità con la spada, oltre che con la penna...

Lo storico che era in lui pensò che in fondo tutto era già stato scritto, nelle storie passate, nelle guerre passate, nelle persone passate. Pensò ai grandi scrittori che non c'erano più, a quello che di loro rimaneva nei suoi libri in biblioteca, e si ritrovò a pensare con un tranquillo sorriso:

"Grazie a loro, anche stavolta, so come andrà a finire..."

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pnj


20 maggio 1457, Ferrara

Carissima Julia,
sono dispiaciutissimo delli eventi accorsi nella Vostra terra. Come sapete non sono homo d'arme ed in cuesto momento trovommi presso la corte delli parenti miei a Ferrara. Rimarrò quivi per concludere l'opera che ho principiato da tempo, e quando le aque sarannonsi quetate provvederò nel farVi visita in le terre Milanesi.

Non havete in alcun modo a parlar focosamente contro lo Doge di Genova, ch'io lo conobbi e sappi di che pasta è fatto egli e l'intera stirpe da cui proviene. Inoltre la Repubblica che egli governa è di fatto da tempo conosciuta come La Superba, e non a caso! Immaginar si dovea che laddove la diplomazia non aggradasse a quel popolo avrebber usato l'arme ed il foco!

Ben ricordo quand'ancora li tractati d'alleanza tra lo Duca di Milano e lo Doge di Genova non existevano, accadde a quel tempo che la diplomazia tra li due stati fallò e furno chiuse le frontere. Genova mai volse piegarsi alle richieste dello Duca e per le strade si sentivano li istessi popolani deridere lo governo di Milano e gridare che eran affari de milanesi se non avevan più desiderio di veder lo mare.

Ben capite che nello spirito dello popolo genovese è di ruggire, e dunque lo Doge, che è nominato secondo l'ordinamento della repubblica, non puote andare contro allo volere e alli costumi dello popolo suo. Non habbiatene contro lo Doge dicevo, ché egli agisce secondo il volere della Superba. E non habbiatene contro la Duchessa Vostra, che debbe rispettare lo tractato di alleanza fatto.

Li tempi in cui siamo sono mali tempi. Molti scriptori invocano uno regno italico che ponga fine alle fratricide lotte che da secoli ormai ci perseguitano. Eppure credo io che anche allora non sarebbe pace, poiché l'uomo è aggressivo e se non morde li simili suoi, si riempie le viscere di scura bile e soffre di indicibili mali dell'animo e del corpo.

Questo dono del maligno non possiamo cederlo, ordunque poiché costretti siamo a scannarci comme fiere nella arena, ben da fiere convien agire.
Si prendano le spade e faccia a faccia e combattano i fratelli italici, mostrando ogniuno lo suo valore dinnanzi all'Altissimo e dinnanzi alli homini. Che tornino li tempi della cavalleria quando li eroi si scontravano per futilità, ma senza mai recedere e senza temer d'alcunché. Tornino i tempi della virtù che aleggiava nelli animi delli nostri avi!

Julia mia cara, insieme a questa epistola ho deciso di spedirVi un passo dell'opera mia, sperando che possa allietare i tempi futuri e Vi faccia dimenticare i pensieri di prigionia che recate. Ad ogni modo nessuna guerra è eterna e fida che li nobili milanesi riapriranno li confini di modo che Voi possa ire alla volta dello Vostro zio malato di Mantua.
Mi auguro che questa belligeranza termini prima della mia opera e che Voi possiate infin riveder lo zio, al quale Vi prego di porre i miei saluti e rispetti.

Servo Vostro,
Maeglin da Luccafòra d'Este-Welfen


Amsterdam707

All'imbrunire

La taverna a sera si riempiva di gente.

Il Sindaco, nel suo angolo riservato, su una pedana nell’angolo accanto al bancone, sorseggiava da solo un sidro.

Si divertiva a guardare volti atteggiamenti e manie dei personaggi che entravano.

Il camino sulla parete di fondo ardeva in previsione della sera, gli arrosti e i pentoloni erano a cuocere sulle fiamme vispe e guizzanti di ciocchi di legna ben stagionata. Il cuoco dirigeva gli inservienti che andavano e venivano dal retro, scodellando zuppe e tagli d’arrosto a seconda delle richieste. La taverniera e il ragazzo servivano ai tavoli.

E il Sindaco osservava.

Ormai sapeva riconoscere contrabbandieri e lestofanti, uomini senza un nome e stranieri con il cappuccio in testa, nonostante il caldo.

Capiva chi sedeva alla luce e chi al buio, e perché.

E si divertiva ad ascoltare discorsi.


“Il Consiglio ci ha trascinato in questa guerra, e ora che c’è anche Venezia, dove andremo a finire?”

“Vedi tu, se non verranno fin qua a chiedere un tributo, e speriamo che sia solo di ducati, e non di sangue”

“Da parte mia offro il tuo sangue in luogo dei miei ducati!” Un grosso mercante aveva parlato toccandosi la borsa, e suscitando l’ilarità dei vicini.

“Guardate, io ve lo dico ora e poi non ditemi che non l’avevo detto: questa guerra è una iattura, non si può viaggiare, non si può commerciare, solo stare fermi a non far nulla”

“Già, e i divertimenti ,e i giochi, i canti e i balli… già non ce li ricordiamo più!”

“Ma poi, una dichiarazione di guerra in questo modo, senza una ragione né un motivo, che forse i modenesi ci avevano attaccato?”

“Io di Genova non mi fiderei neanche morto!”

“Vedrai se ci metterai molto a fidarti, visto che tra poco saremo morti tutti!”

Amsterdam pensò che a quel tavolo ci fossero un bel gruppetto di vesciche piene d’aria, che quando esce fa un rumore… soltanto per il gusto di farlo…

Eppure urlavano e sbraitavano come se fossero loro i padroni, anche infastidendo chi, la maggioranza, in santa pace, stava consumando il proprio pasto serale.

Si chiese se non fosse il caso di farli calmare, mentre osservava Osman il gigantesco nero che portava dentro un’enorme bracciata di legna per il camino. Poi pensò che tanto valeva lasciar sfogare quelle vesciche e che non avrebbero potuto fare nulla di male, per il semplice fatto che erano bravi solo a parlare.

Uscì fuori incontro all’imbrunire, guardò verso l’oscuro est e incrociò lo sguardo di uno dei miliziani di ronda. Mandò a chiamare il Tenente dei Lanceri e quando arrivò dopo poco, anch’egli di ronda, gli disse:


“Perlesvaus, tieni d’occhio i due stranieri dietro la porta, quelli coi cappucci. A mio parere sono modenesi.”

Perlesvaus rispose:

“Li ho incontrati stamattina al mercato, sono di Mirandola e Guastalla, sono qui con due moribondi che l’arte dei nostri medici dovrebbe riuscire a guarire. Devono farsi riconoscere mane e sera, sennò li sbatto dentro” concluse con un sorrisò facendo girare il gran mazzo di chiavi tolto dalla cintura.

Amsterdam diede una pacca sulla spalla al Tenente e rientrò nella taverna. Passando vicino alle vesciche urlanti, piene solo d’aria e di sé, livorose contro il mondo perché infine incapaci di comprenderlo, pensò tra sé e sé:


“Almeno pagano la loro birra”.

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