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Le Giornate di Milano

Tergesteo
Tergesteo gironzolava per la città, la sacca sulla spalla.
In quella sacca c'aveva cacciato a forza molti ricordi e molte speranze.
Ancora qualche ora lo separava dalla partenza , ma ancora non riusciva a staccarsi del tutto da Fornovo.
In fin dei conti passò la sua giovinezza su di una galea veneziana e il marinaio è un viaggiatore strano : a casa è impaziente di partire, in navigazione si strugge di nostalgia.
Sovente la soluzione a questo conflitto è una sola : la Taverna.

E anche stavolta parve a Tergesteo la soluzione migliore.

Entrò nella locanda e vide , attorniato dai cartigli, Amsterdam , col volto più stanco del solito.

Tergesteo si avvicino al compagno d'arme , mentre si frugava nella tasca.
Arrivato in prossimità del tavolo, vide Amsterdam alzare lo sguardo , fissare prima lui poi la sacca.
Lo storico riportò gli occhi sulle carte dispiegate sul tavolo.

Tergesteo allungo la mano , aprì il pugno e mostrò ad Amste tre dadi d legno
:" Ce la giochiamo una birra?" disse ridendo .
Amsterdam sorrise.

Passò qualche ora in cui entrambi allontanarono i pensieri che li appesantivano.
Nessuno fra le risate udì di cosa avessero parlato.


D'un tratto , entrò nella locanda una vecchietta, avvolta in uno scialle.
La taverna piombò nel silenzio, rotto da qualche sussurro in cui si distinguevano le parole "..strega...fattucchiera... ".

Nessuno sembrava voler incrociare lo sguardo con quell'anziana figura.

Ella s'avvicinò al tavolo dei due militari :" La vostra sorte per un poco di cibo..." disse.
I due si guardarono, divertiti :
"Oste , la dama è nostra ospite! Portateci il piatto della casa... e altre due ..anzi tre birre!"

La donna mangiò avidamente , senza alzare lo sguardo.
"E allora , donna, parlami della sorte ..." disse Tergesteo ridendo.
"Dammi quei dadi che porti nella giubba ..." fu la risposta.

Tergesteo guardò il compagno il quale alzo' le spalle
. "Ti avrà visto prima tirarli fuori ..." disse.

La donna ricevuti i dadi li lanciò al centro del tavolo. Un 4, un 6 e un 2.
"Un sogno che hai coltivato per lungo tempo sta andando in frantumi ... tuttavia questo ti permetterà di avere nuove opportunità ..."
"Responso vago, vecchia!" disse Tergesteo di rimando.

"Non ho terminato ...." disse e lanciò di nuovo i dadi : 3, 6, 5."Hai ricevuto una notizia che ti ha turbato , ma ti ha anche reso felice.."

Tergesteo tacque. Il volto gli si era rabbuiato di colpo.
Fissava la strega con preoccupazione : il gioco - se di gioco si trattava - era andato troppo oltre ...


"E ora l'ultimo lancio ... il futuro!".Rotolarono i dadi.
Le facce dissero 2, 6 e 3.


"Ascolta, soldato , tu ti aspetti di sentirti dire se tornerai o meno. Non te lo dirò .... sappi però ...."

".. sappi però che l'unico modo per sapere quali conseguenze porterà la scelta fatta è rischiare, sapendo che ci sono persone che ci proteggono... non posso dirti altro... se non ringraziarvi per il cibo!"
disse la strega, ridendo con la bocca sdentata ed allontanandosi.

Tergesteo respirava a fatica. Fissava i dadi .
Ripensava alle parole della strega.
Ripensava agli accadimenti passati e recenti.
Guardò negli occhi l'amico.
Guardò nuovamente i dadi.

Tutto si riconduceva ad un semplice, rapido lancio di dadi ...
pnj
Verona. Due giorni a Padova, insieme a Thay, sua cugina, avevano fatto breccia, avevano recato un senso di quiete ma Danitheripper non aveva potuto trattenersi un solo giorno in più.

Era stata avviluppata dal calore della sua famiglia e adesso che se l’era lasciata alle spalle si chiedeva da dove giungesse questa strana tristezza che saliva come la marea fino a raggiungere lo scoglio più alto. Il suo cuore non era che roccia, ed era nero e nudo, come poteva arrivare sin lassù?

Aveva scritto una lettera drammatica a Tergesteo, si sarebbe pentita se il destinatario fosse stato un altro, ma riversare i propri pensieri su un foglio, così come si erano affacciati alla sua mente, senza filtri, solamente lui sarebbe stato in grado di reggere.

Magari lui era troppo impegnato per ricordarsi delle loro promesse o per pensare a lei, al loro saluto senza cerimonie, ad un distacco che la notte aveva atteso. Magari lui era alle prese con la propria follia, magari giaceva in fondo ad un incubo, in calda intimità col nulla e non si curava più di lei.

Aveva deciso di restare a Verona, ancora un altro giorno, aveva un amico che giungeva dal passato cui prestare la voce. Sarebbe partita col favore delle tenebre.

La sera dà sollievo agli spiriti divorati da un dolore selvaggio, al pensatore ostinato la cui fronte si piega, al contadino ingobbito che ritorna al suo letto. La sera è il momento migliore per i viaggi.

Guardava dalla sua finestra una cupola color cobalto senza luna né stelle, e si chiedeva se ci fosse modo di illuminare un cielo nero e fangoso.
"Se si potessero lacerare tenebre più dense che la pece, senz'alba né tramonto, senza astri né lampi funerei. Ecco la bella sera, amica del criminale: arriva complice, a passi da lupo; il cielo si chiude lentamente e trasforma in belva l'uomo impaziente” diceva a se stessa.

Davanti a lei si apriva un occulto sentiero, simile al nemico che tenta un colpo di mano.

“Bionda strega, li ami tu i dannati? Dimmi, conosci l'irremissibile? Conosci il Rimorso dai dardi avvelenati cui il nostro cuore serve da bersaglio? L'Irreparabile rode col dente maledetto il pietoso monumento della nostra anima e sovente ne attacca, simile alla termite, l'edificio alla base”. La voce era tornata quella notte, un’altra voce che non conosceva ma che sembrava conoscerla.

Non aveva avuto una risposta da Tergesteo, la sua lettera non necessitava di risposte, eppure avvertì nuovamente il desiderio di scrivergli.




Fratello,
perdona l’ardire dei miei scritti e lascia che essi mi concedano il sollievo che non trovo in alcun luogo.

Mi pare, a volte, che il mio sangue fiotti come una fontana dai ritmici singhiozzi. Lo sento colare con un lungo mormorio, ma mi tasto invano in cerca d'una ferita. Fluisce attraverso le città che attraverso come per un campo recintato, cava la sete a ogni creatura, tinge la natura in rosso.

Spesso alla birra capziosa ho chiesto di addormire per un giorno il terrore che m'assilla; ma la birra rende l'occhio più acuto e l'orecchio più fino.

Ho cercato nel viaggio il sonno dell'oblio; ma il viaggio per me, non è che un materasso d'aghi. C'è un solo modo di dimenticare il tempo, impiegarlo, e tu sai che io ci sto provando. Noi vogliamo, per quel fuoco che ci arde nel cervello, tuffarci nell'abisso, Inferno o Cielo non importa. Giù nell'ignoto per trovarvi del nuovo.

Quei giuramenti, quei profumi, quegli addii infiniti, rinasceranno... Chi non sa popolare la propria solitudine, nemmeno sa esser solo in mezzo alla folla affaccendata. Chi ha troppe parole non può che essere in solitudine, eppure io mi ritrovo sempre suddita di occasionali compagni di viaggio.

Mi ritrovo a dividere il mio desco con una deliziosa creatura, Ladycats, Diacono dalle vedute aperte cui non ho saputo negare una scorta. Ella tiene lontano i ferri del mestiere ed io in cambio le restituisco il silenzio.

Ho un’avversione preoccupante verso i rappresentanti di una qualsivoglia scelta religiosa, eppure essi hanno il dono di attrarmi, e di meritare la mia considerazione. Coloro che hanno esaurito le domande e si circondano di risposte, turbano l’animo di una miscredente quale io sono.

Esistono solo tre esseri rispettabili: il prete, il guerriero, il poeta. Sapere, uccidere e creare.

Spero che nessuno abbia a leggere quanto ti scrissi, gli altri non possono comprendere il legame che ci ha uniti.

Quelli come noi son venuti su un po' strani e covano le loro solitudini in segreto quasi con gelosia, lasciandosi un po' andare solo davanti al calore di un fuoco acceso davanti ad un campo di battaglia.

Quelli come noi così timidi e ambiziosi piuttosto silenziosi, non gli si darebbe un soldo, eppure aiuteranno gli altri a dare un calcio al mondo e prenderanno a pugni il Re e lo Stato calpesteranno il dio per cui ogni libertà si fa peccato.

Quando la morte avrà addolcito un po' il tuo viso che tante volte già mi aveva intimorito, e tu mi chiederai un ultimo sorriso, un gesto di pietà che avrai meritato, quando la morte avrà allentato un po' le braccia che tante volte già mi avevano piegato e tu ricercherai i miei capelli, la mia faccia per farmi la tua prima ed ultima carezza, quando la morte avrà sconfitto il compromesso, allora ti amerò ma tu non lo saprai.

No, non creder ch'io aduli; poiché quale avanzamento posso io sperare da te che non hai altra rendita che le doti del tuo spirito, per nutrirti e vestirti? Perché si dovrebbe adulare il povero? No, che la lingua inzuccherata lecchi lo stravagante fasto, e pieghi le proficue giunture del ginocchio dove il guadagno possa seguire alla piaggeria. M'intendi? Da quando la mia cara anima fu signora della sua scelta, e seppe tra gli uomini distinguere la sua elezione, ti ha suggellato per lei; perché tu sei stato come uno che, tutto soffrendo, di nulla soffre; un uomo che gli schiaffi e i premi della Fortuna hai presi con eguali grazie; e beati son quelli ne' quali le passioni e il giudizio sono così ben mescolati ch'essi non sono un flauto su cui il dito della Fortuna possa premere il tasto che le piace. Datemi l'uomo che non è schiavo della passione, ed io lo terrò nell'intimo del cuore, sì, nel cuor del mio cuore, come io fo di te.

Noi abbiamo imparato a cascare una e mille volte con fiera caparbietà, fino a che non abbiamo imparato a rialzarci.

Non sopporto questa inoperosità che m’induce a ritenere che vivere non sia che male. Assai più che la vita ci porta avanti la morte con i suoi legami sottili. Non abbiamo fatto un patto di vita, moriremo assieme o non ci incontreremo.

A questo agonizzante che già il lupo va fiutando e il corvo adocchia, a questo soldato ferito; dillo, se deve disperare d'avere la sua croce e la sua tomba.


Chiamò Levante e Ljsandro. "Soldati, nessun legame esiste più tra noi eppure continuate ad offrirmi la vostra devozione. Vi chiedo un ultimo favore, fate sì che questa lettera giunga a Fornovo quanto prima e conservatela nella sacca dei vostri cavalli perché colui cui è destinata possa leggere senza rischiare di interpretare male il messaggio"
Tergesteo
L'alba.
Fornovo era silenziosa.
Tergesteo aveva cercato di prendere commiato da quelle contrade, ma alla fine gli era riuscito solo di uscirne in punta di piedi così come era entrato.

Caricò la sacca sul destriero.
Rientrò in casa.
Quando uscì due cavalieri stazionavano presso il suo cavallo.

L'uniforme - seppure impolverata - gli era nota.
Gli omerali erano giallo-oro : i distintivi di Ananke.


"Levante, Ljsandro ...." mormorò Tergesteo.
"Prima che ce lo chieda tu, Tergesteo, il Comandante non è con noi ... sta rientrando dalla Serenissima.
Siamo qui per recarti una missiva."


La delusione sul volto del folle era visibile.

"Fà vedere ..." , disse mentre Levante gli recava il cartiglio.
"Noi andiamo all'abbeverata per far riposare i cavalli... tu ci troverai là!"
"Si.. si ... grazie... davvero"


Tergesteo rientrò in casa.
Chiuse la porta della stanza.

Uscì qualche tempo dopo.
In mano recava una piccola pergamena e due fiori.

Uscì dall'abitazione e portò il cavalllo all'abbeverata, dove l'attendevano i due messaggeri.


"Ora cosa farete, Levante?"
"Il Comandante ci ha dato appuntamento in un borgo fuori Mantua.
Dice che ci attenderà là prima di proseguire..."
"Proseguire per dove?"
"Questo non lo sappiamo ..."


"Lei ... lei come sta?" si pentì della domanda : non voleva sembrare preoccupato tuttavia attendeva la risposta con trepidazione."La conosci no? Lei non fa trapelare nulla ... "
"E' vero ...."
"Tergesteo, dobbiamo riferirle qualcosa?"


Tergesteo sorrise.
"Ti prego di darle una lettera... e questi... lei capirà..."Porse al messaggero due rose, una rossa e una bianca."Ah ah vecchio pazzo... arriveranno secche a destinazione!"
"Allora è ancora meglio ... apprezzerà ancora di più il dono!"


Levante lo guardò : anche senza parlare esprimeva pietà per quel folle.

Tergesteo consegnò anche la lettera.




Sorella,
le tue parole hanno risvegliato in questa anima spenta un briciolo di umanità.
E in verità, il risveglio è stato tanto dolce quanto traumatico : quelli come noi che parlano la lingua dei folli hanno disimparato la lingua degli uomini.

Hai scritto bene : rituffarci nell'abisso. E questo sto per fare di nuovo : sprofondare nella notte della ragione per uccidere come un sicario la paura.
La paura e l'orrore ci sono amiche.
Ma qualora non lo fossero , diventano per il guerriero temici da temere.
Se ormai sono avvezzo ad accompagnarmi all'orrore, la paura ha deciso di odiarmi.
E per questo devo scendere nell'abisso.

E giocarmi tutto con un lancio di dadi, ancora.

Ma una cosa resta.
Resta la nostra promessa, come l'attesa dell'alba nella notte buia.
Non temo la morte perchè so che ella nella sua misericordia vorrà accontentarci giacchè in suo nome è la nostra parola.
E se ella ha disposto che il nostro incontro sarà l'ultimo , poco importa : per chi ha deciso di barattare secoli di quieta disperazione per un attimo di infinito, tanto basta.

O se invece il fato vorrà concederci ancora qualche giro di clessidra, ce lo giocheremo assieme come si lancia la sorte, sorridendo del risultato qualunque esso sia.

Sorella mia di morte, attendi il Folle alla fine della notte : dove tu sarai , io sarò.
Sorridente come solo la Follia sa sorridere.

E se per un solo istante la noia o il dolore o la meschinità di quello che ti circonda dovesse farti vacillare , guarda la tua mano e rammenta.

Il tuo fratello di morte


"Possiamo fare altro per te, Tergesteo?"
"No nulla di più ..."
"Dobbiamo dirle dove sei diretto?"
"No ... non cambierebbe nulla ... effettivamente nulla"
"Capisco, buona fortuna , Tergesteo..."

"Già ... fortuna ... Addio ragazzi e grazie"

I due messaggeri montarono sulle cavalcature e puntarono diretti verso la porta settentrionale.

Tergesteo guardò ancora per un poco la proprio immagine riflessa nella fontana.
Si alzò.
Controllò che avesse addosso, accuratamente ripiegate , le due missive ricevute.

Il sole era alto.
La città quasi sveglia.
Era ora di procedere.
Tergesteo
Davanti agli occhi del viandante si schiudeva una distesa azzurra , venata d'argento, che si staccava con una linea disarmante quanto perfetta da un cielo che si tingeva d'un blu crudo.

Il mare.

Per Tergesteo significava esporsi inevitabilmente al tormento dell'eterno ritorno.
Anche i folli, strano a dirsi , hanno delle origini.
E le sue radici affondavano in una terra baciata dal mare e incatenata dalle colline.
Era stato imbarcato in gioventù, prima di trasferirsi nel Ducato di Milano.

Dei marinai aveva quella strana nostalgia che in navigazione ti fa sognare casa e a casa ti fa cercare l'imbarco.

Nella vita di bordo aveva imparato che ciascuno ha un ruolo e quel ruolo, bello o brutto che sia va svolto al meglio;
aveva imparato che puoi essere il miglior marinaio al mondo ma che arriverà l'ondata che ti trascina via e ti liquida, prima o poi;
aveva imparato a bere e come amava dire il secondo del comandante "Col brutto tempo il buon marinaio va per mare, l'ottimo marinaio in taverna".

E infine aveva imparato la solitudine, quella che ti entra nelle ossa come l'umidità di una sentina e che ti pesa sui polmoni come l'aria salmastra.


Gli sembrava di respirare quell'aria proprio ora che s'era lasciato alle spalle la propria casa, il proprio mestiere, l'esercito ...

Sospirò.
Gli erano di conforto i ricordi e fra tutti pescò quello di una notte di pioggia.
Strinse gli occhi.

"Tu non sei pazzo Tergesteo sei solo …”

Si rimise a guardare la distesa d'acqua.
"Mai come ora ...."
pnj
Danitheripper aveva portato con sé dal Veneto un’altra ferita nella sua anima tormentata, ed adesso si sentiva più cattiva e meno avvezza al perdono. Accettava volentieri le critiche e si attendeva che i propri nemici non avessero pietà nei suoi confronti, ma sapere un amico in preda allo sconforto, tradito da quelle stesse persone cui aveva offerto il suo forte braccio e la sua mente acuta non riusciva ad accettarlo.

Aveva discusso per giorni ma le parole sono vane quando ci si ostina a valutare i fatti solo da una prospettiva. All’inizio il sapere Folgor colpevole di omicidio di un povero viaggiatore l’aveva spiazzata. Conosceva la sua perizia e non poteva credere all’errore, poi la verità si era delineata chiara ai suoi occhi: Folgor aveva fatto il suo dovere. Ma, come tutte le decisioni prese a favore di altri, la sua si era rivelata impopolare.
“Ma chi te lo aveva chiesto?” Una domanda che sembra sempre riecheggiare nella bocca degli ingrati.

Lei non avrebbe più fatto nulla per nessuno, lo aveva già deciso ma se lo ripeteva sempre più spesso in quei giorni, durante l’estenuante viaggio cui si era costretta. Solo i suoi amici e la sua famiglia meritavano il suo rispetto e la sua lealtà, nessun altro, e solo loro l’avrebbero avuta.

Da qualche giorno sostava inquieta nella stessa città e si sentiva un pesce fuor d’acqua. Un via vai di facce che non le restavano impresse nella mente, parole che le scivolavano addosso, la gentilezza di taluni che il suo animo respingeva.
“Non sono quello che sembro” si affrettava a dire a chi si mostrava troppo cortese. “Potrei uccidervi tutti e continuare a bere beatamente mentre i vostri corpi straziati giacciono ancora ai miei piedi”. Non cercava amici, non cercava comprensione, attendeva qualcuno e si chiedeva se mai sarebbe giunto o se fosse destinata a proseguire senza averlo atteso.

“Il coraggio aspetta; la paura si mette in cerca” si ripeteva per convincersi a restare, perché quello era il momento di decidere se tornare indietro o andare avanti, se si fosse resa vana la sua ricerca, magari perché la risposta era all’inizio del viaggio. Ma come riuscire a frenare per un po’ quella smania di movimento che le negava il piacere di godere dell’altrui compagnia?

Guardava la sua sacca di viaggio in cui l’essenziale alleggeriva il peso di un lungo viaggio. Avvezza alla vita da caserma aveva bisogno di poche comodità e nessuna di esse era trasportabile.

Poi, come al solito nei momenti di perplessità, aveva preso la sua decisione senza riflettere. Sarebbe ripartita immediatamente … la risoluzione era presa. Non aveva fatto i conti con due facce amiche che si ritrovava in mezzo ai piedi nei luoghi più impensabili.


“Levante, Ljsandro … - mormorò stupita – ancora voi?” Credeva che la cortesia che aveva chiesto loro li avrebbe allontanati senza più ritorno. Né si attendeva davvero una risposta dalla persona cui aveva mandato i due improvvisati ambasciatori.

“Comandante, lo sapete che non possiamo starvi lontani” sorrise Levante, compiaciuto di essere riuscito a sorprenderla. “La lettera che ci affidaste ha una risposta, pensavamo di rendervi un servigio nel recarvela immediatamente” così dicendo le consegnò un plico.

Una grafia che non conosceva le si aprì dinnanzi, ordinata e diretta, come i modi del soldato che gliela faceva pervenire. Chi pensa che i folli scrivano riversando il proprio estro su di un foglio, senza criterio, si sbagliano di grosso.

Le prime parole la colmarono di gioia anche se erano considerazioni dure.

Lei e Tergesteo avevano legato il proprio destino alla sorte, e quella sorte dipendeva a sua volta dal loro sostegno e appoggio, sicché la mancanza di un punto di riferimento sembrava togliere significato alla loro stessa esistenza. Nelle ultime frasi lesse un senso che non osava sperare.


“Sorella mia di morte, attendi il Folle alla fine della notte: dove tu sarai , io sarò.
Sorridente come solo la Follia sa sorridere.

E se per un solo istante la noia o il dolore o la meschinità di quello che ti circonda dovesse farti vacillare, guarda la tua mano e rammenta”.


Danitheripper non guardò il palmo della sua mano ma accarezzò la cicatrice col polpastrello del pollice.

“Resterò – si disse - lui verrà e troveremo insieme qualcosa per cui valga la pena vivere … o morire. Magari mi accompagnerà alla fine del viaggio”.
pnj
“Che importa che tu sia savia?" le ripeteva il suo maestro d’arme "Sii bella e triste, le lagrime danno nuovo incanto al tuo viso, come un fiume al paesaggio: il temporale dà vita ai fiori”. Ma lei imparava con fatica, e spesso interrompeva il saggio. “Maestro, io non so piangere. Sento l’impeto delle emozioni che giungono fino alla mascella serrata ma esse non salgono, non conoscono altra strada che quella delle parole e spesso preferiscono loro il silenzio”.

Il suono della sua voce, proveniente dal passato la ridestò.

"La gioia fugge dalla tua fronte abbattuta, il tuo cuore naufraga nell'orrore; quando sul tuo presente si dispiega la paurosa nube del passato, quando dal tuo grande occhio scorrerà un'acqua calda come il sangue; e malgrado una mano che ti lambirà, la tua angoscia, con tutto il suo peso, ti strazierà come rantolo d'agonizzante".

Credeva di esser cosciente ma l'oblio non l'aveva ancora abbandonata.

"Tu covi in seno qualcosa della superbia dei dannati, ma fintanto, mia cara, che i tuoi sogni non saranno il riflesso dell'Inferno, e che in un incubo incessante, sognando di veleni e di spade, innamorata di polvere e di ferro, non aprendo che con timore a tutti, vedendo ovunque sventura, spasimando al sonare dell'ora, non avrai sentito la stretta del Disgusto irresistibile, non potrai dirmi, nella torbida notte: Eccomi … sono pari a te”. "Terge, perché non riesco a dormire?" Chiedeva invano a colui che non era presente se non in una bolla della sua memoria. "Tutto è abisso Dani, azione, desiderio, sogno, parola. In alto, in basso, dovunque la profondità, la riva, il silenzio, lo spazio pauroso e affascinante ... In fondo alle mie notti col suo dito sapiente disegna un incubo multiforme, senza requie. Ho paura del sonno come d'un gran buco colmo di un vago orrore, del quale non sai la fine; non vedo che infinito da tutte le finestre. E il mio spirito di continuo minacciato dalla vertigine, invidia l'insensibilità del nulla". "Tu non sei Tergesteo, vai via".

Danitheripper, incosciente e avvilita, attendeva, un segnale, un messaggio, un indizio per comprendere cosa avrebbe dovuto fare.

Attendere e restare, due verbi che non le appartenevano, eppure iniziava a prendere familiarità con le taverne, coi volti, con il paesaggio.

Solitudine e abitudine, finché una sera non s’imbatté in lui. Non lo vedeva da allora, dalle concitate giornate di Milano, era passato un mese e mezzo dalle Idi di Marzo, ma quell’incontro sembrava evocato dalla memoria, come quelle voci senza corpo.

Non la ingannava il biondo dei capelli di lui, un demone con le sembianze di angelo, un altro dannato che cercava il suo personale Inferno e che meritava tutto il rispetto per il coraggio che aveva dimostrato in questa ricerca.

Dimentichiamo facilmente le nostre colpe quando siamo i soli a conoscerle, ma a Will non poteva celarsi perché lui sapeva, e non aveva bisogno di fingere un’empietà che in quel momento le era distante.

Era notte, le taverne erano vuote, solo lui e lei, senza barriere, avrebbero potuto essere ovunque, restarono a fissarsi finché l’abitudine alla schiettezza che avevano imparato sotto le armi, non prese il sopravvento.

Si abbracciarono … o forse no, non sempre un contatto fisico è necessario quando c’è un legame tanto profondo. L’incontro fu emozionante ma breve, Danitheripper stava già per lasciare la taverna onde evitare di crollare sotto il peso di certezze che si sgretolavano, quando un altro avventore notturno interruppe anzi tempo quell’incontro.

Si congedò senza avere appreso se Will era solo di passaggio o se nelle sue intenzioni c’era un soggiorno prolungato nella capitale modenese.

Tornando alla locanda che la ospitava si sentì meno sola, ciononostante il sonno non riuscì ad attecchire ed affacciandosi alla finestra restò in attesa.
"Lascia che le emozioni degli incontri scivolino via da te Dani, non concedere a te stessa il balsamo della gioia. Essa è effimera, solo il dolore resta".

La gente desidera smettere di soffrire, ma non è disposta a pagarne il prezzo, a cambiare, a cessare di definirsi in funzione delle sua adorate sofferenze. E’ schiava dell'abitudine e non è disposta ad aprire nuove porte verso una comprensione diversa dell'esistere.

Lei non restava, passava, per evitare di cedere ad un meschino senso di possesso. Nulla le apparteneva, persone, cose, transitavano veloci altrimenti avrebbe concesso loro il modo di radicarsi, di insinuarsi e di attecchire.
Tergesteo
Tergesteo ben presto si rese conto che quelll'avventura per combattere la paura si stava rivelando una tortura atroce.
Giornate uguali ad attendere, lontano da tutto e da tutti.

Invero inizialmente aveva frequnetato le taverne, dove la gente era gentile : ed era stata questa gentilezza ad acuire la sua pena.
E' inevitabile che quando si è circondati da gente allegra si ritorni con la mente ai propri ricordi felici.
E il contrasto con la realtà del momento rende tutto penoso.

Preferiva quindi evitare i luoghi affollati, preferendo stare ad osservare il mare scuro e calmo, rotto di quando in quando da una brezza leggera che in verità a tratti lo inquietava.
Sembrava che quella brezza venisse a chiamarlo ed a imporgli chissà quali decisioni.


Una sera, all'imbrunire, se ne stava appoggiato ad osservare lo sciabordio delle onde.
Volutamente solo.
Inevitabilmente a disagio.
E il tutto sembrava trasparire dal suo volto.


“A vederti ora, capisco perchè il dolore è cosa troppo grande per albergare in piccoli cuori ..."

Una voce lo fece trasalire.
Si voltò e vide una faccia conosciuta eppure riposta in qualche angolo della memoria.
Il volto abbronzato e scarno era nobilitato da due occhi grandi e neri come la notte, mentre una cornice folta di barba e capelli ispidi completava il quadro.
Le fattezze dell'uomo erano orientali cosi' come le vesti.


“...Massoud … “ mormorò il Folle.
“... proprio io , amico mio... strano posto per darsi appuntamento vero? “Quell'uomo gli era stato compagno in divesi viaggi, imbarcati sulle stesse navi.
Poi la vita li porto a separarsi ma entrambi serbavano reciprocamente il ricordo dell'amico.

E ora un fato beffardo li aveva fatti reincontrare in un luogo inaspettato per entrambi, entrambi di passaggio, entrambi alla ricerca di qualcosa.


Riprese l'arabo “... peccato ritrovarti solo adesso, Tergesteo : sono in partenza,mi muovo verso ponente. Oggi è 'ultimo giorno qui...”

“Non il mio credo, anche se non ti nascondo che vorrei essere altrove ….”

“Ahah non sei cambiato molto da quando eri un giovane marinaio...”
“Tu credi? Lo credi davvero?”
disse il Folle, guardandolo negli occhi.
Tergesteo aveva uno sguardo severo, ma gli occhi erano come coperti da un velo … si sarebbe detto che quell'uomo avesse visto avvenimenti tali da costringerlo a diventare di giorno in giorno più cieco.


Massoud stette un momento in silenzio.Vieni camminiamo....”

I due si incamminarono costeggiando il mare.
I lunghi silenzi si intervallavano a brevi discorsi.
Non si vedevano da anni, probabilmente non si sarebbero visti mai più : eppure nessuno dei due parve rammentarlo.
Si sarebbe detto che discorrevano in tre : i due uomini discorrevano col silenzio.


“Vedi Tergesteo, tu dici di voler uccidere la tua paura … ma tu non stai procedendo come un sicario.
Stai fuggendo.”


Il Folle si fermò, seguito dall'arabo.

“Vecchio mentitore, non dire che non lo sapevi anche tu … soltanto ti era più comodo credere di essere tu quello che conduce il gioco … eppure credimi , non è così”

“Massoud, credi di conoscermi tu dopo anni , più di quanto possa io stesso?”

“ Al viandante la montagna appare più chiara dalla pianura … dicono dalle mie parti ; sono stato lontano ma non sono cieco...”

Tergesteo sorrise.
Gli mancava quel modo di parlare , quel modo che gli orientali hanno di dire le cose per caso e mai per caso.


“Vedi Terge ...la paura non è che la sensazione della perdita. Sia essa della vita, di una persona o di un oggetto non cambia : si teme che questa perdita sia irreparabile.
Ma la domanda è : per chi?
La risposta è ovvia : per chi ha un legame e teme di perderlo.
E allora ti chiedo : quella che provi è paura o soltanto una forma elegante di egoismo?
Tu temi di perdere l'oggetto o il legame che lo vincola?”


Continuò.


“Perchè se tu pretendi di preservare il legame a cui sei tanto attaccato , indebolendolo con la fuga …. beh sei certamente una persona curiosa Tergesteo!”

Proseguirono ancora per un tratto.
L'arabo diede un buffetto sulla guancia a Tergesteo, come per ridestarlo dal sonno

La via che hai intrapreso non passa per la contemplazione o per l'ascetismo.
Tu hai scelto di sperimentare e per sperimenatre bisogna vedere e sentire e toccare …. e alla fine la sperimentazione suprema, morire!”

“Ora devo andare, amico mio, il convoglio mi attende per partire : grazie per la chiacchierata ...Inch'allah avermo modo di riprederlo … stammi bene , amico mio , Al Saalam Aleikoum...”

“Wa Aleikoum Saalam , amico mio ...fà buon viaggio”


L'arabo gli sorrise, poi aggrottò le ciglia si avvicino a Tergesteo dicendogli piano : “...e se davvero vuoi conoscere lo spirito della morte, spalanca il tuo spirito al corpo della vita. Perché vita e morte sono una cosa sola, così come il fiume e il mare …. “

E si allontanò, lasciano il Folle confuso ed incerto come non lo era mai stato.
Ma per chi voglia sperimentare il dubbio e l'incertezza sono compagni di strada.
Tergesteo
Il cavallo arrancava, strascinandosi lungo una stradetta di montagna, come ce ne sono a migliaia lungo l'Appennino.
La povera bestia badava soprattutto a non scivolare , procedendo lentamente.

A Tergesteo questa andatura non dispiaceva.
Si sarebbe detto che non avesse fretta di arrivare, benchè in cuor suo se solo avesse potuto avrebbe polverizzato la distanza in un battito di ciglia.

Qualche volta però non è importante nè il dove nè il come, l'importante è andare, muoversi, evolvere.

L'idea in fondo era questa.

Sul perchè stesse inerpicandosi lungo il tratturo ... no, decisamente a questo non aveva risposta.
O meglio.
Aveva tante domande.
Decine di risposte.
Inutili.

Innazitutto non sapeva dove cercare.
Gli dissero nel modenese.
Poteva anche essere in Ungheria, a questo punto.
Notizie vecchie di una settimana.

Per intanto cercava.

Il quesito successivo era il seguente : cosa cercare o meglio cosa sperava di trovare? Conforto? Azione? Requie? Visioni? Illuminazione? Un sorriso? Una cicatrice? Una nuova ferita?
O semplicemente nulla.
O il Nulla.

Sorrise mentre si sorprese a pensare.

"Pensieri come un groviglio di vipere ... Tergesteo , attendevi con ansia la notte foriera di visioni orribili ma ora ... la notte e il silenzio te li porti dentro..."

Ripensò alla parole dell'arabo Massoud.

"Tu non stai procedendo come un sicario.
Stai fuggendo."



"E ora? Sto cercando o sto fuggendo?"


Chiuse gli occhi, mentre il cavallo a fatica arrancava lungo l'erta.
Si lasciò dondolare dal movimento della cavalcatura.

Si guardò la cicatrice sulla mano.
Ebbe un fremito.

"Tutti abbiamo una ferita segreta per riscattare la quale combattiamo..."

Ma contro cosa o chi non è concesso saperlo.
L'importante è andare.
Tergesteo
La città.
Era già suonato mezzogiorno e le vie erano brulicanti di persone.
Sembrava che attraverso il lavoro la gente volesse bere dalle coppe dell'obio e dimenticare per un poco gli affanni e le delusioni.
O stava semplicemente vicendo.
La realtà è questione di punti di vista.

Tergesteo cominciò la sua ricerca.
In effetti cercare una persona che si presume sia in una città senza averne la certezza è un pò come estrarre la carta giusta da un mazzo : questione di fortuna, di destino senz'altro non di abilità.

Cominciò a gironzolare per le taverne,dove si incontrano i viaggiatori.

Si fermò un attimo in una piazzetta, dove frotte di marmocchi si affaticavano nella più nobile e spensierata delle applicazioni : il gioco.
Essi si figuravano di essere cavalieri, dame, fate, maghi e mettevano in quella attività l'allegra serietà che i bambini dedicano i loro giochi.

Tergesteo li osservava.
Pensieroso.
Eppure quella gioia infantile sembrava fargli bene e di tanto in tanto sorrideva.

In particolare fu affascinato da una coppia di bambini , una femminuccia ed un maschietto.
Impugnavano spade di legno e duellavano e in verità non si risparmiavano nel colpire l'avversario.
Ma le loro risa e i loro gridolini evocavano un divertimento amichevole, non la crudezza della guerra.


Ad un certo punto però, una donna , una popolana, piombò sull'improvvisato campo di battaglia e sorridendo prese per mano la bambina : evidentemente era ora di pranzo e la madre veniva a reclamare la figlia.

La piccola restò interdetta : guardò la madre con sguardo interrogativo, poi si volse al compagno di gioco come volesse comunicargli il proprio disagio per l'interruzioone e nel contempo chiedergli aiuto , poi si rivolse di nuovo alla madre.


"Devo andare ... mi chiamano... non posso rimanere ... ciao ciao !" disse la piccola e lanciando un ultimo sguardo di scuse al maschietto, seguì diligente la madre ed entrambe sparirono dietro un angolo.

Il povero bambino restò immobile, la spada di legno stretta nel punto.
Si sarebbe detto che le cose erano successe troppo in fretta perchè se ne rendesse conto.

Abbozzò qualche passo verso madre e figlia che s'allontanavano , poi rivolse lo sguardo agli altri amichetti che guardavano la scena.
Indi si blocco', lo sguardo perplesso.
Rimase solo soletto con la sua spada.


Tergesteo si alzò.
Si diresse verso il bambino e gli si inginocchiò davanti.
Tolse un frutto dalla bisaccia e lo porse al marmocchio che lo guardava pieno di dubbi e lo sguardo umido.

"Non ti preoccupare , piccolo, tornerà ..." disse il Folle sorridendo.
Il piccolo prese gli inaspettati doni e si allontanò un pochino , continuando a fissare quello straniero.

Tergesteo si alzò e ricominciò la ricerca.

"Sei proprio un infame Tergesteo... ora menti anche a bambini?"
mormorò.
pnj
Danitheripper riconobbe la follia dei suoi gesti prima ancora di avvedersi che fosse proprio lui. Vide un uomo porgere un frutto ed una parola buona ad un bambino guadagnandosi in cambio uno sguardo dubbioso e nessuna credibilità.

Parlare ai bambini, dare loro consigli e speranze è proprio da folli. I bambini prendono tutto quello che possono e danno ciò che non riescono a negare per natura.


“Come le donne – pensò - come me …”

Il suo primo impulso fu quello di corrergli incontro, di cercare un contatto, ma quei mesi lontani, quei mille pensieri rivolti a lui, poi perché mai? Combattere, uccidere, vivere o morire. Questo li legava, motivo per cui non esitò a sguainare la spada contro di lui.

“Affrontami uomo di lancia e guerriero animoso – gli si palesò innanzi così dicendo. – Ah, la stessa Pazienza, se esiste una dea con questo nome, più di me non saprebbe sopportare questo continuo star sulle spine!”

Danitheripper cercò di seppellire un sospiro, sotto la smorfia d’un sorrisetto, come quando s’affaccia un po’ di sole a illuminare nuvole in tempesta. Ma la pena che tenta di nascondersi dietro il velo d’un’apparente gioia non è in nulla diversa dalla gioia che il fato muta in subita tristezza.

In quei giorni in cui la gente che incontrava in taverna le chiedeva chi attendesse, quale forza misteriosa avesse interrotto il suo viaggio lei rispondeva pensando a lui. Nella menzogna si era creata un immagine che gli somigliava.


“Dicono che ha rubato a molte bestie le naturali qualità di ognuna: il coraggio al leone, il carattere irsuto e bieco all’orso, la flemma all’elefante; un uomo insomma in cui madre natura ha stipato talmente i suoi umori, che il valore gli si è schiacciato dentro in follia, e a sua volta la follia s’è condita di molta discrezione. Non esiste virtù d’uomo di cui non sia in lui qualche barlume, né difetto di cui non vi sia macchia. E’ malinconico senza ragione, come diventa allegro a contropelo,
è articolato in tutto, ma ogni cosa che fa è sì sconnessa da mostrarlo tutt’occhi e niente vista”.


La piaga della pace è la sicurezza, la sicurezza sicura di sé; mentre il modesto dubbio è chiamato il fanale dei saggi, la tenta che ricerca al fondo del peggio . Tutto era pace ed armonia ma qualcosa nell'aria urlava e chiedeva che il sangue venisse versato per compiacere qualche divinità sanguinaria.

In quel momento desiderava soltanto combattere, incrociare la spada con Tergesteo per dimostrargli, fuori da ogni ombra di dubbio, che le era mancato.
Tergesteo
Tergesteo aveva appena lasciato il marmocchio che fatti pochi passi si trovò davanti ad una spada sguainata.
A impugnare quella spada c'era lei.

Ed infetti era come se avesse ricevuto un fendente in pieno petto.
Un emozione violenta, quasi difficile da dissimulare.
Ma alla quale Tergesteo concesse solo un sorriso luminoso
.

“Affrontami uomo di lancia e guerriero animoso .
Ah, la stessa Pazienza, se esiste una dea con questo nome, più di me non saprebbe sopportare questo continuo star sulle spine!”


"Pazienza? Tu sei Vendetta , sorella, perchè mi hai riservato lo stesso trattamento ..."

Avanzò di un passo, a sfiorare la punta della spada con l'addome.
Tergesteo la fissava , come se volesse sincerarsi di non essere di fronte ad una visione.


"La Sorte però m'ha sorriso ... e dal mazzo ho estratto proprio la carta che cercavo..."
Tergesteo infilò la mano nella casacca ed estrasse una carta.
Su di essa era raffigurata una donna severa, la mano destra impugnava una spada, la sinistra sollevata.Il suo aspetto severo e castigato suggerivano familiarità e al contempo mestizia e dolore.
La Regina di Spade.


Tenendola fra due dita la mostrò alla Sorella di Morte.
Sorrisero entrambi.


"Mi sei divenuto ciarliero o il braccio di Tergesteo s'è rammollito al punto di non riuscire a brandire un arma?" disse spingendolo delicatamente con la punta della spada.
"Ti faccio così paura da dovermi puntare contro un'arma? Ti prego riponila ed accompagnami fuori dalle mura ..."

La delusione sul volto di dama Epelfing era visibile.
Ringuainò Damocle.
Nel disgusto per la metamorfosi di quello che doveva essere un guerriero, trovò la forza per alcune frasi.


"E sia ... ma trovo tutto questo alquanto penoso ... e tu lo sai benissimo, Tergesteo!"

Tergesteo le offrì il braccio, ma Dani rifiutò sgarbatamente.
Pensò. "Possibile che sia diventato così smidollato?"
Raggiunsero una collina poco fuori le mura, dalla quale era possibile dominare tutta la città.

"Bello quì , non trovi?" disse Tergesteo.
Nessuna risposta.
Solo scosse il capo sconsolata.
Tergesteo
Tergesteo era chino a rovistare nella propria sacca.

Lei spazientita lo osservava.


"Ascolta, Tergesteo non so cosa tu abbia in mente ma ti giuro che se dovessi levare dalla sacca qualche mazzolino di fiori , ti staccherò il braccio all'istante ...."

"E con cosa, con quella specie di spiedo arrugginito, che manovri come una scopa?"


Dani trasalì.
Era tornato. Era folle. Era Tergesteo.

Il Folle levò dalla sacca un fagotto di stoffa scura.
Glielo porse.

"Signemus fidem sanguine ... mi sei mancata , sorellina..." disse allontanadosi un poco per osservarne il volto stupito.

Pian piano sciolse il fagotto.
Comparve l'impugnatura rivestita di stoffa nera, l'elsa piccola e rotonda.
Ed infine la lama.
La stoffa cadde come un sudario mentre il sole si spargeva sull'acciaio.
La lama recava un'incisione.

"Il mio destino non tradisce”.

"Si chiama Ananke ... ed è tua..." disse Tergesteo.
Lei alzò gli occhi dalla spada.
Erano tristi , quasi di rimprovero.
Non era stata ancora brandita eppure quella spada aveva già inferto una ferita.
Inizio sublime.


"Ed ora , gentile dama, se avete la cortesia di concedermi qualche passo di danza ...." disse cerimonioso Tergesteo, estraendo "Buriana".
Lei ora rideva.
"Oh ma certo, messere, credevo avesse disimparato i passi...."
"Come potrei, mia signora, come potrei?"

Erano entrambi in guardia, entrambi in attesa della mossa dell'altro.
La Bionda guerriera stringeva nervosamente l'impugnatura , pronta a scattare come una vipera.
Il Folle con gli occhi socchiusi, aspettava l'attacco.
Incuranti del fatto che avrebbero potuto ammazzarsi l'un l'altra.


Era il loro modo per dire "mi mancavi".
E per dare un senso a quella lunga, interminabile attesa.
Tergesteo
Il tempo non esisteva.
Quel luogo non esisteva.
Non esisteva Bene , non Male.
Nessun se, bandito il ma.

C'erano solo loro due e le loro spade.
C'erano le loro ferite e le loro cicatrici.

I loro respiri erano fatti calmi e regolari.
Si scrutavano l'un l'altra.
Una brezza gentile dondolava le fronde ed i loro capelli.

Era tempo.

Lei prese l'iniziativa.
Lo incalzava con un ritmo vorticoso, Ananke mulinava e la sola cosa che Tergesteo era in grado di percepire era il cozzare dell'acciaio contro l'acciaio, mentre indietreggiava parando i colpi a fatica.

Tuttavia , anche la vipera attende qualche istante fra un attacco e l'altro.
E quelle pause erano di Tergesteo.
Buriana era spada più pesante e meno maneggevole di Ananke, ma quello che le difettava in manovra era compensato in potenza.
Tergesteo si limitava a rispondere agli attacchi, tuttavia in quelle poche stoccate condensava tutto il suo furore.

Il ritmo della guerriera dai capelli d'oro era però incalzante e una stoccata , benchè deviata da Buriana, arrivò sul braccio di Tergesteo.
Il viso del Folle si contorse in una smorfia : benchè si trattasse in realtà di una ferita leggera, bruciava come se fosse stata bagnata col sale.


"Ancora? Ma allora ti diverti a lasciarmi cicatrici dappertutto?"
Una risata sonora fu la scontata risposta.

Il duello riprese , benchè la fatica cominciasse ad avere il suo peso.
Da regolare il loro respiro si era fatto affannso, i volti arrossati, imperlati di specioso sudore.

Ma il duello era all'epilogo.

Tergesteo nel parare una stoccata, perse malamente l'equilibrio, ritrovandosi schiena a terra.

Prima che potesse rialzarsi , Ananke gli lambiva la gola poco sotto la mascella : l'acciaio gelido sembrava quasi fargli il solletico.
Lei era cosi vicino sicchè Tergesteo ne sentiva i capelli carezzargli le gote.
Il Folle corrugò la fronte e aperse gli occhi : vedeva a fatica per il sole che lo abbagliava, ma nella penombra intuì gli occhi di lei che lo fissavano e la sua bocca sorridere.
Udiva il suo respiro incalzato dalla pugna.

Le vene del collo pulsavano e Tergesteo poteva sentire il contatto con la lama ad ogni battito del proprio cuore.
Che avrebbe potuto fermarsi di lì a poco se lei avesse voluto.

Si chiese poco razionalmente se lei lo avrebbe risparmiato.
Ma alla fine fu il pensiero di un attimo.
Con un'immagine simile si era spesso raffigurato la Morte.
E mai gli era dispiaciuto.
pnj
Lo aveva visto compiere strani gesti, misurati e sensati, come se la follia fosse stata spazzata via dal tempo e dalla lontananza. Quando lo aveva sorpreso chino sul bambino a raccontargli storie lo aveva riconosciuto, ma adesso si trovava di fronte una persona che non sapeva come affrontare. La sfida era rivolta al folle ma se l’avesse rifiutata avrebbe mostrato le spalle al savio, e più di una volta fu sul punto di farlo.

Quando il fratello di morte estrasse la carta della Regina di Spade dalla sua sporta e gliela mostrò lei ritrovò nel suo sorriso un complice.

Una conferma e una smentita.


"Ti faccio così paura da dovermi puntare contro un'arma? Ti prego riponila ed accompagnami fuori dalle mura ..."

Possibile che un sano duello cittadino gli facesse tanta specie? Ma lui cercava la solitudine delle altezze. Nessun pubblico per la follia.

La condusse in una collina poco fuori le mura. La città li sbirciava dal basso cercando di svelare i segreti di quell’incontro.


"Bello qui, non trovi?" disse Tergesteo.

Nell’attesa di un segno Danitheripper non rispose concentrata com’era nello studio di colui che la fronteggiava. Bello? Bello cosa? Il paesaggio? L’unico paesaggio che avrebbe voluto vedere era quello, inconfessabile, di un campo di battaglia.

E poi, ancora quella sacca … bella la carta, divertente, ma adesso, cosa avrebbe tirato fuori? Se fosse venuto su con qualcosa di banale, Danitheripper lo avrebbe di certo ucciso. Un gesto di pietà per stroncare sul nascere quella normalità che si faceva largo. Toccava l’elsa della sua spada nervosamente, indecisa se usarla o meno.


"Ascolta, Tergesteo non so cosa tu abbia in mente ma ti giuro che se dovessi levare dalla sacca qualche mazzolino di fiori, ti staccherò il braccio all'istante ...."

"E con cosa, con quella specie di spiedo arrugginito, che manovri come una scopa?"

Accompagnò le parole porgendole un fagotto di stoffa scura.

"Signemus fidem sanguine ... mi sei mancata, sorellina..."

Una spada, non una spada qualsiasi, la sua spada. Un cordoncino di stoffa, nera come il peccato, s'intrecciava sull'impugnatura.

"Si chiama Ananke ... ed è tua..." disse Tergesteo.

Ananke, quel nome, il passato sbattuto in faccia, tagliente come quella lama. Istintivamente toccò Damocle, pegno di un amore che non esisteva più.

Esaminò la lama, l’abitudine di incidere le spade apparteneva agli artigiani più estrosi e non dubitò neppure un secondo di trovarvi un segno.


"Il mio destino non tradisce”. Quell’incisione era un presagio, un urlo, un messaggio da non trascurare.

Non sapeva che dire, ancora una volta quell’uomo la prendeva per mano e cercava di condurla verso l’inevitabile.

Fu lui a rompere l’imbarazzo.


"Ed ora , gentile dama, se avete la cortesia di concedermi qualche passo di danza ...."

"Oh ma certo, messere, credevo avesse disimparato i passi...."

"Come potrei, mia signora, come potrei?"


Ananke era leggera come la brezza e potente come la tempesta.

La lotta era stata appagante a prescindere dall’aver sopraffatto Tergesteo.

Si erano fronteggiarsi per non ridurre l’incontro ad un semplice
“Ciao, come stai, che cosa hai fatto finora?”

Quando se lo ritrovò davanti, le spalle a terra, alla sua mercé non era la sua vita che voleva. Aveva già preso tanto da quel fratello, lo stuzzicò con la lama come se davvero avesse potuto usarla per stroncare quel rapporto fatto di immagini folli e di parole al vento. Le parole tornarono e le vene cessarono di pulsare.

“Che abbiamo dato noi? Amico mio sangue che scuote il mio cuore, l'ardimento terribile di un attimo di resa che un'era di prudenza non potrà mai ritrattare. Secondo questi dettami e per questo soltanto noi siamo esistiti, per questo che non si troverà nei nostri necrologi o sulle scritte in memoria drappeggiate dal ragno benefico o nelle nostre stanze vuote. Ho udito la chiave girare nella porta una volta e girare una volta soltanto. Noi pensiamo alla chiave, ognuno nella sua prigione, pensando alla chiave, ognuno conferma una prigione. Solo al momento in cui la notte cade, rumori eterei ravvivano un attimo un guerriero affranto”.

Non era un sogno stavolta, era lei che parlava con lui, che ritrovava nelle parole il senso e lo perdeva immediatamente dopo per permettere a lui d’indicarglielo.
pnj
Danitheripper sentiva il peso della presenza di Tergesteo.

Lui era lì per un motivo. Lei lo aveva atteso per lo stesso motivo, anche se non immaginava che sarebbe giunto davvero. Sognava dialoghi che non erano mai avvenuti, persone che non esistevano, luoghi che solo i sogni potevano far vedere poiché nella realtà nulla era reale. Eppure la cicatrice sulla sua mano destra era reale, e Tergesteo era lì, solo un boccale di birra poggiato su un bancone la divideva da lui.

Era tempo di essere sinceri, presto le parole avrebbero perso significato e tutto quello che si erano detti avrebbe assunto altri connotati, ma quella sera una buona birra meritava schiettezza.


“Ho sempre pensato che, - gli stava dicendo - essendo io diversa dagli altri ed avendo un diverso concetto della vita, potessi giustamente sottrarmi ai doveri che gli altri vorrebbero impormi, e che potessi giustamente disprezzare l’opinione altrui e vivere nell’assoluta sincerità della mia natura eletta. Io ero convinta di essere non pure uno spirito eletto ma uno spirito raro; e credevo che la rarità delle mie sensazioni e dei miei sentimenti nobilitasse, distinguesse qualunque mio atto. Orgogliosa e curiosa di questa mia rarità, io non sapevo concepire un sacrificio, un'abnegazione di me stessa, come non sapevo rinunciare a un'espressione, a una manifestazione del mio desiderio. Ma in fondo a tutte queste mie sottigliezze non c'era se non un terribile egoismo; poiché, trascurando gli obblighi, io accettavo i benefizi del mio stato. Io pensavo spesso alla grande consolazione perduta, con un dolore che la irrevocabilità della morte rendeva quasi mistico. Non mi tirerò indietro adesso, i miei desideri portano verso l’ineluttabile. Ananke vive in questa spada che tu hai voluto forgiare per me”.

Silenziose onde di sangue e d'idee facevano fiorire sul fondo stabile del suo essere, a gradi o a un tratto, altre anime. L’emozione giungendo trasportava con sé nuove idee. Lei non era più la ragazza partita una notte di pioggia da Fornovo, sotto il peso di un destino che incombeva, nessun rammarico adesso, solo impazienza.

Un altro era il fardello, diverso.

“Figlio dell'uomo, tu non puoi dire, né immaginare, perché conosci soltanto un cumulo d'immagini infrante, dove batte il sole”.

Non era a Tergesteo che aveva indirizzato queste parole. Un altro uomo era entrato in taverna e la fissava senza parlare. Era lì a sbatterle in faccia quello che non aveva ancora fatto, a tormentarla pretendendo da lei un gesto che pure lei avrebbe fatto, anche se dietro non avesse lasciato una strada lastricata di promesse.

“Sai bene che non sono diversa da te Will. Che anche io avrei osato quello che tu adesso mi rinfacci”. William non parlava. Così come era giunto andò via lasciandola col dubbio di aver avuto un’altra visione. Tergesteo era lì, lo aveva visto anche lui, oppure no?

Danitheripper confondeva memoria e desiderio, risvegliando le radici sopite con la pioggia della primavera.


“Riuscirò alla fine a porre ordine nella mia mente fratello?”

Tergesteo le rivolse un sorriso, come se riconoscesse in lei quella follia che anche lui non faceva mistero di possedere. Si convinse di aver sognato.

“Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su bianco piuttosto che un insieme di emozioni, proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti all’errore e ai sentimenti.

Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi non rischia la certezza per l’incertezza, per inseguire un sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati.

Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi non trova grazia in se stesso.

Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.

Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.

Soltanto l’ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida felicità”.


Una voce, un canto lontano ... si alzò di scatto. Era nel suo letto. Non c’era Tergesteo e non c’era Will, aveva immaginato tutto.

Poggiata al muro, accanto a lei, c’era Ananke.
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