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Le Giornate di Milano

pnj
Danitheripper cercò di calmarsi e di distendere le membra contratte. Tante parole, troppe parole. Servivano fatti. Serviva prendere congedo da quel passato troppo ingombrante da soldato. Guardò le insegne di Ananke, l’ineluttabile … un’ala che spicca su di un cielo nero. Un’ala che ti fa illudere di poter volare ma che non ti permette di farlo, da sola, senza un’altra che l’accompagni. Ananke non ha mai avuto un volto, nulla si può chiedere a colei che non ascolta. Ananke è l’ineluttabile, l'impossibilità di trovare altre strade, il percepire la struttura della vita nella sua essenza. Ananke doveva sparire, la decisione era presa. Pioveva prima ancora che lei prendesse la sua decisione, pioveva ed era il primo di aprile … un giorno perfetto per morire o per uccidere.

Rimembrava le parole con cui aveva preso commiato dai suoi compagni d’arme …
“Vado via perché è inevitabile … Vado via perché mi sono sentita tradita dalle persone che maggiormente stimavo … eppure la stima e l’affetto restano … tradire è inevitabile perché nasce da aspettative che partono dal tradito, non dal traditore”. Parlava ancora di se stessa come tradito lungi dal condannare il traditore.

Rideva ed il suo volto era rigato dalla pioggia mentre ripensava all’analisi razionale che aveva imbandito davanti a quegli sguardi perplessi e delusi. “Tradire deriva da trans e do, - aveva spiegato ai soldati - ovvero un atto di passaggio da un qualcosa a qualcosa di diverso, quindi una trasformazione. La vita non tradisce mai o, se preferite, tradisce sempre. A noi godere di questo divertimento o irrigidirci in finte necessità. Ecco, io me la voglio godere questa vita, voglio coglierne le sfumature”. E poi quell’ammissione, quello sfogo inascoltato quando ancora i fatti di Milano non rientravano nei suoi progetti “Le mie future decisioni mi porteranno a tradire anche voi tutti, che siete stati la mia famiglia, forse cambierò paese, probabilmente mi arruolerò altrove, ma se mai avremo la ventura di ucciderci a vicenda o di ritrovarci su posizioni del tutto divergenti, sappiate che per me voi siete e resterete sempre i miei fratelli e le mie sorelle”. Infine le sue ultime parole sibilline “Io non posso continuare a servire un Duca che dice tutto e il contrario di tutto”. Non sapeva nulla allora, era accecata da una rabbia sorda la cui origine solo in pochi conoscevano e comprendevano.

Aveva fatto a pezzi Ananke, non poteva intrattenersi a Fornovo, partire prima di pentirsi del passato. Il nuovo, l’ignoto l’attendevano, aveva bisogno di bere. In Taverna trovò Imprimatur, Never e Walden. Anche loro avevano fatto parte di Ananke e anche loro avevano diritto di sapere. “Ragazzi, brindiamo alla fine dell’armata bionda e alla mia partenza”. Imprimatur la guardò con comprensione. Era un soldato valoroso e si era dimostrata un’amica.

Poi come attratto dallo sgomento degli astanti si era presentato in Taverna Tergesteo. Il silenzio aveva accompagnato il suo percorso. Egli si sedette ad un tavolo in fondo al locale e Danitheripper vide divertita come quegli stessi che gli si erano avvicinati per un saluto o un commento erano stati lesti ad allontanarsi da lui. “Mai la parola giusta nel momento giusto – disse a Imprimatur – Questo è Tergesteo”.

Danitheripper non poté fare a meno di andargli incontro. "Fratello, non mi vorrai negare un brindisi?" gli disse porgendogli un bicchiere. Lui non perse tempo in preamboli “Hai già deciso di andare, vero sorella?"
"Sì, Tergesteo, ho deciso..."
"Capisco... dove?"
"Ha importanza per te?"
"No, non cambierebbe nulla... effettivamente , nulla"


Lo vide stringere il pugno e sanguinare.
"Fratello, perchè continui a farti del male?" Lui l’aveva guardata, due occhi scuri come la notte: "Sono un pazzo, no? Io non necessito di ragioni nè di giustificazioni..."

La sua mano grondava sangue e lui gliela indicò "Ti chiedo di rammentare quanto mi hai promesso, soltanto...rammenta"
"Lo farò ... vedi? Ho la stessa cicatrice : siamo legati da un vincolo di sangue..."


Una cicatrice contro una ferita aperta, un solo taglio e due promesse.
"Come ad un nemico o come ad un fratello?"
Danitheripper rise, egli dunque sapeva che andava disseminando promesse prima delle sue partenze: "L'hai detto tu che non fà differenza, non ricordi più, soldato Barbarigo?"
"E' vero..."


Tergesteo si alzò e andò verso l’uscita “Tergesteo … “ Provò a fermarlo, come se pronunziare il suo nome bastasse a farlo. Fu inutile. Guadagnò l’uscita e mentre lui le dava le spalle gridò il suo nome. Un tuono rispose in lontananza ma Tergesteo non si voltò. “Tu non sei pazzo Tergesteo sei solo …” gridò alle gocce che li accarezzavano. Non terminò la frase.
Tergesteo
L'alba.
Un timido sole tentava di emergere dal buio della notte e dal piombo delle nubi.

Tergesteo era ancora sulle mura.
Era fradicio d'acqua, seduta fra due merli , abbracciato alla spada, la testa reclinata sul piatto della lama.
Il contatto con l'acciaio gelido quasi gli bruciava la gota.
Eppure non aveva intenzione di muoversi.Non ancora.
Nel gelo di un alba livida cristallizzare nel ricordo le ultime immagini.

L'alba.
L'inizio di una storia già vissuta.Il morso del serpente dell'eterno ritorno.

L'alba.
Un rumore di cavalcatura da sotto le mura.Un destriero che si allontana.

Tergesteo alzò lo sguardo. Era lei.
Il cavallo era lanciato al galoppo. Avrebbe percorso la strada che spariva dietro la collina in pochissimo tempo.

Tergesteo osservava . Avrebbe voluto gridare.
Ma ormai il freddo lo aveva fatto prigioniero.
Si chiedeva se anche stavolta l'oblio gli sarebbe stato amico.
Se seppure diverso, tutto ritornasse uguale.
Si passò la mano ferita sul volto, ad asciugarsi il viso. O a ricordare a se stesso di una promessa.

L'alba.
Cavallo e cavaliere scomparvero dietro alla collina.
Al gelo s'accompagnò una sensazione di vuoto.


Era tempo di ricominciare. Nuovamente. Una tortura circolare.
Come una ruota che staccasse brandelli dall'animo del pazzo.

Si strinse alla propria spada e chiuse gli occhi.
Davanti agli occhi danzavano immagini e parole.


"L'eterno ritorno. Mi si apre un abisso nell'anima e un soffio freddo mi sfiora il volto livido. Ciò che sono stato e non sarò più eppure sarò di nuovo!
Ciò che ho avuto, e non riavrò!
Quando evoco quanto ho perduto la mia ani­ma si raffredda e io mi sento esiliato dai cuori, solo nella notte di me stesso, piangendo come un mendicante il silenzio sbarrato di tutte le porte"


Tergesteo rimase ancora per qualche tempo seduto sulle mura.
Nel gelo di un alba livida voleva cristallizzare nel ricordo le ultime immagini.
pnj
Partire e subito. Prima che una vocina dentro potesse farle cambiare idea. Ananke non c’era più, capitolo chiuso, basta con tutto … con l’esercito, le ronde, la caccia ai briganti. Adesso avrebbe potuto viaggiare senza dover compilare moduli, avrebbe potuto studiare di mattina, come tutte le persone normali, basta nottate rubate occasionalmente ai suoi doveri di soldato, basta legami, basta tutto.

Partenza o fuga … che differenza c’era? Fuggiva da quelle persone che la facevano stare bene, fuggiva dalla pace di un focolare, fuggiva anche da Tergesteo. Se quella notte lui fosse tornato indietro lei avrebbe finito quell’ultima frase “Tu non sei pazzo Tergesteo ... sei solo …” sì, solo, non pazzo ma solo. Avrebbe terminato dicendo “Vieni con me”. Non una domanda, non un invito, forse una supplica. Due solitudini che si uniscono non fanno una moltitudine, restano due solitudini. Si sentì stupida, e più si sentiva così, più le sue gambe colpivano Ronzinante per spingerlo al galoppo. Veloce verso l’ignoto.

Tutti nascondono vizi, problemi, a volte drammi ed esperienze sconvolgenti alle spalle, quel soldato non li celava, il suo passato era lì, davanti gli occhi di tutti. Danitheripper pensava ormai a lui con una nuova certezza: egli non era pazzo, egli era solo. La pazzia è un dolce rifugio per l’animo, il pazzo non può essere triste, gli altri lo additano, lo sfuggono, ma egli che impaccio può averne? Il pazzo è beato poiché non sa di godere dei favori della follia. Tergesteo era consapevole della sua follia per cui egli non poteva essere pazzo. Ricordava la storia di un principe danese … questi aveva la stessa follia di Tergesteo ... chiassosa, iraconda, offensiva, teatrale e indecifrabile. “Sono pazzo solo fra tramontana e maestrale - egli diceva - Quando soffia da scirocco distinguo un falco da un falcetto”.

Un’ossessione … dopo quell’atroce notte passata a vegliare il suo sonno inquieto. “Aspettami … oppure dimenticami”. Per lei che aveva sempre fuggito gli altri quel soldato era uno strano enigma di cui cercava soluzioni. “Non sono affari tuoi” si ripeteva ma poi la follia giungeva fino a lei e sentiva nella testa le parole di un’altra donna “… con uno sguardo di così pietosa espressione come s’egli fosse stato liberato dall’inferno per parlare di orrori”. Chi era costei che le descriveva ciò che lei aveva veduto?

La solitudine è un macigno che non tutti sono in grado di reggere, lui la recava con sé preceduta dal suo urlo straziante. Vedeva oltre ed era solo. Anche lei era sola, ma la sua solitudine le era sembrata un peso meno intollerabile dopo aver sfiorato quella di Tergesteo.

E adesso fuggiva, cavalcava come indemoniata lontano da quello che era stata. Se fosse rimasta avrebbe cercato di guarire Tergesteo e avrebbe finito col fargli del male. Lei non era un medico, era un macellaio, padroneggiava la spada, ma non era brava con le persone. “Hai la grazia di una libellula e la delicatezza di un elefante - le diceva il suo maestro. Pensa a combattere Dani, e sii brava, le relazioni sociali non fanno per te”.

Fornovo si allontanava alle sue spalle, Danitheripper non si voltò mai a guardare. Parole, voci, canti si sovrapponevano, giungendo da chissà dove, e formavano una nenia familiare.

"Pure, se farò parola, sprofonderò senza un suono
in abissi privi di senso. Imparerò a soffrire
senza dire qualcosa di ironico o di buffo
sulla sofferenza? Non sospettavo che la via della verità
fosse una via di silenzio dove la conversazione familiare
è l’agguato di un ladro e persino la buona musica
di pessimo gusto; e tu, naturalmente, non me l’avevi detto mai".
Tergesteo
Tiepido giorno di primavera.
Tergesteo ritornò al suo campo di grano da tempo incolto.
Era tempo di prepararsi alla messe.

Strappò le erbacce che soffocavano il terreno.
Rivoltò le zolle.
La terra umida ancora delle abbondanti piogge si trasformava in fango.
Il fango.
Giaciglio del soldato.
Quel terreno che ti trascina con sè verso il cuore della terra o verso la fossa lo conobbe duranti i pattugliamenti di "Gemina Obscura".
Il fango rendeva il cammino pesante.


Si guardò attorno.
Silenzio.
Solo stormi di corvi che gracchiavano volteggiando sopra la sua testa.

Sorrise. Erano più gradevoli di altri corvi che gracchiavano in continuazioni e si cibavano di carcasse.
La carcassa di un leone che avrebbe potuto spiccare un balzo ma che invece è morto avvelenato. Ed essi si nutrivano anche del veleno.
E lo diffondevano, pure.

Il silenzio d'intorno lo inquietava.
Si sedette nel fango.Stordito.
Le tempie gli pulsavano.

Era il preludio all'orrore.

Si accoccolò a terrà. La testa tra le mani. Attendeva l'urto di una forza invisibile.
Che non si fece attendere.

Vedeva un campo di grano biondeggiare smosso dal vento.
E null'altro attorno. Solo un movimento di messi lento e sensuale.
E una voce. Quella voce.


"“O solitudine! Tu solitudine, mia patria. Troppo a lungo ho vissuto selvaggio in paese selvaggio, da non tornare con lacrime di gioia alla tua dimora!
Ora minacciami solo con il dito, come minacciano le madri, sorridimi, come sorridono le madri, dimmi dunque: 'E chi era colui che un giorno fuggì via da me come un vento di tempesta?
...che andandosene esclamò: troppo a lungo ho vissuto con la solitudine, e così ho disimparato a tacere! E ora - l'hai tu imparato?

O Tergesteo, io so tutto: e che tu nella moltitudine ti sentivi abbandonato, più solo che con me!

Altra cosa è l'abbandono, altra la solitudine: questo l'hai imparato! E che tra gli uomini tu sarai sempre un selvaggio e un estraneo: selvaggio ed estraneo anche se essi ti amassero.
Ma qui invece tu sei nella tua dimora e in casa; qui tu puoi dire tutto liberamente e sfogarti fino in fondo, qui non c'è da vergognarsi dei sentimenti intimi e tenaci.
Qui tutte le cose vengono carezzevoli al tuo labbro e ti lusingano: poiché vogliono cavalcare su questo dorso. Tu cavalchi qui verso ogni verità.

Ma altra cosa è l'abbandono. Ti ricordi ancora, o Tergesteo?
Rammenti?"

O Solitudine! Tu solitudine, mia patria! Come mi parla beata e carezzevole la tua voce!
Noi non ci facciamo domande l'un l'altro, noi andiamo apertamente insieme attraverso porte aperte.

Qui si aprono tutte le parole e tutti gli scrigni delle parole di vita: qui ogni vita vuoi divenire parola, ogni divenire vuole imparare da me a parlare.
Ma laggiù, tra gli uomini , ogni parola è vana! Là, la miglior saggezza è dimenticare e passar oltre: questo ho appreso ora!

O beato silenzio intorno a me! O puri profumi a me d'intorno! O come questo silenzio respira puro dal profondo del petto! Come sembra stare in ascolto, questo beato silenzio!
Laggiù, invece, tutti parlano, e nessuno ascolta. Si gridi pure la saggezza con le campane: i mercanti del mercato vinceranno il loro buono con il tintinnio delle monete!
Tutti parlano, nessuno sa più comprendere. Tutto cade nell'acqua, ma niente cade più nelle profonde fontane.
Tutti parlano e nulla giunge più a buon fine. Tutti gracchiano, ma chi vorrà sedere tranquillo sul proprio nido a covare le uova?
Tutti parlano, tutto è svelato. E ciò che una volta era chiamato segreto e mistero delle anime profonde, oggi appartiene ai trombettieri di piazza e ad altri farfalloni.

O umanità, strana cosa! O strepito per le vie oscure! Ora tu stai di nuovo dietro di me: il mio più grande pericolo sta alle mie spalle!
Si disimpara l'uomo, quando si vive tra gli uomini: in ogni uomo c'è troppa facciata; a che servono occhi di lunga brama, di lunga portata?
E quando mi disconoscevano, io, folle, ero con loro più indulgente che con me: ero abituato alla durezza contro me stesso e spesso facevo vendetta su me stesso di questa indulgenza.

Punzecchiato dalle mosche velenose e corroso, come una pietra, dalle troppe gocce di malvagità, sedevo tra di loro e dicevo a me stesso: 'Tutto ciò che è piccolo è innocente per la sua piccineria!'
Particolarmente in coloro che si dicono 'buoni', ho trovato le mosche più velenose: pungono in tutta innocenza, mentono in tutta innocenza; come potrebbero essere giusti verso di me!

O Solitudine! Tu solitudine, mia patria! "


Si rprese poco dopo. I corvi erano scesi e gli stavano attorno.
Trascinandosi gettò loro una manciata di terra.
Le bestie si levarono in volo gracchiando e irridendo Tergesteo

"Via da me bestie dell'Ade ... sono ancora un boccone troppo duro per i vostri becchi!" gridò.

Solo un corvo restava fermo a fissarlo.
Occhi liquidi e neri come la notte, profondi come l'abisso.
Tergesteo lo fissava a sua volta.


"Chiediti se hai appena udito la verità o una pia illusione..."sembrava esclamare l'animale...
Braken


Quel mattino un uomo dal volto austero si presentò a casa di Braken.
Fu ricevuto dal padrone di casa che con le braccia incrociate sul petto lo fissò a lungo prima di rivolgergli la parola:
- "Lei è un assassino?" disse finalmente Braken a bassa voce
- "Sono un soldato." rispose l'uomo leggermente stupito
- "Ne l'uno ne l'altro lei è un galoppino mandato dal droghiere ad incassare i conti sopsesi."

Con un sospiro il Colonnello Braken si sprofondò in una poltrona senza rivolgere all'ospite l'invito a fare altrettanto.
- "Bene Messer Galoppino. Dimmi cosa vuoi e chi ti manda."
-"Vengo per incarico del tribunale per rendervi noto che queste accuse sono state formulate nei vostri confronti..."

Con un balzo Braken fu addosso all'uomo e gli strappò dalle mani il documento sigillato.
- "TRIBUNALE??????? ACCUSE??????? PROCESSO???????? MA QUALE PAZZIA E' MAI QUESTA???????"
furibondo si diresse verso il camino pronto a gettare nel fuoco quelle carte, ma improvvisamente cambiò idea e con rapidi passi fu di nuovo faccia a faccia con il suo ospite che afferrò per il bavero.
-PURE TU GALOPPINO! PURE TU VERO COMPRENDI LA FOLLIA DI TUTTO CIO'? - poi calmatosi, proseguì a bassa voce, parlando più a se stesso che ad altri - "Avremmo potuto risolvere tutto questo come delle persone civili. Con le nostre spade. Avremmo potuto irrorare col nostro sangue i campi del biondo grano sotto lo splendente sole di primavera.... sarebbe stato bello e nobile e invece il tribunale! Il processo..... fredde aule di tribunale.... umidità... reumatismi....che schifezza."

Improvvisamente lasciò andare il malcapitato funzionario che perse l'equilibrio e cadde.
-Su, su Galoppino, non fare così. Non è mica colpa tua diamine. Anzi ti chiedo scusa se mi sono comportato maleducatamente. Tu sei solo un poveraccio che non c'entra niente. Dai dai " - sorrise finalmente con fare amichevole - "Ciapa la cadregha e setes *"
ma il funzionario sempre più basito non mosse muscolo.
-"Oh Signur"- commentò Braken - "L'è restà cumpagn de quel de la mascherpa**..... Dai Galoppa ho detto di prendere la sedia e accomodarti. Tu sei del ducato di Milano vero? Vedo vedo.....
e sempre più sconsolato il Colonnello versò in un generoso boccale del vino per lo sventurato funzionario galoppino.........



*Prendi la sedia e siediti.
** E' rimasto di stucco come quello del mascarpone.
pnj
Guastalla, l’alba di un nuovo giorno. Sapere cosa si lascia e accettare per buono ciò che si va a trovare. Con questa disposizione d’animo Danitheripper si affacciò nel nuovo mondo. Un lago, come a Piacenza, il desiderio di nuotare, di non dimenticare le proprie origini nonostante la fuga. Ronzinante sembrò indovinare i suoi desideri e scelse da solo la direzione. Le bionde messi trafitte dal sole nascente salutavano la nuova arrivata al suo passaggio. La pioggia era cessata e con essa il sollievo che le aveva procurato subissandola. Quell’inattesa visione di acque scarlatte aveva placato i suoi sensi inquieti.

Svestiti i suoi panni Danitheripper lasciò che le gelide acque del lago annegassero i suoi pensieri. Mille colori di vita e di morte, di veglia e di sonno concessero sazio al suo corpo spogliato che si muoveva sicuro sotto la superficie immota. Fu allora che una voce di donna tornò:


“Oh, qual nobile mente è qui sconvolta!
Occhio di cortigiano,
lingua di dotto, spada di soldato;
la speranza e la rosa del giardino
del nostro regno, specchio della moda,
modello d'eleganza,
ammirazione del genere umano,
tutto, e per tutto, in lui così svanito!...
Ed io, la più infelice e derelitta
delle donne, ch'ho assaporato il miele
degli armoniosi voti del suo cuore,
debbo mirare adesso, desolata,
questo sublime, nobile intelletto
risuonare d'un suono fesso, stridulo,
come una bella campana stonata;
l'ineguagliata sua forma, e l'aspetto
fiorente di bellezza giovanile
guaste da questa specie di delirio!...
Me misera, che ho visto quel che ho visto,
e vedo quel che seguito a vedere!”


Nell’oblio delle acque Danitheripper lasciava che la follia s’impadronisse di lei e cedeva a quella voce sperando che l’aiutasse ad accettare senza domandare ed a curare senza guarire.

“Ho come l’impressione che egli desideri che io lo fermi ma non so interpretare i suoi sogni” le diceva ondeggiando e la voce tornava raccontando la sua storia e svelando un destino:

“ … un mattino d'aprile, un bel cavaliere pallido,
Un povero pazzo, si sedette muto ai tuoi ginocchi.
Cielo! Amore! Libertà! Quale sogno, o povera Folle!
Ti scioglievi per lui come la neve al fuoco:
Le tue grandi visioni ti strozzavan le parole
E il terribile Infinito sconvolse il tuo sguardo azzurro!”


Ascoltava e nuotava nel silenzio dell’alba, finché non ne ebbe abbastanza di quelle parole e di quella pace.

Era partita dal suo Ducato dopo essere stata certa che né i suoi amici né i suoi nemici avessero bisogno di lei ma il sapere i suoi complici sotto processo negava alla libertà lo schietto piacere dell’oblio. Non poteva restare indifferente di fronte a quelle leggi così carenti che le avevano negato di pagare il fio di un misfatto voluto, cercato e organizzato. Avrebbe scortato l’amico cui la legava un antica parentela poi sarebbe tornata a reclamare il suo.

Pensava di scrivere al Prefetto, iniziava una lettera, appallottolava il foglio e con un rapido movimento del polso centrava l’apertura del caminetto e lo spediva a far compagnia alle altre lettere che non avrebbe spedito mai. Alla fine il risultato la soddisfò.



“Egregio Prefetto Mutuuu,
sono colpevole, colpevole di un delitto che non ha causato vittime eppure colpevole perché ho osato, perché ho creduto che gli uomini possono cambiare ma che per farlo hanno bisogno di essere destati. Non ho ucciso nessuno, ho fatto di più: ho ucciso il Certo. Sono colpevole perché ho tramato, non contro le Istituzioni ma contro gli uomini che facevano scempio di tali Istituzioni. Ho tramato persino contro Voi, che accettavate in silenzio il declino del Nostro Ducato.

Il potere, quando appresta il peggio di sé, non dice più Io, ma si fa impersonale. Come sempre, nel peggio, niente di personale. Adesso essere Duca non basterà più a farsi creder taumaturghi. Il Duca uccise un Duca che uccise un Duca … un patetico sogno d’immunità. Non io lo dico ma un uomo che mi sovrasta per genio e ardore che “governare è far credere” e che "li uomini sdimenticano più presto la morte del padre che la perdita del patrimonio” orbene noi abbiamo ucciso idealmente un padre ma non abbiamo toccato un solo ducato, non per questo potete dimenticare il mio ruolo e le mie colpe. Vedo il Vostro spirito, sento il vigore del Vostro spirito e Vi ricordo che Voi mi siete in debito. Vi ho restituito il senso del Vostro ruolo, in cambio non chiedo che un processo. Giudicatemi come io ho giudicato Voi ed i Vostri colleghi. Non esiste il mio reato? Createlo! Mi sono armata contro la giustizia, io sono rea di aver istigato il delitto di cui i miei compagni Porcelli Mannari sono accusati, fate in modo che l’istigazione a delinquere sia codificata e applicata e fate che io renda conto al mio Ducato di averlo messo in pericolo. Usatemi la grazia delle aggravanti poiché io sono colpevole di associazione a delinquere di stampo mannaro.

In fede, Lady Dani Ragnarson Epelfing”


Danitheripper affidò la lettera a un viandante in partenza e sperò che Mutuuu fosse in grado di dar seguito alle sue richieste. Troppi reati restano impuniti perché non esistono ...
Tergesteo
Tergesteo si dibatteva nella propria stanza come un animale feroce in gabbia.

Il corvo. I suoi occhi. Quella domanda.

Si trascinava nella stanza buia, illuminata sola dalla luce vespertina che trafilava dalle persiane.

"E' là fuori. Attende. Io lo so . Lo percepisco."

Spiava dalla finestra il proprio delirio. Madido di sudore, cercava di dare un senso a quella visione.
L'aria sembrava calda come in un forno.
Si sarebbe detto che gli Inferi fossero venuti a reclamarlo.


"Fornovo. Sono qui da qualche giorno e mi sta già lasciando andare.
Darei chissà che cosa per ritornare a combattere.
Assurdo. Quando ero nel fango volevo tornare a casa. Ora voglio stringere di nuovo la spada tra le mani … e cacciarla in qualche gola!".


Sentiva la pelle bruciare , i polmoni che si gonfiavano e sgonfiavano come un mantice che alimenti il fuoco.

Ritornare a roteare una spada per morire con un sorriso sulle labbra e tener fede al patto.
L'attesa lo stava uccidendo.

Tergesteo si passava nervosamente la mano ferita sul volto.

Il cuore gli pulsava come volesse uscirgli dal petto, facendogli vibrare il collo.


Osservava un ragno scendere dalla parete

Chiuse gli occhi e vide se stesso avvolto in una ragnatela. Un aracnide immondo lo fissava , la bava alla bocca, le zampe rapaci.


“Ecco, questa è la spelonca della tarantola! Vuoi proprio vederla? Qui è sospesa la sua tela: toccala, che tremi.
Eccola venire di buona voglia: benvenuta, tarantola! Nero hai sul dorso il tuo triangolo e contrassegno, e so anche quel che hai nell’anima.
Vendetta hai nell’anima: dove mordi cresce una crosta nera; con la vendetta il tuo veleno fa turbinare l’anima!
Così parlo a voi con una similitudine, voi che fate turbinare le anime, voi predicatori dellla virtù!
Tarantole siete per me e nascostamente vendicativi! Ma si portino alla luce i vostri nascondigli!
Perciò do strappi alla vostra tela, perché la vostra rabbia vi attiri fuori dalla vostra spelonca di menzogne, e la vostra vendetta salti fuori dietro la vostra parola "giustizia". Infatti che l’uomo sia redento dalla vendetta è per me il ponte verso la più alta speranza e un arcobaleno dopo lunghi temporali.

Ma ben altro vogliono le tarantole. "Proprio questo significhi per noi giustizia: che il mondo si riempia delle tempeste della nostra vendetta", così docono fra loro.
"Noi vogliamo compiere vendetta e oltraggio contro tutti coloro che non sono come noi", così promettono a sé stessi i cuori di tarantola.
"E volontà di giustizia deve proprio diventare d'ora in poi il nome della virtù, e noi vogliamo levare le nostre grida contro tutto ciò che ha potenza!".

Voi predicatori della virtù, così la tirannica follia dell'impotenza fuoriesce da voi, chiedendo a gran voce giustizia : le vostre più segrete voglie di tirannide si mascherano così in parole di virtù!

Essi assomigliano agli entusiasti: ma non è il cuore a entusiasmarli, bensì la vendetta. E quando diventano fini e freddi non è lo spirito, bensì l'invidia a farli diventare fini e freddi.

La loro gelosia li porta anche sul sentiero dei pensatori e questo è il segno della loro gelosia, vanno sempre troppo lontano così che la loro stanchezza deve infine mettersi a dormire sulla neve.
Da ciascuno dei loro lamenti risuona la vendetta, in ciascuna delle loro lodi vi è un intento malvagio, e beatitudine sembra loro l'essere giudici.

Ma io vi consiglio, folli: diffidate di tutti coloro in cui è forte l'istinto di punire!
E' gente di mala specie e origine, dai loro volti guarda il carnefice segugio.

Diffidate di tutti coloro che parlano molto della loro giustizia. Davvero alle loro anime non manca solo il miele.
E se essi chiamano sé stessi buoni e giusti, non dimenticate che a loro, per essere farisei, non manca niente altro che la potenza!”


Vide nella ragnatela i suoi compagni di lotta. Vide lei prigioniera. Vide approssimarsi la tarantola immonda.
La ragnatela lo serrava.
Nulla poteva fare per portare ausilio a se stesso e ai suoi compagni.
La vide immobile , derubata del suo spirito guerriero.

Si accorse di essere disteso a terra mentre gridava come solo un pazzo può gridare.
Mutuuu
Mutuuu era nel suo ufficio.. Lavorava sempre solo, ligio ad una legge che lo aveva reso schiavo, una macchina.

Il tuo destino è questo, si disse, applichi le leggi alla lettera senza ragionarci, sei una macchina giuridica, non un uomo.

E se le leggi ti ordinassero di uccidere tutti quelli che si ubriacano in taverna che faresti? La risposta in cuor suo era scontata: li avrebbe mandati tutti a morte.

Non un uomo, ma una macchina, ecco cos'era. Sulla legge era ferreo, ogni parola era un vangelo, ogni singolo articolo poteva modificarne il significato. Questa idea gli nacque in testa dai tempi cui faceva il viceprefetto: IMPARZIALITA' si era ripetuto nelle notti, La legge è tutto, te non sei niente. Vale solo ciò che c'è scritto, le tue considerazioni puoi lasciarle ad altri. NON HAI voce in capitolo, non puoi permetterti di pensare: tutto è già scritto nella legge: devi solo applicarla senza fiatare.

Uno schiavo, appunto, una macchina. Mai a nessuno era venuto in mente che potesse avere una sua idea, mai. Lo vedevano tutti in modo ostile, perchè le macchine non hanno anima. Non c'è spazio per le opinioni personali nella legge. La legge è scritta, non ha bisogno di interpretazioni o opinioni. Se vai contro a ciò che c'è scritto, sei condannato.

Coloro che vaneggiavano uno sbaglio di accusa a causa del buon senso lo facevano sorridere. Niente di più sbagliato: il buon senso non è legge, e la legge comanda. Puoi accusarmi al massimo di non avere buon senso, ma la legge canta: se hai sbagliato paghi, se l'hai infranta, paghi. Il buon senso non ha valore giuridico, non può annullare una sentenza.

Lui, macchina, non aveva buon senso.. Lo lasciava ad altri. Per lui solo le leggi scritte avevano valore, il resto, le chiacchiere, le idee, le lasciava agli altri, non gli interessavano.

Si pensava: dammi una legge che mi obblighi a seguire la norma specifica invece di quella generale e io ne sarò ligio. Ma attualmente questa non esiste, e dunque io non sono obbligato a seguirla. Era stufo sempre delle chiacchiere. Per lui, macchina, era tutto chiaro. Aggiungi un comando alla macchina ed essa te lo seguirà, lascia il tutto sul vago, sul non scritto, ed essa deciderà come meglio crede, senza aver modo di impugnare una eventuale decisione.. e sorrideva quando le persone si arrabbiavano per la decisione presa: leva la discrezione, nella legge non ci deve essere. Tutto è regolato su norme. Se non ci sono norme non puoi prendertela per la decisione.

Si passò una mano tra i capelli, nervoso. In quel momento qualcuno bussò alla porta.

Avanti!

Entrò un messo con una lettera in mano. La posò sulla sua scrivania e se ne andò senza aspettare un cenno. Chiuse la porta dietro di sè.

Di nuovo solo. Guardò la lettera, l'aprì. La svolse e la lesse.

Rimase con lo sguardo a mezz'aria a pensare. Lui che si era fidato di Ananke e di tutti i cittadini che poi hanno assaltato il castello. Ne era stato fregato come un pollo, inutile negarlo. Tutte le sue certezze sulla capitale erano crollate: l'emorragia veniva dall'interno, inaspettata come una pugnalata alle spalle.

Vigliacchi! Si disse. Che azione onorevole, da bravi soldati avete svolto.. Siete andati contro il vostro ducato, quello cui avete giurato fedeltà: non c'è onore, non c'è gloria per i traditori della patria!

Molto più onore a Sciamano. Per lo meno lui c'ha messo la faccia, ha usato l'astuzia, ha fregato tutti ma alla luce del sole. Voi vi siete nascosti dietro un sotterfugio per poi pugnalare alle spalle. I nemici si combattono a viso aperto, nessun onore per gli assassini alle spalle!

Avete tradito chi credeva in voi, chi in voi riponeva fiducia. Ho ribrezzo verso queste persone: la ferita brucia se viene da un amico caro, da uno in cui riponevi fiducia.

Poi sinceramente siete ridicoli ad accampare scuse come quelle del malgoverno. QUANTI DI VOI, QUANTI hanno aiutato il ducato a migliorare? Hanno fatto critiche costruttive?

L'apoteosi è stata Williamwallace: membro regolare che sedeva in consiglio, riesco a stento a ricordare 3-4 messaggi da lui postati. Il resto.. silenzio.

E' facile prendere un castello.. è facile usare il paravento del malgoverno quando NESSUNO DI VOI HA MAI FATTO NULLA PER MIGLIORARE!

Era rovente dalla rabbia.

Prese una pergamena e incominciò a scrivere.




Buona sera Dama,

Innanzitutto come saprà adesso non sono prefetto in quanto è in atto l'elezione del Duca. Sono il prefetto in pectore solo in quanto lo ero nella passata legislatura, ma adesso, non essendo completamente prefetto preferisco non svolgere i compiti di quella carica, ma rimando tutto al prossimo prefetto.

Detto questo,

Io non tratto con vigliacchi pugnalatori alle spalle, scavalcatori della volontà popolare.
Se c'è una persona che vi odia sono io. Condanno il modo, per me il fine NON GIUSTIFICA MAI i mezzi. Non c'è onore per voi, solo compassione da parte mia, per dei soldati che si sono rivoltati dall'interno verso il Ducato cui hanno giurato fedeltà, ed oltretutto prendendolo con uno stupido sotterfugio. Io combatto solo con chi mi sfida a viso aperto, non con chi assale alle spalle.

Siete proprio la bassezza più grande dei soldati: il vero soldato sa anche cos'è l'onore, voi l'avete perso.

Tornando alla vostra richiesta:

Datemi una prova che avete organizzato la ribellione, perchè sa bene che io non accuso senza prove.

I miei ossequi Dama,
Mutuuu
pnj
Massa. Un’altra alba, un’altra città, un altro lago, un altro tuffo.

Danitheripper si era svegliata di soprassalto mentre si trovava nel nodo che precedeva la sua nuova meta. Aveva preso sonno appoggiata ad un albero, a debita distanza dai resti del frugale pasto che aveva condiviso con Iceboy84 e Magua. Poi, come se dormire non fosse concesso a chi ha aperto la mente alla follia, una sensazione di calore alla gola l’aveva fatta destare urlando. Un ragno si era fatto spazio nella sua bocca e lei lo aveva inavvertitamente ingoiato. Il filo della ragnatela pendeva ancora sotto il suo labbro, lo staccò con noncuranza e si rasserenò pensando a quanto fosse stata stupida ad urlare per un ragnetto.

L’altrove era venuta a trovarla ma lei lo aveva divorato, adesso portava con sé tutte le tristezze della vita del ragno.

Lasciò che i suoi compagni di viaggio dormissero e raggiunse il lago con Ronzinante. Erano così stanchi che neppure il suo urlo li aveva raggiunti, al loro risveglio l’avrebbero trovata lì.

Mentre raggiungeva il lago una giovane donna le si parò innanzi fermando la placida marcia di Ronzinante:
“Rispetta i portatori di saggezza, i guardiani della sacra fiamma della conoscenza. – Le disse con una voce presa in prestito da un sogno. - Egli scelse il silenzio ma usa il potere della sua anima solo quando è necessario, tu non comprendi e credi che parli con te. Ciò che avviene nella sua mente, avviene anche nella realtà, è questa la risposta, adesso lascialo nella sua pace. Gli imbecilli ridono di lui … proprio loro così deboli, così stupidamente normali. A volte nella vita bisogna lasciarsi, per poi ritrovarsi più felici e più ricchi di spirito”.

Danitheripper l'ascoltò senza interrompere e quando la vide allontanarsi non la seguì. Aveva un bagno da fare e non avrebbe ritardato un minuto di più. Nuotando avrebbe finito con l’obliare stavolta, ne era certa, e bramava ardentemente il contatto con le gelide acque.
Quando la soddisfazione di un’alba ben spesa si quietò tornò all’accampamento e, come previsto, vi trovò i due ragazzi ancora dormienti. Mentre s’incamminavano finalmente verso la città furono affiancati da un messaggero
“Dama Epelfing – le si rivolse – ho una missiva per Voi”.

Danitheripper lesse la lettera di Mutuuu sull’onda del buonumore che ancora l’accompagnava e non appena raggiunse la locanda che li avrebbe ospitati per qualche ora radunò le idee e rispose.



Messere Mutuuu,

le Vostre parole mi confermano quanto ancora turbato sia il Vostro animo, eppure se alzaste lo sguardo e guardaste oltre le finestre della vostra stanza Vi stupireste di quello che c’è dietro il nostro gesto e sapreste che quella che disprezzate è una risorsa forte e compatta, utile al Ducato, non nociva. L'amicizia fra soldati è umana e autentica, la fedeltà alla propria patria totalizzante. Guardate quei soldati che adesso denigrate, l’abnegazione di costoro ha reso le nostre strade sicure. Nessuno di noi è particolarmente ricco o erudito, vi basta poco per appurarlo, ed il motivo è semplice: perché abbiamo anteposto la sicurezza del Ducato alle nostre ambizioni personali.

Colui che Voi chiamavate Duca neppure si è preso la briga di ritardare per un paio di giorni la seconda laurea quando gli fu chiesto dal Capitano Tancredi, ed in quell'occasione negò di fornire punti esercito fondamentali alla nascita dell’Armata Ducale (e non mia personale) Ananke, ma questa informazione il Vostro Duca non la diffonde. Egli era un soldato come noi, ma mentre noi perlustravamo le strade egli aveva tutto il tempo di studiare.

Io non pretendo che voi comprendiate le ragioni del nostro gesto. E’ comodo chiamarci traditori ma noi abbiamo scelto di agire mentre gli altri poltrivano.

Quando Tancredi come Capitano si è appellato a noi perché sussisteva un pericolo per i nostri confini abbiamo preferito restituire il Castello a coloro che lo reclamavano, Voi sapete bene che potevamo difendere ad oltranza ma non siamo incoscienti: quando abbiamo appurato che venivano radunate genti nella Capitale, togliendole dalle loro attività ed indebolendo le difese, abbiamo scelto di non procedere con l’occupazione del Castello. Questo non è un comportamento da traditori.

Perché colui che abbiamo deposto non tentava l’assalto non appena giunto? Ve lo spiego io: per orgoglio! Perché se avesse fallito non avrebbe potuto coniare stupide medagliette celebrative. Questo incosciente ha tolto forza ai nostri confini pur di riprendersi il suo giocattolo, ma Voi costui rispettavate come Duca. E’ mai possibile che solamente noi ci fossimo resi conto della debolezza del nostro Ducato? Voi continuate a guardarci come nemici, ma se così fosse in questo momento avreste un Ducato da ricostruire anche economicamente. La nostra impresa ha confermato quanto noi paventavamo, ossia l’inedia delle Istituzioni che ci governano.

Colui che Voi chiamavate Duca aveva già organizzato la sua fuga dopo il nostro assalto al Castello, ma anche questo non traspare dalle sue parole, basta però passare da Genova, nelle loro Taverne, e appurare che ciò che io Vi dico sia vero. Se non fosse stato per numerose spalle che lo hanno sorretto e rimesso in una poltrona vagamente somigliante ad un trono, lui sarebbe stato lontano ben prima di quel 23 marzo che ha fatto incidere sulle medagliette.

Eppure Voi avete più rispetto per lui che per dei soldati che hanno personalmente testato le falle della propria difesa. Noi non siamo vili, come potete pretendere che il nostro gesto fosse fatto alla luce del sole? Dovevamo fare le partecipazioni? Ebbene: le abbiamo fatte! Abbiamo disseminato indizi sul nostro gesto che nessuno di voi ha colto. Io stessa mi sono sempre nominata Dama delle Idi di Marzo, ancor prima di scegliere quella come data per il nostro atto. Saremmo stati i primi ad esser lieti di trovare un Castello inarrivabile e ben difeso, ma così non era. Col tempo qualcuno poteva scoprirlo a nostre spese, ma così non avverrà.

Quelle che voi definite pugnalate sono carezze rispetto a quello che altri hanno subito a causa di veri criminali. Fate chiarezza nella vostra mente turbata ed interrogatevi sull’immenso potere che abbiamo avuto in mano e che non abbiamo usato. Mai nessuno prima di noi ha avuto un Ducato alla sua mercé. Ci ritiene davvero così stupidi da non conoscere tutte le possibilità che questo comportava? Per questo le chiedo di guardare oltre e di comprendere che se avessimo voluto tradire il nostro Ducato lo avremmo lasciato in ginocchio e ne avevamo tutte le possibilità.

Il Vostro odio e la Vostra compassione generano in me orgoglio, preferisco chi come Voi mi è ostile ai falsi amici, ma non fraintendetemi, la Vostra alzata di testa dell’ultima ora non Vi rende migliore ai miei occhi visto che reputo anche Voi colpevole di aver dimenticato l’importanza del nostro Ducato.

Volete le prove della mia colpevolezza? Avete le mie parole, avete le dichiarazioni del portavoce dei Porcelli Mannari che indicava Ananke come esercito a difesa e tutela degli assaltatori.

Vogliate credermi, io comprendo la vostra stizza, comprendo la Vostra ricerca di Giustizia e non chiedo altro che poter essere processata secondo i canoni di ciò che Voi chiamate Giusto e che, anche se non corrisponde ai dettami della mia morale, ha tutto il mio rispetto.

Non siete Prefetto perché nessuno di Voi ha ancora avuto il coraggio di ammettere la sconfitta. Un partito ha vinto queste elezioni, per quanto sia quello più pacifista e contrario al nostro intendere la politica abbiamo chiesto al nostro rappresentante in Consiglio di votare per il suo esponente candidato a Duca. Questa, Signore, è la Democrazia su cui Voi pretendete di darci lezioni ma che nessuno di Voi rispetta quando è il momento più opportuno per farlo. La pioggia bagna il giusto e l’ingiusto ma soprattutto il giusto perché l’ingiusto ha l’ombrello del giusto …

Ossequi, Lady Dani Ragnarson Epelfing
Tergesteo
Primavera della natura , inverno degli spiriti.

Tergesteo tentava di ritornare senza fortuna alla sua vita normale ma era evidente che le oscure forze che lo imprigionavano esigevano ulteriori sacrifici.

Per Tergesteo, la primavera nel suo splendore portava con sé già la corruzione della fine. Era un segnale dell'ineluttabile.

Il fornovese si trascinava come uno spettro dai campi alla propria casa.
Entrava raramente in taverna, se non quando era sicuro di poter dissimulare a dovere.

Come una bestia selvatica, fuggiva gli uomini.

In questo stato d'animo, ebbe l'ennesimo delirio.
Ma stavolta era diverso.
Non lo scosse l'orrore, non la paura.
Ma una sentimento ben più pericoloso : la compassione.

Vide venire verso di sé un leone. O meglio quello che sarebbe dovuto essere un leone.
La povera bestia arrancava con il capo reclinato in avanti, scarna e ferita, tormentata da nugoli di insetti.
Si trascinò fino ai piedi di Tergesteo e raccolse le forze per alzare la testa.
Aveva gli occhi tristi e spenti.
Tergesteo impietosito affondò la mano nella criniera fulva.

La bestia si accoccolò a terra.
Si odeva solo l'ansimare dell'animale.

I fianchi della bestia erano disseminati da ferite nere. Era possibile contarne le costole una ad una.

Che strazio! Che pietà! Il Re degli animali ridotto così!
Tergesteo abbracciò l'animale e non potè fermare un pianto.

Il Pazzo iniziò a mormorare.


“Sono qui disperato e aspetto; intorno a me sono antiche tavole infrante. Quando viene la mia ora? A quando la fine ? A quando il tramonto?
Frattanto, come uno che ha tempo, parlo a me stesso. Nessuno mi racconta novità: così io narro a me, me stesso.”

Fratelli miei, chi è una primizia, viene sempre sacrificato. E noi siamo primizie.
Tutti noi sanguiniamo su segreti altari sacrificali, noi tutti bruciamo e arrostiamo in onore di antichi idoli.
La nostra parte migliore è ancor giovane: ciò solletica i vecchi palati.
La nostra carne è tenera, il nostro pelo è quasi un pelo di agnello: come potremmo non solleticare i vecchi sacerdoti degli idoli!
E in noi stessi che abita il vecchio sacerdote degli idoli, e si arrostisce la nostra parte migliore per il banchetto. Ahimè, fratelli miei, come potrebbero le primizie non essere olocausti!

D'altronde, così vuole il nostro carattere; e io amo
coloro che non pretendono di conservarsi. Io amo con tutto il mio amore quelli che tramontano: perché sono coloro che vanno oltre.

Io amo gli ardimentosi: ma non basta essere bravi guerrieri; bisogna anche sapere chi colpire!
E spesso c'è più valore nel contenersi e passar oltre: per risparmiarsi in vista di un nemico più degno!

Dovete soltanto avere dei nemici da odiare, ma non da disprezzare: dovete essere orgogliosi del vostro nemico: l'ho già detto una volta.

Dovete risparmiarvi, amici miei, per il nemico più degno: perciò è necessario che passiate sopra a molte cose: particolarmente a molta gente, che vi frastorna le orecchie col popolo e coi popoli.
Conservate puro il vostro occhio dai loro pro e contro! Molto v'è in essi di giusto, e molto di ingiusto: a guardarli vien la rabbia!

Guardarci dentro e colpirci dentro è come una cosa sola: perciò andatevene nelle foreste e mettete a dormire la vostra spada!
Andate per le vostre vie! E lasciate che il popolo e i popoli vadano per le loro! Sono vie oscure, in verità, sulle quali non lampeggia una sola speranza!
Chi vi domina è il mercante, tutto ciò che ancora vi riluce è soltanto oro da bottegaio, vile chincaglieria! Non è più tempo da re: quello che oggi si chiama popolo non se li merita.

Guardate come ormai questi popoli imitano il merciaio: si scelgono le più piccole particelle di vantaggi da ogni maceria!

Si spiano a vicenda, strappano sempre qualche segreto agli altri, e questo chiamano 'regole di buon vicinato'. Oh, felici tempi lontani, quando un popolo diceva soltanto: 'Voglio essere signore dei popoli!'
Perché, o fratelli, il meglio deve dominare, il meglio vuole altresì dominare! E là dove la dottrina dice altrimenti, è il meglio che manca.”


Quando riprese coscienza di sé , il fulvo animale era scomparso.
Di quella visione rimaneva soltanto tristezza e una vaga sensazione di disgusto
Tergesteo
La compassione è un sentimento pericoloso.
Esso genera il dubbio.
E il dubbio è causa di stasi, di blocco, di assenza di movimento.

Tergesteo ritornò sulle mura, come in quell'alba livida e dolorosa.
Accoccolato fra i merli abbracciato alla spada
.

"Sebbene il nostro sentimento fosse purissimo, il vento della metamorfosi non soffiò. Perché mai?
E avrebbe dovuto alzarsi anche durante il nostro assalto, testimoniando così che il nostro è un paese che evolve . Ma entrambe le volte – sì, entrambe le volte – il vento non soffiò.
Perché?
Sia i nostri fratelli che noi abbiamo rappresentato la fine terribile e vana di un grande mondo di cristallo ridotto in frantumi.
Noi non siamo ricordati per la gloria cui ambivamo, ma come simbolo di una fine.
Proprio noi, che anelavamo ardentemente a essere l'alba, la luce del mattino, l'inizio.
Perché?"


Sorrise.
Ai dubbi malsani preferiva l'orrore delle visioni folli.
Amsterdam707

La pietra passava sulla lama, affilandola, ssssssssssssssssssssha

Amsterdam era a Fornovo, appena smontato dalla ronda, ancora seduto nel corpo di guardia, a prendersi cura delle armi.

Sssssssssssssssssssha

I campi crescevano da soli, il suo mulino era in ordine e però fermo.

L’innocenza, una volta perduta, non si recupera più.

Erano occhi diversi, più freddi, ancora più distaccati del solito.

Una strana sensazione di vuoto, di terrore, di angoscia silenziosa correvano per la schiena indifesa e possente.

I doveri del Casato lo sollevavano un po’, ma neanche le amiche carte riuscivano del tutto a distrarlo da quella solitudine che più viva lo pungeva giorno per giorno.

Sssssssssssssssssssha

Fornovo, l’amata Fornovo. Le persone conosciute, i vicoli in cui era cresciuto, la semplicità della vita di provincia.

E quel brivido lungo la schiena…

Tergesteo sembrava perennemente fuori di sé, Dani era partita… gli altri… era sicuro si sentissero come lui.

Il ricordo della zuppa divisa con gli amici la prima notte a Fornovo gli riscaldò il cuore, ma il vento gelido della sera lo riportò lì.

Non sapeva cosa sarebbe successo di lui. Per la prima volta non sapeva cosa sarebbe successo di lui.

Uno Storico sa leggere nel passato gli avvenimenti del proprio e altrui futuro. Ma ora, come svuotato, era seduto a fissare il nulla, nel corpo di guardia, ad affilare la spada.

Sssssssssssssssssssha…

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pnj
Danitheripper era andata via sotto la pioggia, per non pensare a chi sarebbe stata l’indomani. L’ineluttabile era compiuto. Rivedeva i suoi lunghi capelli sciolti sanguinare lungo la schiena, si guardava con occhi estranei e si ascoltava chiamare un nome che non le rispondeva. Durante il suo viaggio lo scenario cambiava rapidamente e c’era il sole e il lago, dovunque andasse, quell’astro impietoso attentava alla sua ragione ma le fresche acque sopivano la sua inquietudine. La sua solitudine bramava le nuvole, bramava lo scontro. La gente la guardava e non capiva, s’interrogava sui suoi silenzi e si stupiva delle sue risposte. “Risparmiatevi le vostre benedizioni uomini di chiesa che v’imbattete in questa donna, ella non ha che una spada ed una ferita in cui credere, nulla di più”.

Dovunque ombre, gettate sulla strada come proiezione di persone assenti, nessuna corrispondenza, solo immagini sbiadite di chi non riusciva a lasciarsi indietro.

Una piazza, la gente che passeggia distratta non vede l’attore, l’illusione ch’egli reciti per lei il suo personale spettacolo la guida verso di lui. Nessun applauso avrebbe scandito lo spettacolo, solo tonfi sordi nella sua anima confusa.

“Quando inviso alla fortuna e agli uomini, in solitudine piango il mio reietto stato ed ossessiono il sordo cielo con futili lamenti e valuto me stesso e maledico il mio destino: volendo esser simile a chi è più ricco di speranze, simile a lui nel tratto, come lui con molti amici e bramo l'arte di questo e l'abilità di quello, per nulla soddisfatto di quanto mi è più caro: se quasi detestandomi in queste congetture mi accade di pensarti, ecco che il mio spirito, quale allodola che s'alzi al rompere del giorno dalla cupa terra, eleva canti alle porte del cielo”.

“Perché mi tormenti teatrante? Usa le tue arti per chi potrà apprezzarle” domandò senza parole. Gettò una moneta e passò oltre. Avrebbe festeggiato la sua solitudine lontano da altri ridicoli ometti che pretendevano di leggere nei suoi trascorsi. La recita cessò e l’attore scomparve. Nessuno fece caso a quella donna che aveva gettato una moneta al vento.
Tergesteo
Man mano che i ricordi sbiadivano, la mente del Pazzo si riempiva di visioni deliranti.

Tergesteo passò l'intera giornata a vagare per Fornovo , supplicando i passanti .


"Fratelli, svelatemi questa visione..."


A chi lo fissava interdetto, Tergesteo puntava gli occhi scuri in viso e recitava questa nenia :

"Fratelli, svelatemi l'enigma...
Quattro esseri ho visto in sogno.
Ho visto un uccello di fuoco, le piume rosse e ardenti ; ho visto un'aquila con gli artigli aguzzi insanguinati urlare "Tutto è giusto per i giusti!"; ho visto una colomba nera, gli occhi color del sangue; ho visto una mantide religiosa osservarmi e sorridere, ma con le zampe desidorosa di infilzarmi il cuore.

Questi esseri stavano appollaiati su un trono di pietra e metallo. Si sarebbe detto dal colore , su di un trono di ferro e di oro, la regalità e la forza.

Vidi un fanciullo avvicinarsi con al fianco un leone stanco.
Vidi il fanciullo scacciare con spada le quattro bestie che fuggirono spaventate.
Il fanciullo disse al leone "Và ora e ricorda ciò che eri e immagina quello che vorrai essere perchè così sarà!".
Il leone rispose con un ruggito feroce, come se nuova vita gli sgorgasse dal prendere possesso di quel trono.

Ma d'inprovviso , l'orrore! L'aquila e l'uccello di fuoco colpirono al volto il fanciullo, egli però non si riparava mentre gli laceravano le carni ma rideva rideva.
Anche la colomba e la mantide fecero lo stesso : essi si cibavano del vigore del fanciullo che seppure mutilato rideva e si faceva beffe.
Finchè cadde al suolo , mentre le quattro bestie ritornavano sul trono.

Il leone mansueto si avvicinò al fanciullo.
La chioma fulva divenne rossa del sangue del fanciullo.

Disse il fanciullo "Immagina quello che vorrai essere perchè così sarà!".
Poi chiuse gli occhi e si spense sorridendo.

Il leone mansueto si distese a vegliare il fanciullo.

O fratelli mei, chi potrà svelarmi la visione delle quattro bestie ?"


Man mano che il tempo passava, la pazzia si faceva strada.

Solo guardando la propria mano ferita Tergesteo ritrovava un momento di requie.
E sorrideva da essere umano, non già come un folle...
Sarnek
Sarnek guardava il Padre che Affilava silenzioso la sua Spada.

Non diceva una parola,era partito per una destinazione sconosciuta a lui a quei tempi,per poi tornare più silenzioso e taciturno di prima.

La gente gli consideravano "Traditori",ma Sarnek non aveva mai capito il perchè e mai lo avrebbe inteso.

Lo aveva letto,lo aveva sentito,ma si rifiutava di considerarli traditori.

E perchè poi?No,non lo poteva capire...

Si avvicinò al Padre,guardandolo come per la Prima volta.

I loro sguardi si incrociarono.

I suoi occhi emanavano ancora la Grande Saggezza che c'era in quel uomo,anche se i suoi occhi erano più freddi e tristi.

Amsterdam lo guardò,chiedendoli con lo sguardo che cosa gli servisse.

Sarnek non disse niente,semplicemente resto lì a guardarlo.

Poi girandosi iniziò a correre,correre,correre.....ignorando le Parole che gli giungevano all'orecchio da parte del Padre e dei cittadini che non volendo faceva cadere in mezzo alla stada.

Correva come un Bambino.

Era un Bambino,giacchè non aveva nemmeno 16 anni.
Correva come faceva ai vecchi tempi,quando Fornovo non era divisa tra Vecchi e Nuovi,tra quelli che hanno assaltato e quelli che no.

Quando Fornovo era unita,una città modello.

Inizio a piangere come un ragazzino,arrabbiato con se stesso,arrabbiato col mondo,arrabbiato con la Società.
Arrabbiato con "perchè" di tutto questo.
Arrabbiato del fatto che il mondo che lui tanto amava fin da piccolo si è spezzato,rovinato,andato in frantumi.

Continuò a correre verso il Frutetto.
I rami degli alberi gli graffiavano il viso,ma a lui non gli importava.
Non gli piaceva questa situazione.
Voleva tornare indietro nel tempo,nel tempo quando tutti erano amici,uniti e si aitavano a vicenda.

Non in questi giorni,quando se fai qualcosa per un amico,rischi di perderne un altro e viceversa.

Non in questi giorni,quando c'è la guerra tra i Casati e se parli con un amico dal casato avversario qualcuno ti salta alla gola.

Non in questi giorni,che lui tanto odia,quando lo spirito Fraterno non esiste quasi più.

In altre parole.....non in questi giorni....

E cosi,seduto come era,sotto i rami di un albero,Sarnek vide due o tre persone avvicinarsi titubanti,insicure se quel ragazzo stesse andando fuori di senno.
Sarnek non sapeva se si sarebbe sentito meglio se fosse andato anche lui con suo Padre,ma forse la risposta era "Si!"
Amsterdam,Tergesteo,Plue,i suoi amici,i suoi amici fin dalla sua nascita. Lui appartiene a loro,ai loro tempi.
Lui appartiene a quella Società che adesso è cambiata,a quel mondo ormai rovinato,.....

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Primo Raccontastorie Ufficiale del Ducato [Riconosciuto dal Duca]
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