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Le Giornate di Milano

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Qualcosa nel paesaggio stava cambiando. Le rocce si erano fatte più numerose, un paesaggio brullo e rude si era sostituito alla campagna sterminata. Volterra si avvicinava e Danitheripper pregustava il duello. Tornare alle origini, alla lotta uomo contro uomo, uomo contro donna, per il solo piacere di pugnare. Non si stupì che in quel contesto le fosse negata la compassione di un lago in cui trovare ristoro, ma quello che vide le piacque. Un frutteto … come a Fornovo … come all’inizio del viaggio, una simmetria perfetta, un percorso circolare che riconduceva laddove aveva avuto inizio la catarsi. Perdere tutto per essere liberi di fare qualsiasi cosa …

Si può fuggire ma non nascondersi e Danitheripper comprese che uno specchio distorto le avrebbe continuato a mostrare quello che non c’era.

La sua prima notte a Volterra dormì profondamente ma non serenamente. Un peso gravò sul suo sonno e la voce gentile che l’aveva fino ad allora accompagnata lasciò il posto ad una rude presenza. Aveva come la sensazione che una mano le accarezzasse il volto, sentiva il contatto con la pelle callosa. Una striscia attraversava quella mano e lei sentiva tutto il peso di quella ferita.

“È la causa, è la causa, anima mia; ma a voi non la dirò, caste stelle. È la causa; ma non verserò il suo sangue né scalfirò la sua pelle più bianca della neve e liscia come alabastro sepolcrale. Pure deve morire, o tradirà altri uomini. Prima spegni una luce, e poi quell'altra; se spengo questa fiaccola, e mi pento, posso ripristinare la sua luce; ma una volta spenta la tua luce, o modello compiuto della perfezione di natura, non so dove si trovi il fuoco prometeico che la riaccenda. Quand'ho svelto la rosa non posso più ridarle il suo rigoglio; appassisce per forza. L'odorerò sullo stelo … O alito balsamico, che quasi inducila Giustizia a spezzare la sua spada! Resta così nella morte, e io ti ucciderò, e ancora ti amerò. Ancora un bacio, e sia l'ultimo bacio. Mai dolcezza fu così fatale. Piango, sì, ma lacrime crudeli …”

“Come posso ritrovare la mia pace se il ristoro del sonno mi è negato?
Se l'affanno del giorno non riposa nella notte ma giorno da notte è oppresso e notte da giorno? Ed entrambi, anche se l'un l'altro ostili, d'accordo si dan mano solo per torturarmi l'uno con la fatica, l'altra con l'angoscia di esser da te lontano, sempre più lontano”.


Non era lei a parlare ma chi? Sentiva due voci ben distinte dialogare sotto le sue tempie pulsanti. Dall’esterno si sarebbe detto che dormisse beatamente eppure Danitheripper era sveglia, intrappolata in un dialogo immaginifico che si svolgeva in qualche ritaglio della sua coscienza.

Al risveglio, tossendo scompostamente, cercava di liberarsi dalle tossine accumulate. Si portò una mano al volto e sentì sotto il suo tocco un graffio sullo zigomo. Si chiese se fosse stata lei stessa a toccarsi e a graffiarsi nell’agitazione del sonno. Non poteva sapere che il suo corpo era rimasto immoto per ore.


Decise che era stata troppo veloce con le sue diagnosi … aveva stabilito che Tergesteo fosse afflitto di solitudine ma adesso sentiva con tutta se stessa che quell’uomo era davvero pazzo e che il germe della follia aveva raggiunto anche lei …
Tergesteo
Primavera.
Il sole tiepido sembrava costringere una natura distratta ad uscire dal proprio nascondiglio.
Dopo il gelo invernale, la terra aveva desiderio di illudersi di essere viva e fertile.

Tergesteo uscì dalla proprio tana.
Sgattaiolò dalla città e s'arrampico sul colle poco fuori le mura.

Reputò una cerchia di alberi un buon posto per i propri allenamenti : l'affronto peggiore che un soldato possa fare a se stesso è quello di trascurare il proprio corpo.
Si tolse la giubba dell'esercito, ormai stinta e logora e la gettò sul prato, come se non dovesse riprenderla mai più con sé.

A torso nudo, il sole gli faceva riemergere ai muscoli il sangue che sembrava si fosse nascosto nelle visceri.
Godette di quella sensazione.

Estrasse la spada e cominciò gli esercizi.
Alternava lunghe poste a fulminei scatti.
Passi lenti e misurati venivano cancellati da affondi crudeli.
Sembrava combattere contro un nemico invisibile.
Tuttavia in quel luogo c'erano soltanto lui. E la sua follia.

Proseguì gli esercizi.
Il sudore che gli imperlava la pelle sembrava ghiacciarsi a contatto con la fresca brezza mattutina.
Ma il sole quel giorno era buono.
Quel giorno il sole nulla chiedeva ma solo donava.
Succede la stessa cosa a chi voglia tramontare.

Tergesteo decise che per quel giorno poteva essere sufficiente.
Il sudore brillava sui muscoli gonfi e caldi come il sole sull'acciaio della spada.
Sole e acciaio.
Sorrise.

Lontano, lei si preparava al combattimento.
Era soltanto un torneo, ma poco importava.
Per chi nel combattimento cerca la misura del Tutto, l'importante è far roteare la spada.

Tergesteo cercò fra i suoi ricordi ma, strano a dirsi, non gli sovveniva nessuna immagine che potesse suggerirgli qualcosa circa il suo modo di combattere.
Curiosa mancanza.
Cercò ancora di immaginare quale fosse il suo stile di combattimento.
Una danza o una rissa? Aggressivo o sornione?
La lotta è lo specchio dell'anima e nel combattimento non esistono nascondigli.

Gli sovvennero altre immagini, ma non quelle desiderate.

Si ripromise di chiederle un duello, non appena fosse nuovamente a Fornovo.


“Di nuovo a chiedere? Tergesteo mi preoccupi... mi preoccupi davvero!”Si disse , ridendo di gusto.

Si poggiò la spada sulla spalla madida e ridiscese il colle.
Per oggi aveva fatto pace con la Follia.
Si sorprese addirittura a recitare lì per lì alcuni versi :


"... andrò ai giardini della mià città
e ti passerò fra i capelli
questa mano che nessun'altra avrà
e poi ancora a notte fonda
racconterò le storie che già sai
e ti parlerò di Follia e Acciaio,
la verità che adesso tu vivrai ..."


La giubba dell'esercito rimase come una lapide nel prato.
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Volterra, ancora un giorno prima della pugna. Il sole. Un raggio vince sugli altri e saetta sugli occhi di Danitheripper, nel tentativo di destarla da un sonno incolore. Ma lei non sta sognando, sta sentendo.

La voce, familiare, è quella del suo maestro d’armi
“La luce nasce dallo scontro di idee differenti: qui, nel confronto tra il Libro e l’Edificio, si libera lo Spirito e la Lettera muore”. Un delirio di idee e di convinzioni che si sgretolano.
“Maestro che mi sta succedendo? Anche tu torni a trovarmi per darmi tormento? Ho visto la follia con i miei occhi, adesso sono destinata ad assecondarla?”
“Ognuno di noi cela un frammento, più o meno grande, dell’Arcano. Vai trovando dei brandelli Dani ma non sei tu a possedere la chiave. Non lo puoi vedere ma l’uomo che ti sei lasciata alle spalle ormai non è più un animale sociale; egli è sulla terra ma si tratta di un Paradiso terrestre ... Ha vinto, è entrato nell'eterno presente e, d'un tratto, ha la conoscenza del passato, e dell'avvenire, vede a distanza e nel tempo. Egli sa tutto ... per lui il tempo non conta. Egli comunica a suo piacere”.

Nel sonno Danitheripper sorrideva.
”Credevo che noi fossimo semplicemente folli, magari più lui, armati di buoni propositi ma di pessimi caratteri ed accompagnati da sogni irraccontabili”.
“Dani … tutti nella nostra vita siamo alla ricerca di qualcosa di indefinito ma fondamentale. - La lezione non era finita. - Che sia un oggetto fisico o un'idea, la sostanza non cambia. Quel qualcosa è ovunque, ci circonda; è il tesoro più grande, è il Santo Graal, è il Libro di Thot, è l'elisir della lunga vita e la pietra di proiezione degli alchimisti; è il messaggio impresso nella pietra dei templi e delle cattedrali, nei silenziosi monumenti delle nostre città, nelle pagine ingiallite dei libri, nelle azioni dei nostri padri e nel tempo; è Conoscenza e illuminazione, fonte illimitata di potere. È un antico segreto, custodito gelosamente nei secoli, che si rivela solo a chi sa aprire i propri occhi, la propria mente, il proprio cuore”.
“Maestro, non ho che me stessa, non comprendo il messaggio delle cose poiché esse non mi parlano, non sono che un soldato che un giorno ha reclamato la sua libertà, adesso non possiedo che queste mie mani e questa spada”.
“Dani, dentro di te c’è una dimensione più interna e misteriosa e questi tuoi pensieri non ne sono che l’emanazione, senza soluzione di continuità. Guarda oltre l’apparenza, dietro un’apparenza modesta ci sono spesso tensioni gravide di importanti significati. Tu ascolti mentre dormi perché la vera transazione avviene solo allora, hai aperto la tua mente e la mente ti svela ciò che tu hai bisogno di sapere. Saggi sono coloro che parlano la lingua degli uccelli. Guarda”.

Fu allora che lo vide. Le dava le spalle ma sapeva che era lui. In mano teneva due rose, una bianca ed una rossa, ai suoi piedi giacevano abbandonate una scala ed una giubba dell'esercito.
“Egli ha scalato la vetta e raggiunto lo stato Supremo di Coscienza, non ha più bisogno del mezzo”.
Tergesteo
Il giorno declinava.
Nella luce rossa e amichevole del tramonto i pensieri del folle si rincorrevano.

Il buio era stato spesso nemico e foriero di orride visioni, ma il tramonto no : non era l'anticamera al delirio ma un tenue ricordare di cose già avvenute, di sensazioni già provate, di eterni ritorni all'uguale.
Nel tramonto Tergesteo scendeva a patti con la sua follia.
Si chiedeva per quale oscura ragione fosse toccato proprio a lui sopportare quella situazione non-umana.

Alle volte mi chiedo quando.... quando cominciò realmente a impadronirsi della mia anima?”
Nella sua mente si fece largo quel giorno, sui bastioni della capitale, la visione del serpente...
In un attimo il suo cuore si fece pesante, come se gli affiorassero ricordi dolorosi.
Tramontando del tutto il sole, il buio lo ghermì come una belva feroce.
Aveva richiamato da oscuri recessi della mente quelle visioni e nessuna forza al mondo lo avrebbe perdonato di quel gesto.
Si preparava all'urto della propria tracotanza.

Vide se stesso , da solo, attraversare una folla dove le persone erano senza volto.
Era una folla immensa : cionondimeno egli si sentiva isolato e solo.
Ristette ad osservare quel muro di fantasmi che lo evitavano, come si evita un ostacolo.
Improvvisamente , gli parve di riconoscere un volto : era un volto a lui caro e tuttavia trovarlo in quella situazione lo rese ancora più inquieto e disperato.
Traversando quella cerchia di fantasmi, istintivamente cercò di allontanarsi da quei lineamenti corroboranti e amichevoli.
Aveva trovato un viso familiare e salvifico nella folla inespressiva : temeva però che avvicinandosi ulteriormente, avrebbe finito per contagiarlo della sua pazzia.
Si riprese che era già buio, in quell'ora in cui anche i cani credono ai ladri e agli spettri.
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Danitheripper quell’alba attese. Attese con la calma serafica che una notte senza sogni le aveva concesso, trascorsa ad ascoltare le voci del suo passato. Giunta al nodo vide che vi si erano già radunati gli altri cavalieri. Si chinò, raccolse un pugno d’erba e forbì la sua spada. Ne esaminò la punta e ne provò flessibilità e resistenza. Poi si tolse le calzature. Non ne avrebbe avuto bisogno quel giorno, sentiva meglio il terreno a piedi scalzi e le piacque prendervi subito confidenza.

Scoprì che le era toccato in sorte Galvano, Cavaliere di San Miniato. Lo vide elegante e si dispiacque dover rovinare dei così begli abiti con la punta della sua spada.
“Signore, - gli si fece incontro porgendogli la mano - non abbiamo avuto il tempo di presentarci; il mio nome è Danitheripper Epelfing e non avrò pietà anche se siete un uomo”. Il suo avversario sorrise e sembrò comprendere il messaggio.

Un largo spiazzo, circondato da alberi e riparato dal sole fu eletto a luogo della sfida. Al segnale incrociò la sua spada con quella di Galvano. Sentì una scossa di adrenalina diffondersi attraverso il suo sangue. Questo le rimandò indietro elasticità e rapidità di movimenti.

Danitheripper non attendeva l’avversario, amava coglierlo di sorpresa dopo averlo soppesato con gli occhi e aver cercato di indovinarne le caratteristiche. Nessun preliminare nella lotta, amava gettarsi incontro all’avversario rapidamente, brandendo la spada minacciosamente. Anche quella volta la prontezza della prima mossa, insieme all’aspetto della giovane, fecero istintivamente indietreggiare l’esperto Galvano. Quell’indecisione rincuorò Dani “Non sei imbattibile, posso farcela – si convinse rassicurata”. Era ovvio per lei che il gigante avrebbe preso le contromosse, ma quella prima esitazione le aveva dato un vantaggio. Ne approfittò per stendere meglio la sua guardia.

Per tutta la durata della lotta Danitheripper attaccò vigorosamente senza mai perdere padronanza di sé, in certi momenti sembrava addirittura riuscire a sopraffare Galvano, ma non erano che effimeri lampi, poiché anche questi non mostrò mai segni di reale cedimento.

Dopo un’intensissima ora in cui non si erano risparmiati, con una mossa rapidissima Danitheripper avviluppò la spada di Galvano, lo costrinse a scoprire la spalla e gli tirò una stoccata così violenta che il gigante traballò e fu lì lì per cadere se non si fosse prontamente ripreso e passato al contrattacco. Galvano si slanciava in attacchi impetuosi contro Danitheripper che schivava come meglio poteva ed usava l’agilità laddove la sua forza non poteva bastare.

La sua difesa, la tensione che scaturiva dalle sue stoccate, dovevano essere una minaccia per l’avversario per cui cercava di parare i colpi con quanta più grinta era capace, in modo da far comprendere a chi le stava di fronte che quella difesa poteva capovolgersi in un contrattacco in qualsiasi istante.

L’avversario non avrebbe mai potuto esser certo di aver avuto la meglio in un affondo, anche se questo aveva sortito l’effimero successo di una ferita sanguinante. Gli diede un colpo sul braccio col piatto della lama. Galvano lanciò un ruggito di belva e si avventò su Danitheripper per finirla. Fu uno dei momenti cruciali dell’incontro, per chi li osservava da fuori, ed anche per loro che lottavano, non erano più un uomo ed una donna ma due avversari di pari lignaggio che si contendevano un pezzo di terra. Danitheripper si trovò a combattere petto contro petto, muscolo contro muscolo, non fu facile resistere ma il suo volto non tradì mai nessuna emozione. Faticò a riprendergli la misura ma non lo diede mai a vedere, neppure quando il suo stesso sangue le schizzò addosso da una ferita che non aveva voce. Le loro spade s’incontravano, si scambiavano colpi forti e secchi, ma restavano sempre tese, in mani salde e decise. Più volte l’una scartò l’altra e mancò un affondo per un’invenzione ora dell’uno ora dell’altra.

Per ore i due contendenti misero le anime in quei ferri che brillavano alla luce come scintille nell’antro di Vulcano finché per i giudici non fu abbastanza.

Danitheripper e Galvano ringuainarono le spade, si andarono incontro, stanchi e feriti ma sazi di una lotta appagante e frenetica. Si strinsero le mani all’altezza del viso con il braccio teso davanti ai loro occhi e con i pollici a chiudere quel gesto di stima reciproca. Poi tornarono alle loro cavalcature in attesa dell’esito della sorte che avrebbe decretato a chi dei due spettava ai dadi la vittoria di quel duello senza vincitori.
Tergesteo
Tergesteo guardò dalla finestra.
La notte era serena e senza vento, la luna scintillante oscurava il firmamento.

Sospirò.
La notte era spesso foriera di dolore ma quella notte sembrava diversa.

Si decise.
Alimentò il fuoco con il mantice. Bagliori rossastri illuminavano la fucina.
Il calore sprigionato dal carbone arroventato permetteva a malapena di respirare.

Tergesteo mise in un crogiolo minerali di ferro e piccoli pezzetti di ferro.
A queste aggiunse una buona quantità di carbone.
Sigillo' il crogiolo e salendo su di un scaletta, lo collocò sulla sommità della fornace.

Cominciò ad azionare il mantice.
Il calore aumentò.
La pelle sembrò incendiarsi e liquefarsi.

Non era sufficiente. Ancora carbone, ancora mantice.
L'anticamera degli Inferi.

E alla fine, dalle viscere della fornace l'acciaio fuso, come denso sangue marziale.
Grigio come un cielo denso di pioggia.

La fusione si raccolse in una ciotola lunga e stretta.
Tergesteo lasciò che lentamente quella massa si solidificasse.

Quando reputò il momento adatto, cominciò a martellare con violenza sull'incudine quella massa grezza, fino ad ottenerne una specie di cubo un pò allungato, che l'indomani avrebbe provveduto a pulire e sgrezzare una prima volta , prima di procedere alla forgia.

La creazione di una spada non era semplice lavoro : era un'evoluzione , una nascita da assaporare poco a poco.

Madido di sudore, depose i pesanti guanti da lavoro in un angolo.

La notte era serena e la luna scintillante.
Buon auspicio per una spada degna di tal nome.

Quella notte sentì che gli incubi lo avrebbero graziato.
Si sedette fuori dalla fucina, la testa appoggiata al muro, gli occhi chiusi.

La città era silenziosa.
La notte serena.

Tergesteo restò immobile.
Di quando in quando sorrideva.

Trascorse un poco di tempo così finchè dispose di alzarsi.
Tuttavia era un peccato sprecare quella notte di grazia.

Si decise a fare una cosa che gli sembrava stupida ... per quanto le azioni di un pazzo difficilmente potrebbero essere definite diversamente.

Prese una pergamena e il necessario per scrivere.




Una goccia di sudore mi scivola lungo la schiena,
i miei piedi nudi muovono stretti come una catena
il tuo colpo sta partendo : tra breve capirò se vale
vivere oppure morire,
è un dettaglio che non conta.
Ma com'è bella questa sera ,
noi danziamo con le stelle
ma com'è dolce questa sera ,
è una danza di stelle.
Colpiscimi e feriscimi
nella perfezione dell'istante la poesia rossa degli affondi
mi farà capire se sono vivo.

La mano incisa , lividi lungo le braccia,
una maschera chiude il mio volto.
Io non sento il vostro tempo,
questa vita è una breve folgore.
Ma com'è bella questa sera ,
noi danziamo con le stelle
ma com'è dolce questa sera ,
è una danza di stelle.
Colpiscimi e feriscimi
nella perfezione dell'istante la poesia rossa degli affondi
mi farà capire che sono vivo.


Rilesse.
Scosse il capo.


"Pazzo che sei ... ti figuri uomo di lettere tu che hai sempre scritto con spada e sangue ... Folle!"

E sorridendo di se stesso ritornò alla fucina.
Ma quel pezzo di pergamena sdrucita non ebbe il coraggio di gettarlo nella fornace.
Tergesteo
Fiamme eruppero dal forno.
Il mantice aveva insufflato un potente getto d'aria che fece avvampare i carboni ardenti , come quando un momento di imbarazzo arrossa le gote delle fanciulle timide.

Tergesteo di deterse il sudore dalla fronte con le mani coperte dai pesanti guanti.
Azionò ancora il mantice. Ancora fiamma si sprigionarono dal forno.

Con una pinza enorme estrasse quello che sembrava un abbozzo di lama, incandescente come se fosse stata sfoderata dall'Ade stesso.

Collocò la massa che gli illuminava il volto sull'incudine e agguantò il martello.

Vibrò un primo colpo deciso sulla lama da forgiare e venne investito da uno sciame di scintille come lucciole impazzite in una afosa notte d'agosto.

Tergesteo continuava a colpire il parallelepipedo d'acciaio.
Di quando in quando questo veniva ricacciato nella bocca dell'Inferno e da lì veniva nuovamente estratto, rinvigorito e luminoso.

Il cadenzato martellare aveva un effetto ipnotico.
I bagliori evanescenti delle scintille si sprigionavano dalla lama.

La visuale del fabbro divenne sfocata : egli distingueva distintamente soltanto quella lama arroventata.
Quello che per i più era un frastuono assordante , per il creatore di spade era fonte di ispirazione e delirio.

Tergesteo non udiva il rumore del martello che mordeva il ferro ma voci che gli parlavano.


"Se fosse facile afferrarti in un istante
se fosse semplice morire in questo momento
ma per me è più facile ..."


Scintille gli volavano d'intorno.


"...ritrovarti in un frammento
di questa ferro
che mi dona luce...."


"... aquile in volo, in lenta ricognizione
salutano la seduzione dei poeti del pericolo.
L'arte oratoria che si è già fatta azione
quando schiere di audaci s'affrontano nel nome
del gesto distruttore che crea."


Vibrò un colpo come ad allontanare da sè ogni pena e ogni preoccupazione.

"Rapiscimi, sorprendimi con tutta la tua poesia
uccidimi e annientami con la perfetta Follia
Perché tu sei … la bellezza"

"Senti il profumo della primavera e poi vai
dentro alla neve in disgelo come il più solitario degli eroi.
Nella gelida forza che aveva la spada dei nostri soldati
i nostri fratelli più arditi
ci hanno lasciato cuori infuocati."


"Rapiscimi..."
"Sorprendimi .."
"..con tutta la tua poesia."
"Uccidimi e annientami ..."
"...con la perfetta Follia!"

"Perchè tu sei ..."


Un ultimo colpo , l'ennesima distesa di scintille audaci e stupende.


"...la bellezza!"

Il fabbro non esige null'altro che quanto non è degno dell'acciaio della spada s'allontani : nel mutilare l'acciaio grezzo, egli modella e crea.
Dal gesto distruttore la creazione.


Un sordo dolore strappò Tergesteo dal momento estatico.
Si sfilò il guanto sinistro ed ecco, sulla mano , vide che la ferita non del tutto chiusasi - eccitata dl calore e dallo sforzo - s'era rimessa a sanguinare.

Sorrise.


"Come puoi pensare che mi scordi di te?"
Strinse il pugno e fece cadere qualche gocciola di sangue sulla lama arroventata.
Questa avidamente lo gradì.


"Accontentati del mio ... nella speranza e nell'augurio che tu possa assaggiarne ancora e diverso ... "

Sorrise ancora.

Lentamente stava prendendo forma proprio una bella spada.
Tergesteo
La molatura della lama.

Essa prevede che la lama venga sgrezzata e pulita sulla mole, al fine di privarla delle schegge d'acciaio e lucidarla.

Tergesteo si mise all'opera di buon mattino, con la luce che filtrava dalle finestre e si rifletteva sulla lama nascente.

La mola girava e girava , mentre la lama s'appoggiava allo strumento e se ne allontanava lasciando in pegno piccole scaglie di ferro arroventate.

Di quando in quando il fabbro osservava il prcedimento.
Nelle lame di quel tipo - note come damascate - il modus operandi fa sì che la lama presenti due sfaccettaure nella parte piatta, sicchè osservandola si ha la sensazione di due speccchi, attaccati per il lato lungo ma con piani sfalsati.

Tergesteo osservava la lucidatura della lama , ruotandola leggermente e specchiandosi nella lucentezza dell'acciao , prima su d'una faccia poi sull'altra.

La lama diveniva sempre più lucida.
Tergesteo guardava quella lama e la rigirava, osservando il proprio volto e gli oggetti alle sue spalle che si riflttevano.

Trasalì.
Strinse saldamente l'impignatura e si voltò d'un mezzo giro. nel frattempo ritrasse la spada a sè e la sollevò all'altezza della spalla, pronto a colpire.

Colpire cosa?

Si rese conto di essere da solo nella fucina.


"Eppure io l'ho vista ... ho visto lei riflessa nella spada!"
mormorò confuso.
Il suo sgomento derivava dal fatto che ruotando la spada, per un momento non vide il suo volto , ma quello di una donna, i lunghi capelli color del grano maturo che le cadevano sugli occhi e in parte li coprivano.

L'immagine apparve pochi istanti e subito scomparve o meglio fu Tergesteo ad assumere una posizione di difesa, come se quel volto fosse una minaccia.

Una minaccia.
Possibile?
Voleva proteggere se stesso, per questo agì isintivamente.

Tergesteo rivolse nuovamente lo sguardo alla spada.
Era il proprio viso a riflettersi su quella lama.

Sospirò.

Era rimasto interdetto dalla propria reazione.

Difendersi ... agì istintivamente per difendere se stesso ...
oppure ...
... oppure non voleva difendere se stesso ma qualcos'altro ...
.. forse voleva difendere quell'immagine, l'immagin di lei , credendola alle sue spalle ...
.. ma difenderla da che cosa?

Osservava la spada ma continuava a vedere solo il proprio volto.
Solamente il proprio volto.
Solamente il proprio volto. E la propria follia.


Il Sole si rifletteva sull'Acciaio lucido della spada e gli abbacinava gli occhi.
E gli sconvolgeva la mente.


"La Via del Guerriero è follia di morte , che sconvolge molti invece di ucciderne uno solo.
Bisogna essere folli.
Se si è normali non si riescono a compiere grandi opere.
Nel seguire la Via non c'è spazio per i ragionamenti : essi devono essere postumi.
Non bisogna pensare nè alla lealtà nè ai propri legami, ma soltanto morire in un impeto di follia sulla Via del Guerriero.
In questo è implicita sia la lealtà che le pietà verso i propri legami"


Tergesteo ora comprendeva.
Non voleva difendersi.

Voleva difenderla.

Da se stesso.
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Il Torneo era alle spalle, Volterra si allontanava rapidamente dietro la polvere sollevata dal suo cavallo Ronzinante.

L'ultima notte si era affacciata alla finestra di una taverna e dall'esterno aveva fissato i volti di coloro che restavano e che l’avevano accolta senza pretese ma con schiettezza e onestà. La Taverna dei Pazzi scatenati di Mattofracico era stata la sua oasi in quei giorni di tregua dai ricordi. Ma Danitheripper non riusciva più a stare bene. I ricordi le bruciavano la pelle lungo tutte le ferite che non avrebbe rimarginato.

Principessazaffiro augurandole buon viaggio le aveva detto
“Beh Dani ... non potevi partire in una luna migliore, quella del sagittario... il segno dei viaggi!” Ma la luna non sempre centrava il segno giusto o le proiezioni migliori ed il suo viaggio era stato un turbinio di emozioni negative, un incubo dal quale lentamente cercava di riprendersi.

Aveva attraversato città, campagne, paesi senza nome. Non si era soffermata sui volti di chi incontrava, negando ad Iceboy e a Magua la sua concreta compagnia. Un fantasma in mezzo al mondo, inconsistente come la sua esigenza di tornare ad avere una casa.

Finalmente la luce, vinte le nubi e dissolta definitivamente la nebbia, trionfò splendente nel cielo primaverile. Danitheripper riprese a sognare e smise di ascoltare.

Nell’incoscienza onirica si soffermò sull’immagine di una ragazza intenta a sfidare la pioggia col sole nei capelli.

La vide fermare il suo cavallo lanciato al galoppo e si sorprese quando ella ritornò sul solco lasciato dagli zoccoli sul fango che sembrava destinata a non calpestare più. Camminava mestamente, incerta sulle zampe della sua cavalcatura. La giovane fu a terra con un balzo ed iniziò ad arrampicarsi su quello che le parve un muro di cinta. Saltava sulle pietre disposte armonicamente come gradoni, finché non fu in cima.

Sembrò trovare facilmente quello che cercava.

Pose una mano sulla spalla del soldato che dormiva appoggiato alla propria spada con un braccio abbandonato sul fianco. Nella mano notò che teneva due rose, una rossa ed una bianca. Il tocco della ragazza lo destò. Aprendo gli occhi le restituì uno sguardo stupito e si alzò in piedi per fronteggiarla.

Nel farlo strinse le rose fino a farle a pezzi e a lasciarle cadere, poi sollevò quella stessa mano ormai libera, quasi a volere schiaffeggiarla, pur tuttavia l’avvicinò con cautela al suo volto e l’accarezzò.


“Sapevo che saresti tornata, ti stavo aspettando”. Incurante del sangue che grondava da quella mano aperta lei sorrideva al soldato “Credevo che avessi smesso di credere alle favole – la udì rispondere sollevando un angolo della bocca - io non tornerò, non ho ancora risposte, ho solo le mie domande”. La ragazza parlò fissando negli occhi il suo interlocutore, ed esponendosi all’onda dell’emozione come il marinaio che non si copre dal vento gelido che brucia la sua pelle mentre naviga.

La mano continuava a lambire la sua gota. Eppure Danitheripper sentiva che la distanza tra i due aumentava e che presto sarebbe divenuta incolmabile.
“Non partire, non più, non adesso” “Non posso rinunciare a viaggiare o avrò perso me stessa. Mi vedo straniera in terra straniera ma non posso che continuare la mia ricerca. Aspiro a ciò che non potrà appartenermi nella misura in cui non potrò raggiungerla. Qualcosa mi sfugge, ci sono azioni, persone e visioni incompiute nel mio passato che ho il dovere di scoprire. Se guardo al futuro esso mi è ancora ignoto eppure prevedibile. Tu che conosci l’alfa e l’omega sai che sono qui, insieme. Mi attrae il presente perché è solo esso che posso mutare. Mi pongo di fronte a luoghi sconosciuti per finire con l’accorgermi che mi appartenevano. Li confronto con ciò che conosco e non faccio che riconoscerli. Rivedo e risento, senza godere del piacere della scoperta e non mi sazio mai. Rendere l'ignoto noto non fa che condurmi ancora più lontano, laddove finalmente potrò sorprendermi”.

Lui non l’ascoltava più. Giaceva immobile come lo aveva trovato. In mano adesso stringeva una strana spada che la luna rendeva magica coi suoi raggi. Vi si specchiò e si vide pallida e indifesa. Si chinò e con un dito sfiorò la lama, per cancellare quell'immagine ma anche attratta dalla sua poesia. Un’unica goccia scarlatta scivolò lungo l’acciaio e cadde a terra spegnendosi in silenzio.
Tergesteo
La lama era pronta e lucente.
L'elsa salda e sicura.
Un cordoncino di stoffa nera come la notte s'intrecciava sull'impugnatura.

La spada era pronta.
Tagliente.
Gelida.
Spietata.
Incurante.

Tuttavia essa non era ancora perfetta.
Gli armaioli sono soliti identificare il loro lavoro con una sigla o un fregio che viene apposto sulla lama o sull'elsa.

A Tergesteo poco importava che il suo lavoro venisse identificato con la sua persona : i figli sono forse identificati col nome della madre?

In quella spada aveva distillato speranze, dolori, preoccupazioni, gioie . Istanti di vita e di emozioni.
Aveva sperato anche che quella spada …

Guardava la lama. Pallida e lucente come la Luna.

Chiuse gli occhi.

Prese gli strumenti per incidere l'acciaio.

La lucida lama recava ora una ferita.


“Il mio destino non tradisce”


Lucidò ancora con cura la lama... come volesse coccolarla dolcemente.

La ripose nel suo fodero.

Questa non l'avrebbe lasciata in fucina.
L'avrebbe tenuta con sé, fra i ricordi più cari.


" “Non capisci? Io non ho ingannato nessuno .
Il mio destino non tradisce.
Ho cercato me stesso.
Non si cerca che questo.
Vuol dire che è dentro di te, cosa tua;
più profondo del sangue, di là da ogni ebbrezza.
Nessun dio può toccarlo.”
disse Orfeo ”
rammentò Tergesteo.

Il fabbro, stanco, si passo' la mano sul volto a cancellare i propri pensieri.

Col solo effetto di scatenarne altri.
pnj
Danitheripper cercava una solitudine che non esisteva. In mezzo ai volti della gente riconosceva la disperazione. Era attratta dal personale Inferno della gente, si chiedeva come si potesse arrivare ad esser dannati.

"Preferisco stare sola - diceva a se stessa - anche se mi costa caro, ma non fa alcuna differenza. Il tempo non è che un odioso medico che lenisce le ferite, eppure nel mio animo un mese ed una notte hanno lo stesso tormento. La vita è un tiranno che ti prende e ti conduce lontano, ma io ho provato a berla questa vita eppure ho ancora sete".

In preda ad un furore che solitamente dedicava alla battaglia Danitheripper impugnò la penna e scrisse, senza guardare il foglio, scrisse.



Tergesteo,
ti avevo promesso di tornare ma non è ancora maturo il tempo di mantenere le promesse.

Tu per me sei il bene, lascerai un solco, mi aiuterai, mi farai soffrire, mi farai crescere e tutto ciò che riuscirò a fare con te rimarrà. Il tuo sguardo è dolore, le tue parole sono dolore, il tuo sorriso lo è. Sei uno strano uomo che può frequentare solo me. Abbracciami, io allenerò le mie labbra a sorridere anche se ho lasciato a Fornovo il mio sorriso.

Ha ragione la gente quando dice che merito la solitudine, sarebbe molto meglio per te che te ne andassi prima di incontrarmi.

Non avrei voluto ammetterlo ma la tua assenza è un assedio, finché non ti avrò ritrovato non potrò compiere il mio destino. Concedimi una tregua prima dell'attacco finale.

La stoltezza, l'errore, il peccato, l'avarizia, abitano i nostri spiriti e agitano i nostri corpi; noi nutriamo amabili rimorsi come i mendicanti alimentano i loro insetti.

I nostri peccati sono testardi, vili i nostri pentimenti; ci facciamo pagare lautamente le nostre confessioni e ritorniamo gai per il sentiero melmoso, convinti d'aver lavato con lagrime miserevoli tutte le nostre macchie.

È Satana Trismegisto che culla a lungo sul cuscino del male il nostro spirito stregato, svaporando, dotto chimico, il ricco metallo della nostra volontà.

Il Diavolo regge i fili che ci muovono! Gli oggetti ripugnanti ci affascinano; ogni giorno discendiamo d'un passo verso l'Inferno, senza provare orrore, attraversando tenebre mefitiche.

Serrato, brulicante come un milione di vermi, un popolo di demoni gavazza nei nostri cervelli, e quando respiriamo, la morte ci scende nei polmoni quale un fiume invisibile dai cupi lamenti.

Se il veleno, il pugnale, l'incendio, non hanno ancora ricamato con le loro forme piacevoli il canovaccio banale dei nostri miseri destini, è perché non abbiamo, ahimè, un'anima sufficientemente ardita.

Ma in mezzo agli sciacalli, le pantere, le cagne, le scimmie, gli scorpioni, gli avvoltoi, i serpenti, fra i mostri che guaiscono, urlano, grugniscono entro il serraglio infame dei nostri vizi, uno ve n'è, più laido, più cattivo, più immondo.

Sebbene non faccia grandi gesti, né lanci acute strida, ridurrebbe volentieri la terra a una rovina e in un solo sbadiglio ingoierebbe il mondo.

È la Noia! L'occhio gravato da una lagrima involontaria, sogna patiboli fumando la sua pipa. Tu lo conosci, questo mostro delicato, tu mio simile e fratello!


Guardò il foglio denso di lettere ma privo di sbavature, lo piegò e lo affidò a un cavaliere diretto a Milano.
Tergesteo
Fornovo.
Un cavaliere procede per l'intrico delle vie cittadine, tenendo per le briglie il proprio destriero.

Già da tempo nell'Abbazia si è recitata la Compieta.
La città dorme, vigilata dalle scolte sulle mura.

Il rumore degli zoccoli della cavalcatura sul selciato di pietre grosse risuona per i vicoli deserti.

Il viandante si diresse verso la porta settentrionale : in prossimità di quella si trovava la sua destinazione.

Giunse in una piccola piazzetta.
Osservò d'intorno.
In un vicolo si riflettevano bagliori rossastri.

Il cavaliere assicurò il destriero ad una staccionata e si infilò nel viottolo.

Si sarebbe detto che in quel pertugio si aprisse la porta dell'Ade.
I bagliori che ad intermittenza si sprigionavano nella stradicciola si accompagnavano ad un rumore di mantice, come un rantolo ritmato.
Di quando in quando s'udiva, ovattato, un rumore di cozzar di ferri, segnale che qualcuno stava ancora affaccendato ai mestieri nonostante l'ora tarda.

Il cavaliere bussò vigorosamente all'uscio.
Il rantolo cessò, mentre un bagliore ancora più vivo accompagnava l'apertura della porta.
Tergesteo
Tergesteo rigirava tra le dita la missiva giuntagli da Guastalla.
Colei che gliela aveva inviata a quest'ora doveva già essere nella Serenissima, a giudicare dalle parole del cavaliere.
Di nuovo il sole sarebbe tramontato a levante? Davvero era così indistruttibile il circolo dell'eterno ritorno?

Ardeva di curiosità , ma nel contempo temeva di conoscerne i contenuti.
Qualche volta anche i pazzi hanno diritto ad un poca di stabilità.

Sospirò. Raccolse il coraggio. Si decise ad aprire.

Lesse.
Una volta.
Due.
Avesse letto ancora una volta o mille, non avrebbe fatto differenza.


“Se combatte come scrive … non esiterebbe a cacciarmi la spada in gola , questo è certo...” mormorò.
Rilesse ancora.

Ancora un'emozione violenta.
Quelle parole le erano costate sicuramente tanta fatica quanta era l'emozione a leggerle.
Quella pergamena sembrava percorsa da una strana forma di energia.

A fatica, Tergesteo riprese il controllo dei suoi pensieri … per quanto un povero folle potesse fare, beninteso.

Alla fine s'era verificato quanto temuto.
Già a Milano egli l'aveva caricata del fardello della propria follia ed ora quello stesso peso gravava anche sulle spalle di Tergesteo.
Man mano che si creano legami, ci si carica di catene : queste catene in battaglia ti rallenteranno il passo, aumenteranno la paura.
Paura non per sé stessi.
Per chi del rischio ha fatto professione , la paura per se stessi è sentimento remoto.
Ma sopraggiunge il timore per chi è unito dalla stessa catena.

Tergesteo tuttavia era confuso : al di là del timore, non poteva negare che la sua anima tormentata avesse trovato dolcezza e giovamento in quelle parole.
Alla fine anche nel gesto più doloroso c'è una componente di piacere.
Per lui, avvezzo a colloquiare con gli orrori della notte, quelle parole sembravano ridargli una dimensione umana.

E l'umanità , si sa, porta con sé il dubbio e la paura.
Non l'orrore, divina prerogativa.
Ma l'umana paura.
La paura ed il dubbio.

Guardò accanto a sé.
Aveva già pronta la sua sacca da viaggio.
Contava di partire di lì a pochi giorni.
Sapeva che a sud di Milano spiravano venti di guerra : non voleva che i venti cessassero prima di aver annusato l'odore acre della battaglia.
Ma era diverso. Lui la sapeva lontano, distante : era più facile fare qualunque cosa.
Ma ora era diverso.
O almeno credeva lo fosse.


“Tergesteo, melodrammatico incantatore! Quando smetterai di ingannarti?
Non sai qual ' è la pena per gli spergiuri?
Ti vai lamentando di catene, quando per primo hai cominciato a forgiarle e nella pioggia che scendeva hai aggiunto altri anelli ed altri ancora … e ora ti lamenti per il peso?

Sei debole , ecco la verità.
Non sono le catene a gravarti il passo in battaglia : sei tu che non sei in grado! Non cercare di dare la colpa ad altri, vecchio birbante!

Ed ora a te la scelta : o restare immobile ad aspettare che le catene arrugginiscano e cigolino e si deteriorino oppure provare a te stesso che il tuo passo in battaglia è ancora svelto e la mano salda.
Il ferro teme la ruggine ma non altro ferro.

Quindi, indisponente mentitore , decidi una volta per tutte!”


Nuove parole sgorgate da chissà dove gli balenarono in capo.
Diventare più forte , anche della paura.
Anche a rischio di uccidere gli ultimi bagliori di umanità.

Tolse da un armadio la spada che aveva forgiato poco tempo prima.
La ricoprì con una stoffa nera e la infilò nella sacca.

Indi estrasse dal fodero “Buriana” : quella lama lo aveva accompagnato fin dall'inizio.
Dispose di lucidarla con cura e affilarla come un rasoio.

Non prima però di aver segnato la lama nuda e lucida.
Alla fine “Buriana”, scintillante come un tramonto in una giornata fredda e ventosa, s'impreziosì d'una piccola incisione : due rose incrociate , posizionate a metà della lama.

Tergesteo guardava e riguardava quelle rose, incrociate come due spade, unite come due destini.
E si accorse di non avere più paura.

Ancora qualche tempo e sarebbe partito.
Alla fine della battaglia lo attendeva una promessa.
Alla fine della battaglia lo attendeva Lei.

E ancora rammentava quei versi :


“La mano incisa , lividi lungo le braccia,
una maschera chiude il mio volto.
Io non sento il vostro tempo,
questa vita è una breve folgore.
Ma com'è bella questa sera ,
noi danziamo con le stelle
ma com'è dolce questa sera ,
è una danza di stelle.
Colpiscimi e feriscimi
nella perfezione dell'istante la poesia rossa degli affondi
mi farà capire che sono vivo. “
pnj
Danitheripper, pulcino raffazzonato, brutto e cattivo del Clan of Ducks & Geese, aveva saputo della regata mentre si trovava in suolo veneto non certo però grazie alla corrispondenza con Amleto, capoclan e mentore.

Da quando si trovava a Padova non aveva potuto fare a meno di notare gruppi di vogatori improvvisati che si allenavano in vista del grande evento.

Barche incerte che dondolavano sulle acque scure del fiume Bacchiglione, lungo il Naviglio Interno, sotto lo sguardo attento e sinistro del Castelvecchio, costruzione tanto imponente e minacciosa, quanto bizzarra, che mostrava fiera le sue torri a scacchi bianchi e rossi. Una fortezza inespugnabile eppure vivace in quei colori che restituivano ai raggi solari il sorriso di cui godevano grazie al calore di un rosso vivace e di un bianco ancora candido.

I padovani sembravano non farci caso, ma per una straniera abituata all’austerità delle costruzioni difensive lo sguardo non poteva che cadere, curioso, sulle torri.

Il Castello vegliava dall’alto su quei giovani volenterosi e lo sciabordio dell’acqua accompagnava i goffi tentativi di non affondare. Spesso le risate sovrastavano lo sforzo e vogatori inzuppati uscivano dal fiume accompagnati dai motti scherzosi dei compagni.

La sua comunicazione con Amleto di quei giorni era come quei tentativi destinati al fallimento: faceva acqua.

Una sera in Taverna si era ritrovata in presenza dei fidatissimi Levante e Ljsandro, soldati fedeli di quando comandava l’armata Ananke. Li aveva affidati alla disciplina ferrea del Capitano Tancredi ma loro non avevano resistito e per la prima volta si erano presi una licenza per riuscire a raggiungerla.


“Come mi avete trovata? – aveva chiesto stupita – Neppure io so mai dove mi troverò il giorno dopo a quello presente”. “Comandante, senza offesa, lasciate più tracce Voi in giro di un esercito di Barbari” si era sentita rispondere ed aveva chiuso lì il discorso.

Li aveva pregati di rendersi utili ed allora era iniziata grazie a loro la spola tra Danitheripper (che non è un luogo ma tanti) e Pola (che non è per far rima con spola). Solo che i messaggi giungevano in estremo ritardo, per non parlare del fatto che i due soldati avevano le mani sudaticce e l’inchiostro ne risentiva creando sbavature e macchie certamente più artistiche delle parole di cui prendevano il posto, ma che non agevolavano di certo la comprensione.

Amleto chiedeva insistentemente quanto si sarebbe trattenuta e fin dove si sarebbe spinta, lei credeva che il motivo di tale curiosità fosse legato alla possibilità di un incontro, magari di una sorpresa e gli rispondeva che la sua permanenza sarebbe stata breve e che non ci sarebbe stato tempo per una bevuta comune. L’ultimo giorno comprese che lui non le diceva
“Ci sarebbe una prigione e ti ho fregata cerca di pestare qualche alto corno” che davvero stentava ad interpretare, ma “Ci sarebbe in previsione una regata, cerca di restare qualche altro giorno”.

Così aveva già organizzato la partenza e non aveva potuto far parte dell'equipaggio titolare, nonostante le sarebbe piaciuto molto affrontare la tenzone con loro, e giocare con l’acqua e con una barca come faceva ai vecchi tempi a Piacenza.

Quando aveva conosciuto Amleto c’era un lago, un gruppo organizzato di pescatori, una mappa ben studiata dallo stesso Amleto, ed una minuscola falla. Lei aveva fatto parte di quel gruppo, aveva condotto la sua barchetta al largo ed aveva suo malgrado scoperto la falla mandando tutti i pescatori a buttare le reti in uno dei punti meno pescosi del lago. Da allora erano passati secoli, lei non pescava più ed i pescatori piacentini dormivano sonni tranquilli.
Amsterdam707
Non è facile restare alla finestra quando sotto di te c’è la vita.

Non è facile rincorrere la vita, neanche quando trovi il coraggio di imbarcarti in strane avventure.

Molte volte devi fare i conti con la tua coscienza, con le catene che ti sei creato, ogni volta che parli con chiunque, anche il peggiore dei briganti.

Figurati con gli amici.

Ora i tuoi amici sono lontani. C’è chi è in cerca del Sapere, c’è chi è in cerca di se stesso, c’è chi cerca per il solo piacere di cercare.

E tu, Amsterdam, cosa cerchi? Affacciato alla finestra del tuo studio, tra le mille carte polverose degli archivi, Amsterdam osservava i bambini giocare nel sole e nel vento.

Il sole di primavera negli occhi, la stagione dei cambiamenti lo intimoriva e lo faceva rinchiudere nei bui meandri della Storia.

Gli amici erano là fuori. Erano i vecchi commilitoni, erano i compagni d’avventura.
Erano anche i perfetti sconosciuti che attendevano proprio te per parlare, Amsterdam, mio caro.

Nuovi volti da incorniciare, nuovi pensieri da ascoltare, nuovi amici, nuove catene.

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