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[RP] Una promessa da mantenere

Solex
Pola, 10 Settembre 1457

Solex era rimasta tutta la mattina chiusa nel suo mulino ma non le era riuscito di lavorare.
Il pensiero di ciò che aveva scoperto il giorno prima non la lasciava tranquilla e ciònonostante, non sapeva cosa fosse giusto fare.
Ripensò a quel che era accaduto...

Il giorno prima, 9 Settembre 1457.

Le visite alla cantina di Amleto erano diventate più che frequenti per Solex…
Finito il suo lavoro al mulino era tornata a far visita a quella pregiatissima riserva….
L'abituale modo per entrarci era quello di scendere smontando la cupoletta del lucernario;

“La prossima volta dovrò portare una nuova corda. Questa credo proprio che sia prossima a spezzarsi.. è tutta sfilacciata; spero solo che mi dia il tempo di risalire l'ultima volta dalla cantina” s'era detta scendendo pian piano e con la dovuta accortezza. Neanche il tempo di terminare quel pensiero che, a quasi un metro da terra, Solex era caduta ritrovandosi seduta sul pavimento.

“Cavoli! Maledetta la mia boccaccia… ed ora come farò a uscire da qui??”. S'era guardata intorno cercando qualcosa da usare come fune... ma anche se l'avesse trovata, sarebbe rimasto il problema di doverla lanciare verso l’alto e assicurarla a qualcosa che reggesse il suo peso.
L’unica soluzione possibile le era quindi sembrata quella di passare attraverso la forgeria che comunicava tramite una porta con la cantina. Certo, avrebbe lasciato prove del suo passaggio... ma in fin dei conti, non c'era altra soluzione.

Ovviamente non aveva mancato di scegliere una deliziosa bottiglia di vino da portare con sé… un rapido sguardo ad ogni bottiglia ivi esposta, poi la scelta era ricaduta ancora una volta su di una bottiglia di Malvasia. L'aveva infilata rapidamente nella sua sacca da viaggio e, sistemate le cose così come le aveva trovate, aveva chiuso la porta alle sue spalle ed era entrata in forgeria.

“Non ci posso credere!” una visuale a dir poco allucinante s'era presentata ai suoi occhi: “Ma è questo il modo di lavorare?! Ma dico io! In mezzo questa confusione… normale che poi non riesca neanche a trovare un martello!!!”

In effetti la forgeria di Amleto era tutt’altro che un luogo ordinato e organizzato.. ogni cosa si trovava in un posto diverso da quello dove probabilmente era stata inizialmente collocata.

La giovane donna aveva così deciso di ringraziare il suo fedele compagno di avventure sistemandogli un po' il luogo di lavoro, quello dove egli creava le sue meraviglie.
“Consideriamolo una specie di scambio, lui dà il vino a me ed io lo ricompenso dando una ripulita a questo posto” aveva pensato tra sé e sè posando la borsa e rimboccandosi le maniche.

“Certo, devo dire che Amleto ha anche due assistenti al suo fianco; potrebbe farsi aiutare anche nelle pulizie… non si pretende molto ma almeno togliere tutte questi fogli da terra! Tra non molto non ci si potrà neppure entrare!”.
Così dicendo, era passata a raccogliere tutte quelle scartoffie da terra.

Tra i vari fogli che le erano capitati tra le mani, la sua vista era rimasta colpita da una pergamena accartocciata in cui aveva chiaramente riconosciuto la grafia di Amleto.
Non aveva potuto fare a meno d'incuriosirsi, dato che raramente l'amico scriveva lettere. Pur consapevole che non sarebbe stato un bel gesto ficcare il naso tra i suoi affari e che Amleto si sarebbe arrabbiato notevolmente per questo,… aveva deciso di aprirla.
Aveva letto il nome del destinatario... tale Sir Giovanni Marcolando Borromeo Marchese di Carrara. Poi ne aveva letto il contenuto. Ne era rimasta esterrefatta.

Il volto di Solex aveva cambiato rapidamente espressione…. Delle rughe avevano aggrottato la sua fronte..
“Non è possibile... questo non puo' essere lui...”
Era rimasta ferma ed immobile a leggere parola per parola quello scritto.. anche più volte.. nelle sue mani un impercettibile tremore, l’unica cosa che sembrava aver vita era quel foglio di carta. Istintivamente l'aveva rimesso lì per terra e aveva decise di andare via… aveva bisogno di riflettere… riflettere su quelle parole e pensare a cosa fosse giusto fare..

Così, aveva smesso di riassettare.
Ed era uscita rapidamente per tornare verso casa.

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Misery
Venezia, 10 settembre 1457...sera... laguna




Salve Amleto
Come promesso torno a scriverVi per tenervi informato del viaggio che mi conduce a Voi.
Sono giunta oggi nella Vostra capitale e conto di fermarmi qualche giorno.
Per quanto possa immaginare la Vostra ansia nella mia morte, credo non vi creerà nessun problema questa sosta, alla fin fine è il risultato finale ciò che conta.
Venezia è davvero splendida sapete? E’ una di quelle città che ti permette di dimenticare ogni affanno e pensiero così sospesa tra l’azzurro del Vostro cielo e quello delle sue acque limpide.
Che sciocca sono… credo che a Voi, in realtà, poco importi dove sono e ciò che penso, in fondo, ai vostri occhi, sono solo un altro nemico da abbattere, come voi lo siete divenuto per me.
E’ strano però…di solito per i nemici tendo a provare disprezzo mentre non mi è ancora chiaro che tipo di avversario siate voi: uno di quelli da odiare? O da temere? Da rispettare?....Sicuramente.
Forse solo il giorno in cui Vi avrò di fronte saprò darmi questa risposta.
Da quando sono entrata in terra Veneziana sono molte le cose che ho sentito raccontare sul Vostro conto. C’è chi definisce arrogante, chi un giusto, chi un amico e chi tanto desidererebbe potervi sfidare, ma non ho ben compreso se perché siate ritenuto un premio ambito o uno dei tanti scomodi.
E’ difficile farsi un’idea di Voi. Sarebbe forse semplice riconoscervi solo da ciò che ricordo dei vostri scritti, ma ho la sensazione che essi altri non siano che una parte di Voi che ancora non mi aiuta a comprendere che cosa e chi siate.
Chissà perché poi sono tanto curiosa di comprendervi: un nemico si abbatte, si combatte. Di sicuro non mi è stato insegnato a fermarmi per comprenderlo.
Forse è il motivo di questo nostro scontro che mi porta a questi strani pensieri e, forse.... è perché voi sarete, nel bene o nel male, la mia libertà. Libertà da ciò che da mesi mi tormenta, libertà da ciò che da mesi mi ferisce, libertà da quel senso di impotenza che mi pesa sul cuore.
In qualsiasi modo finirà questa storia io potrò finalmente dire addio...addio a questo dolore e al vuoto che mi ha lasciato.
Molte cose sono state dette e spesso mi sono trovata costretta a giustificare parole e sentimenti...dopo questo incontro, non dovrò giustificare più nulla a nessuno e questo sarà la mia piena libertà e potrò amare, odiare e ricordare....soprattutto ricordare.
....
Mi dispiace, non so a cosa serva tutto questo e vi ho trattenuto abbastanza ed io resto sempre e solo un nemico da combattere.

Miriam


Misery consegnò la lettera ad un messo dando indicazioni per la consegna
Portategli i miei saluti
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Amleto
Pola, 10 Settembre

"Come sarebbe a dire che non abbiamo finito il lavoro? Non abbiamo neppure incominciato, se è per questo... non siamo stati noi!", si lamentò Filottete quando Amleto fece loro notare che la stanza era stata riordinata solo per metà.
"Suvvia, non siate modesti. Adesso forza e coraggio, finite il lavoro!", fece lui con aria canzonatoria mettendo un paio di scope nelle mani dei due apprendisti.

In realtà Amleto non era affatto sicuro che fossero stati loro. Al contrario, più ci pensava e meno lo riteneva probabile. Ma quale che fosse la verità, l'occasione di aver la bottega tirata a lucido era troppo ghiotta per non coglierla.
Comunque, per quella rara ventata di solidarietà e spirito di collaborazione che ogni tanto soffiava anche sul mastro fabbro, accettò di dar loro una mano.

Lasciò a Filottete e Fernandello il compito di sistemare gli arnesi al posto giusto e di togliere di mezzo cartacce e stracci dal pavimento. Egli si diresse invece nel retrobottega, in quell'angolo che egli denominava spesso "il cimitero delle spade".

Si trattava del luogo in cui venivano gettati i pezzi di ferro che avrebbero dovuto essere nuovamente esser fusi e forgiati. Frutto degli errori dell'inesperienza e dell'imprecisione degli apprendisti (così diceva Amleto quando capitava loro di spezzare la lama di una spada lavorandovi in modo inappropriato) oppure della pessima qualità del ferro (così diceva quando capitava a lui).

Fu proprio la luccicante lama di una spada che colpì la sua attenzione. O meglio la mezza lama. Era spezzata a circa metà di quella che avrebbe dovuto essere la sua vera lunghezza. Una martellata nel punto sbagliato, quand'era ancora calda, ne aveva segnato la fine prematura. Ma non era l'unico difetto, nè il peggiore.
Amleto la raccolse stringendo la lama con il pugno. Non si tagliò.

"Pessimo filo...", commentò a voce bassa, "Filottete deve aver provato di nuovo a forgiare una spada, sebbene gli abbia detto almeno cento volte di non farlo."

Pessimo filo, già. Restò così, con quella lama innocua stretta nel pugno.
Immerso nei suoi pensieri.


Al guardiano di Port Lairge, trattandosi di un giovane uomo per giunta senza troppi nemici, non era stata inflitta una condanna a morte. Dopo alcuni giorni a pane e acqua nelle prigioni del castello di Port Lairge, occupato dai conquistatori, egli venne "rilasciato". Che suono beffardo aveva quella parola.
Non sarebbe stato utile, da parte dei conquistatori, privarsi della forza lavoro cittadina. Al contrario essa andava addomesticata, sfruttata fino all'ultima goccia di sudore. Schiavizzata.

Il piano era chiaro. Un contigente di guardia alle mura della città avrebbe impedito qualsiasi tentativo di fuga da parte dei cittadini prigionieri. Alcune persone, che disperatamente ci avevano provato, erano state subito fermate ed uccise come monito per tutti gli altri. Uomini, donne, anziani. Nessuna pietà.
Per contro, la situazione all'interno della città non era migliore. Alle donne e ai bambini era stato ordinato di continuare a lavorare nei campi, sotto stretta sorveglianza. L'assenza di cibo sarebbe stata un disastro per il mantenimento delle truppe conquistatrici, senza contare il rischio di epidemie. Agli uomini era stata data una possibilità di scelta: arruolarsi e sposare la causa degli invasori, oppure vivere come schiavi.

A nulla valsero le frustate che più volte il guardiano sperimentò sulla propria schiena, appeso per le mani ad un grosso sostegno di legno all'interno del cortile del castello. A differenza di altri uomini, non scelse mai la prima strada, mai s'abbassò alla causa di chi aveva invaso la sua città e distrutto la sua casa.
Fu così, serrando i denti per il dolore lancinante che puntualmente provava sulle sue spalle, che venne notato da un gigante dalla barba scura. Proprio l'uomo che l'aveva rapidamente sconfitto in combattimento e catturato.
"Carattere testardo, quell'uomo. Mi piace. Se continuate a frustarlo, lo ucciderete. E sarebbe uno spreco. Datelo a me, datemi quella tenacia... ne farò un dannato all'Inferno."
I soldati ghignarono al sentir quelle parole. Sapevano cosa voleva dire.

Con le mani e il collo bloccato dai ferri e la schiena nuda solcata da profondi segni di frusta, il guardiano di Port Lairge venne trasportato fuori dal castello, presso un edificio di marmo scuro. Era l'Inferno, così soprannominato per varie ragioni. Una, di certo, era il calore insopportabile che s'avvertiva al solo avvicinarvisi.
In quelle fucine,venivano forgiate le armi dell'esercito invasore. Il mastro fabbro altri non era che quell'uomo enorme. E i suoi apprendisti erano, per l'appunto, schiavi come il guardiano.
"Ancora un altro eh?", fece una delle guardie vedendo arrivare il gigante barbuto che trascinava il guardiano tirandolo per la catena che gli legava collo e polsi.
"Tre ducati che non dura una settimana", ribattè l'altra guardia. Poi le due risero sguaiatamente.
Era l'Inferno e i diavoli giocavano tra loro.

L'interno era scuro, coi muri anneriti dal fumo e poche finestre. L'odore intenso di metallo fuso faceva venire la nausea. Avanzando verso le fornaci, il calore diveniva talmente intenso che le ferite del guardiano sembrarono prendere fuoco. Emise un grido, smorzato malamente solo dal suo orgoglio.
"Sarà meglio che ti ci abitui, povero ragazzo", fece avvicinandosi un altro prigioniero ossuto, che sembrava decisamente più anziano, bagnandogli la schiena con una pezza umida.
"Di cosa ti impicci tu! Torna al tuo posto!", tuonò il gigante barbuto, spingendo via quell'uomo e deridendo il suo gesto di carità.

Il guardiano di Port Lairge venne così condotto dinanzi ad un incudine. Al suo fianco, del metallo fuso scivolava danzando dentro la forma in pietra d'una lama.

"Quando il metallo si sarà raffreddato, prenderai un martello e lo colpirai. Non troppo forte, e neppure troppo piano. Se lo colpirai troppo forte, io colpirò te. Se lo colpirai troppo piano, non finirai per tempo il tuo lavoro. Se questo dovesse malauguratamente accadere, io non ti pagherò. Se invece lo farai, guadagnerai abbastanza per sopravvivere e potrai persino andare a dormire nella tua dimora, ammesso che non sia ridotta ad un cumulo di macerie."

Parole scandite. Ripetute chissà quante volte a chissà quanta gente. Eppure non sembrava vi fossero molti schiavi lì dentro. Che fine avessero fatto gli altri, era meglio non domandarselo, almeno per il momento.
Parole chiare, dunque. Non ci voleva molto a capire il crudele gioco messo in atto dal gigantesco carceriere dell'Inferno. La dolciastra promessa di rivedere anche solo per un attimo la propria casa, di mangiar qualcosa di più di un tozzo di pane raffermo, avrebbe motivato qualsiasi schiavo a lavorare. In fin dei conti, alternative non ce n'erano.

Sangue. Colpi. Il primo giorno fu semplicemente terrificante.
Il giovane guardiano non aveva mai lavorato come fabbro in vita sua. I muscoli indeboliti dai giorni di prigionia, il dolore lancinante alla schiena, non avrebbe mai colpito con la giusta intensità e con la giusta precisione. Colpì troppo forte e venne picchiato. Colpì troppo piano e non terminò il suo lavoro.
Trascorse la notte gettato in un angolo dell'Inferno, assieme a tutti gli altri prigionieri. Apparentemente, nessuno di loro aveva mai appurato se quella promessa, cui quasi tutti s'aggrappavano come disperati, rispondesse a verità.

Eppure riuscì a dormire e sognò, quella prima notte.
Sognò il suo amore lontano. La immaginava al sicuro nell'abbazia. Questo gli dava speranza, più di quanto avrebbe fatto qualsiasi falsa promessa di quei demòni. Cercava di ricordare il suo viso, ogni particolare del suo corpo, il suo sorriso. Per non dimenticare, per restare vivo.
Sopravvisse a quella notte, aggrappato alla sua vita. Perchè egli, come l'anatra migra al caldo, sarebbe ritornato. Gliel'aveva promesso, in quell'ultimo sguardo prima di vederla sparire nella boscaglia.

Fu bruscamente risvegliato alla mattina presto. Un bicchiere metallico con dentro un po' d'acqua, un pezzo di pane duro come la crudeltà umana. E il lavoro riprese. E quell'andazzo continuò per giorni e giorni ancora. Il guardiano aveva un'autentica repulsione all'idea di realizzare un'arma per l'esercito invasore. Non era stupido, anzi. In poco tempo, comprese d'avere un autentico talento naturale per quel lavoro. Ma consciamente, sbagliava nel dar di martelllo anche quando negli attimi di lucidità avrebbe potuto dare un colpo ben assestato.
"Queste non saranno mai spade, patetico uomo!!!", gli gridò ferocemente il suo carceriere, prendendolo per i capelli e spingendolo con violenza ad osservare le lame innocue che il guardiano aveva forgiato, "il compito di una spada è solo e unicamente uno: uccidere!!! Forgerai lo spirito della morte dentro quelle lame o lo spirito della morte prenderà te. E accadrà presto, te lo giuro sulla mia barba!"
Ma il compito del guardiano era sopravvivere, non aiutare i suoi nemici.

Eppure il sesto giorno, qualcosa cambiò.

"Stanno andando a prenderli, ci serve altra forza lavoro. Il cibo prodotto non basta, non piove da giorni e questi maledetti topi sono ovunque. Il rischio di un'epidemia è serio, se continua così!"
Udì una delle guardie all'ingresso dell'Inferno discutere con un'altra a proposito di una missione.
"Che significa?", domandò il guardiano ad uno degli altri prigionieri.
"Maledetti vigliacchi...", rispose il prigioniero più anziano, "Hanno cominciato a torturare qualche uomo di chiesa... e uno di questi, povero diavolo, non ha resistito oltre e ha parlato. Hanno scoperto l'esistenza di un folto gruppo di rifugiati di Port Lairge, nascosti nell'abbazia di Jerpoint. Stanno andando a prenderli."

Un sussulto fece sobbalzare il cuore del guardiano. Quel cuore che per giorni aveva battuto al minimo, abituatosi al dolore e alla paura, d'un tratto sembrò tornare autenticamente vivo.
Comprese di non avere scelta. Doveva uscire di lì.
Tornò all'incudine, pur reggendosi a malapena in piedi. Lavorò e lavorò senza sosta, anche di notte. Sentì il contraccolpo d'ogni singolo colpo di martello. Sentì le scintille del ferro bruciargli gli occhi, le mani stringere a fatica gli arnesi mentre silenziosamente e furiosamente lavorava.
Finchè non forgiò una spada. Un'arma splendida e letale. Con un filo talmente tagliante che al sol passare lievemente un dito su di esso, la pelle sarebbe stata squarciata.

"E' meravigliosa... avevamo un genio all'Inferno e non lo sapevamo!", gridò tronfio di soddisfazione il gigante carceriere osservando quel capolavoro. Strappò la spada dalle mani del guardiano e si tagliò lui stesso nel farlo. Non se ne curò e continuò ad ammirarla.
"Meravigliosa... leggera, bilanciata... e così incredibilmente letale."
Poi, con gesto del tutto inatteso, la porse nuovamente al guardiano.

"Prendila, è tua. La prima creatura di ogni fabbro spetta di diritto al suo creatore. E non fare quella faccia idiota. Non temo che tu possa usarla contro di me, non sei e non sarai mai un guerriero. Ma come fabbro, sei troppo prezioso perchè tu possa crepare. Va a riposarti a casa e torna qui domani. Non tentare di fuggire, sprecheresti solamente la tua vita dopo averla trattenuta in corpo fino ad ora!"
Così dicendo ghignò, poi rise. Era serio, in quel che diceva.
Per lui, il guardiano non era che un utensile prezioso. Non rappresentava una minaccia.
Era solo uno strumento pregiato, da non perdere.

"Non voglio assolutamente quella spada. Voglio solo andarmene.", rispose il guardiano, che odiava con tutte le sue forze lo spaventoso strumento di morte che era stato costretto a creare.
"Non uscirai di qui senza di essa. E bada bene... tu le darai un nome. Perchè tutte le spade devono essere battezzate dal loro creatore."

Il guardiano decise che discutere sarebbe stato solo controproducente. Prese con estrema riluttanza l'odiato brando e uscì finalmente dall'Inferno. Non sapeva ancora cosa avrebbe fatto, a quel punto. Uscire dalla città era impossibile. Ma doveva raggiungere l'abbazia. Ci avrebbe pensato per tutta la notte. Qualcosa gli sarebbe venuto in mente. Doveva venirgli in mente.

Aveva pensato di gettar via la spada appena si fosse allontanato dalle roventi fucine. Eppure una parte di lui, per più tempo la stringeva, tanto più rifiutava di liberarsene. Come un figlio mai desiderato, egualmente la sua esistenza andava rispettata. L'odiava eppure non riuscì a lasciarla. Infine, cercò di razionalizzare quelle sensazioni assurde e concluse che un'arma avrebbe potuto essergli utile.

Giunse infine nei pressi della sua casa. Esternamente, sembrava ancora tutta d'un pezzo, a parte il tetto bruciato in più punti.
All'interno, invece, era tristemente mutata. Tutte le stanze erano state messe sottosopra, gli armadi rovistati e i piatti distrutti. L'orda saccheggiatrice non aveva risparmiato niente. Sconvolto a quella vista, cadde in ginocchio dinanzi al letto.
Gettò la spada in un angolo. L'aveva invitata nella sua dimora, nella sua vita.
Nel suo destino.
Quell'ultimo gesto, avrebbe cambiato la vita del guardiano ed egli, di lì a poco, non sarebbe più stato lo stesso.



"E allora? Fissi quel pezzo di metallo aspettando che ti parli?!", fece Filottete appostato sull'uscio del retrobottega, scuotendo Amleto dal suo torpore. Da quanto tempo era lì?
"No... le spade non parlano.", fu la risposta idiota del cavaliere.
"Già. E delle volte sarebbe meglio non lo facessi neanche tu. Noi abbiamo finito e andiamo via, cerca di riposarti perchè sei visibilmente stanco."

Riposo.
Quella notte, come prevedibile, fu impossibile riposare bene.

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Misery
Venezia, 11 settembre 1457...notte...i sobborghi della capitale

Vicoli e calli... calli e vicoli... tra ponti e canali, Misery si inoltrò tra le stradine della Capitale perdendo completamente la cognizione dello spazio e del tempo, senza rendersi conto di essere finita in una zona che, senza ombra di dubbio, di affascinante aveva davvero ben poco.

Ma guarda che bel pesciolino abbiamo pescato oggi
Misery si voltò di scatto al suono di quella voce sibilante alle sue spalle portando istintivamente la mano sull’elsa della sua spada.
Eh si davvero ne rispose un’altra subito alla sua sinistra. Un uomo enorme le si parò d’improvviso davanti facendo un passo verso di lei allungando un braccio e dita callose e fredde le imprigionarono il mento impedendole di voltare la testa. Un’orribile e violacea cicatrice deturpava un volto grosso e sudato e la sua espressione era deformata in una smorfia che Misery tradusse in un ghigno soddisfatto.
Vi siete persa milady? le alitò l’uomo e Misery non riuscì a trattenere una smorfia di disgusto all’odore di alcool e di rancido che la colpì. Con uno scatto si liberò da quel contatto chi siete e cosa volete da me disse con voce gelida mentre malediva se stessa e di essersi inoltrata troppo in una città che non conosceva. Era stata una sciocca. Troppo tardi si era accorta di non essere più in grado di orientarsi e che strade e vicoli erano diventati tutti troppo uguali. Doveva essere finita nella parte più povera di Venezia .
Le case avevano perso le loro facciate piene di fiori e di colori e tutto sembrava oppresso dal troppo grigio e dallo sporco. Aveva incrociato poche persone durante quel tragitto e tutte l’avevano osservata con sguardi vuoti e diffidenti. Una banda di ragazzini era radunata sulle scale di una chiesa che sembrava essere chiusa da troppo tempo. Misery rimase molto colpita: sembravano già troppo vecchi e arrabbiati per la loro tenera età e le loro espressioni racchiudevano tutte le difficoltà e il vuoto causato della loro misera situazione.
Tentò di avvicinarsi ad uno di loro che, vedendola, si allontanò di corsa trascinandosi dietro tutto il gruppo. “probabilmente sono abituati a non fidarsi di nessun adulto” si disse tristemente.
Rimasta sola, Misery aveva tentato di tornare sui suoi passi, ma la sera era scesa prepotente oscurando ogni cosa e nemmeno la luna e le stelle parevano intenzionate a rischiare in quelle strade.
Si era trovata, così, bloccata in un vicolo che non conduceva in nessun posto.
All’improvviso due forti braccia bloccarono le sue da dietro impedendole di muoversi. Tentò di reagire, ma si rese conto che la stretta era davvero troppo forte e quelle dita le stavano stringendo la pelle talmente forte da farla quasi urlare dal dolore.

Lasciatemi. Non ho nulla con me disse più arrabbiata che spaventata.
Ma come, una dama tanto bella ed elegante come voi non porta gioielli? Lasciate che controlli le rispose l’uomo grande e grosso mentre un altro ratto gli si avvicinava. Era alto e smilzo con gli occhi allampanati e le spalle cadenti verso il basso come se per anni non avesse fatto altro che stare piegato su se stesso, accartocciato. Muoveva le mani in modo convulso e i suoi occhi guizzavano nervosi quasi fossero senza controllo. Misery lo fulminò con lo sguardo.
La presa che le imprigionava le braccia si fece ancora più stretta mentre l’unico dei tre che le aveva rivolto la parola avvicinò di nuovo le mani verso di lei nel tentativo di slacciarle la camicia per scoprirle il collo.
Misery non era abituata ai gioielli. Da soldato qual’era non era solita agli ornamenti
togli quelle luride mani disse tentando di muoversi , ma l’unica risposta fu una risata comune. Sei una combattiva, bene. Sarà più divertente disse la voce dell’uomo alle sue spalle mentre la spingeva indietro contro il suo petto.
Misery girò il viso sulla sua spalla nel tentativo di vedere il suo volto. Le mani che la stavano perquisendo si stavano facendo più insistenti e lentamente iniziarono a staccare i bottoni ancora allacciati. Misery tornò a puntare lo sguardo verso il gigante davanti a lei e si accorse che il suo sguardo era cambiato: un espressione di eccitazione per ciò che stava per vedere e per fare gli faceva sbarrare gli occhi e le sue mani tremarono per un istante. Misery strinse gli occhi mentre un angolo delle sue labbra si alzò. Senza pensarci due volte sollevò una gamba sferrando con tutta la sua forza un potente colpo alle parti basse di quel mostro che urlando di dolore e di sorpresa si piegò su se stesso staccandole le mani di dosso.

Cagna meledetta! Le urlò lo smilzo che spostò lo sguardo sorpreso dal suo amico ancora a terra a Misery e allungò una mano per colpirle il volto. Lo schiaffo la colpì come un fulmine facendole fischiare un orecchio e lasciandola stordita. Sentì la guancia pulsarle per il dolore e questo aumentò la sua rabbia.
Tornò a guardare chi l’aveva colpita con gli occhi pieni di odio e con uno slancio tentò di avventarsi su di lui. Chi le teneva le braccia aveva allentato la presa e Misery riuscì a liberarsi e senza pensarci estrasse la spada che puntò alla gola dell’uomo che di nuovo cercò di avvicinarsi e di percuoterla: si arrestò a pochi millimetri dalla punta della spada sgranando gli occhi impauriti. Era decisa ad uccidere quel rifiuto umano e la sua ira era ormai padrona di ogni suo pensiero.
Piegò indietro il braccio per preparare l’affondo quando qualcosa di duro le colpì la nuca facendola cadere a terra. Per pochi istanti strane immagini in movimento le ballarono davanti agli occhi, ma tutto perse i suoi contorni e la flebile luce delle lanterne che fungevano da illuminazione furono presto inghiottite dal buio più completo. L'unico e ultimo suono che sentì fu la sua stessa voce
Elos sussurrò, dopodichè il silenzio la inghiottì senza che lei potesse far altro che arrendersi.
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Elos
Venezia 11 settembre 1457

Maledetta acqua … non riusciva a capacitarsi di quanto si sentisse a disagio in quella città … si era ripromesso di non tornarci piu se non costretto, ma tant’è la noia di quel pomeriggio aveva preso il sopravvento.
Aveva deciso di dare un’altra possibilità a quelle case immerse in un’acquitrino, ma non sino al punto di fidarsi ciecamente, così, senza apparente ragione, si era vestito di tutto punto … neanche quando doveva combattere sul fronte di massa era cosi armato, ma quella città gli faceva più paura dei soldati genovesi.
Iniziò a camminare per quelle viuzze attraversate dai canali alla ricerca della famosa piazza San Marco, ad un certo punto si fermò a chiedere ad un vecchio che forse in vena di fare uno scherzo balordo ad un forestiero oltre a rispondere in un’incomprensibile veneziano stretto gli indicò la via verso i quartieri piu poveri della città invece che verso la bella ed elegante piazza.
Dopo non molto camminare elos si accorse che quel vecchio lo aveva gabbato alla grande, girava come un demone inferocito ritrovandosi spesso nelle stessa via di partenza.
In torno a se povera gente gli girava al largo vedendo quell’uomo armato da capo a piedi che girava come un leone in gabbia per la strada maledicendo l’acqua e se stesso per aver intrapreso quella stupida avventura.
Aveva ormai perso il conto degli improperi e dei passi fatti a vuoto quando da dietro un vicolo che gli pareva uguale agli altri sentì delle voci confuse, poi distintamente dei suoni di lotta, al momento pensò ad una gazzarra tra poveracci ma decise di dare lo stesso un’occhiata.
Voltò l’angolo e vide in fondo ad un vicolo cieco due uomini chini su una figura distesa a terra che dalla lunga chioma pareva essere una dama, elos portò la mano all’elsa della spada ed avvicinandosi con passi prudenti disse “Signori serve aiuto ?” ovviamente la frase aveva il solo scopo di attirare l’attenzione dei due distogliendola dalla malcapitata per attirarla su se stesso cercando di capire cosa accadesse.
In quei pochi instanti che trascorsero i due si voltarono verso di lui abbandonando la dama in terra “Meglio che ti fai gli affari tuoi straniero “, prima che potesse rispondere si accorse che il viso della dama svenuta era voltato verso di lui, la forte luce della luna piena alle sue spalle illuminò il vicolo cieco insieme alla figura della donna.
Riconobbe il volto di misery e immediatamente in lui scatto qualcosa di animale, sguainò la spada e si avventò lanciando un urlo disumano sul primo uomo che prima di potersi rendere conto di ciò che accadeva fu trafitto dalla spada di elos che gli trapassò il ventre, il secondo uomo cercò di colpire elos alle spalle che abbandonò la spada piantata nella pancia del primo e voltandosi rapidamente sfilò il coltello dalla cintura andandolo a conficcare senza indugio nel cuore del brigante.
Tutto accadde in pochi istanti, i due uomini caddero al suolo morti con ancora in corpo le armi che avevano fatto cessare la loro inutile vita, elos respirò a fondo come se si stese risvegliando da un sogno, guardo misery e vide che respirava ancora, recuperò le armi dai corpi dei manigoldi poi prese delicatamente in braccio la dama le diede un bacio in fronte e la portò fuori dal vicolo.
In quel momento un uomo con una barca malconcia passò nel canale di fronte ad elos che teneva salda in braccio misery, intimò al barcaiolo di fermarsi “portaci a villa malcontenta dai foscari e ti darò 100 ducati”, il barcaiolo al suono dei soldi si fermò.
Elos vincendo tutte le sue pari salì sulla barca che tremò per qualche istante e posò delicatamente misery accanto a sé, la barca si mise lentamente in movimento sospinta dalle esperti braccia del proprietario lasciandosi alle spalle il quartiere

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Leucothea
Pola, 11 settembre 1457

Leuco’ tornava a casa dopo l’ennesima giornata massacrante di lavoro. Camminava e sentiva il suo corpo tremendamente pesante. Dai capelli fino alla punta dei piedi, tutto sembrava di piombo. La stanchezza, a volte, fa proprio brutti scherzi. Ma l’espressione che aveva sul volto non le proveniva solo dal diffuso e indefinito dolore fisico. Era altro che la turbava profondamente. Si capiva benissimo. Ella non era per nulla brava a nascondere i propri sentimenti né i propri pensieri. Insomma, non sapeva dire le bugie.

Aprì velocemente la porta di casa ed entrò di fretta. Casa. Com’era felice di esservi giunta.. Entrò in camera da letto e si buttò stremata sul suo adorato giaciglio. Vi restò giusto pochi minuti. Recuperò, quanto poté, le forze e si mise davanti allo specchio a togliere tutte le forcine che le serravano i capelli.
Questo era un lavoro che, ogni mattina, le rubava non poco tempo: con estrema attenzione sistemava ogni ciocca di capelli in un preciso modo. A lavoro finito, però, era davvero una bella soddisfazione vedere il risultato. Terminata la noiosa operazione, osservò una busta che si trovava su un piccolo scrittoio lì vicino. Era già qualche giorno che si trovava nella medesima posizione. Non era stata una dimenticanza, tutt’altro. Il contenuto di quella busta le dava una grande preoccupazione. Doveva davvero capire cosa fare.

C’era solo un modo per riuscire nel suo intento: cucinare delle mele. Leuco’, infatti, si divertiva a inventare sempre nuove ricette, le più pazze, le più fantasiose, basta che vi fossero delle belle mele verdi da sbucciare e tagliare a dadini. Adorava quel loro profumo tanto intenso sprigionato nell’atto stesso di tagliarle. La preparazione assumeva quasi i contorni di un rito magico il cui unico scopo era quello di ottenere delle risposte. Si diresse in cucina e inizio a sbucciarle. Una ad una le bucce cadevano ritmicamente, quasi danzando. Se qualcuno le avesse prese in mano avrebbe potuto ricomporre la forma originaria del frutto che fino a poco prima vestivano. Non si era mai capito se ciò che le era di giovamento fosse l’atto stesso di sbucciarle o il gusto che possedevano. L’unica cosa certa era il risultato finale...

Buccia dopo buccia le veniva in mente il contenuto di quella lettera: Haiku, Dany, il duello, rabbia, la morte, vendetta.. Tutto si mescolava nella sua mente come nella sua pentola i dadini di mela. Poi, senza un motivo apparente una parola le si impresse nella mente : COLPA. Quel vocabolo la affascinava da sempre a causa delle infinite questioni e dei molteplici collegamenti che si portava dietro.. E ad un tratto tutto le fu chiaro: per quanto provasse a capire, non conosceva abbastanza bene la questione né gli antefatti. Bisognava consegnare la lettera a qualcuno che conoscesse a fondo fatti e persone e, soprattutto, che conoscesse abbastanza bene il destinatario della lettera. Amleto, infatti, era una persona quasi impossibile da scrutare, portava sul viso una maschera che difficilmente si lasciava sfilare.
Leuco’ pensò a delle persone , fece una breve rassegna di visi, poi capì.

Spense il fuoco su cui era posava la pentola. Fece il pieno di quel soave profumo di mela e, con la busta in mano, uscì. Percorse delle stradine che sapeva meno frequentate e busso ad un portone. Aprì Solex che la saluto amabilmente e la invitò ad entrare in casa. Leuco’, senza guardarla negli occhi, le porse la lettera e le disse che gliela aveva consegnata un aiutante di Amleto. Poi porse i saluti alla padrona di casa e si defilò.
Misery
Una mente...

Buio...un battito...una luce.
Il silenzio, di nuovo buio.
Un altro battito un’altra luce...un’immagine, pochi istanti. Buio
“Un tamburo?” un cuore, lento e flebile sempre più debole ed ogni battito portava con se una luce, un bagliore di un istante, un’immagine.
Un battito: Una guerra. Alte fiamme a nascondere il cielo. Urla e rumori di spade
Un battito: Un castello. Preso, devastato...volti sconosciuti, un folle, una donna.
Un battito: La rabbia. Una libertà violata, un uomo, un sovrano.
Un battito: L’orgoglio. Una fuga...un combattimento...
Un battito: La giustizia. “Non fatelo”. Una voce, un ordine.
Un battito: Un patibolo. “Fermi” Un urlo... una donna “fermi no!”
Un battito: L’impotenza. Ginocchia che si piegano, mani che si appoggiano a terra. Una lacrima. “Troppo tardi. Sono arrivata tardi”
Un battito: Il dolore. “Basta. Lasciateli liberi”
Un battito...uno per salvarne altri. Una promessa...
Un battito...il buio....il silenzio.
Le palpebre si mossero appena senza aprirsi. “Tiratemi fuori da qui” nessun suono. Era solo la mente.
Un battito...di nuovo la luce
Un battito: Un volto. Un’altra lacrima rabbiosa “Non sono riuscita a fermarli... perdonami” Una decisione...forse l’ultima “non impedirmelo, non puoi. Glielo devo. Qualcuno deve...”
Silenzio...il buio...

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Elos
La barca giunse di fronte al canale che passava davanti alla villa, elos di tanto in tanto osservava il volto di misery che ogni tanto si tendeva e si rilassava, pur sapendo che non poteva sentirlo le sussurrò “mia dolce misery quante responsabilità hai affrontato per troppa generosità e ora ti hanno tolto il sonno sereno …” la baciò in fronte “stai tranquilla…”.
La barca fece un piccolo sobbalzo quando toccò il lato del canale, elos prese dalla sacca una manciata di ducati e li diede al barcaiolo dicendo “mi hai reso un buon servigio, tieni sono più di quello che ti avevo promesso”, detto ciò prese saldamente misery in braccio e scese dalla barca.
Giunto alla porta della villa avendo le braccia occupate diede un calcio alla porta per far rumore, subito un servitore aprì la porta di scatto con sguardo torvo, poi riconoscendo misery si fece prendere dall’agitazione si avvicinò per prenderla ma elos lo fulminò con lo sguardo “mostrami un letto dove posso posarla e chiama un cerusico …” disse perentorio.
Il servo fece strada nei corridoi della villa dando ordini a destra e a manca, un brulicare di servitori e damigelle si mosse per eseguire gli ordini ricevuti, infine giunsero a una grande porta di legno in cima ad una scala che conduceva ad una luminosa camera da letto, elos si avvicinò e posò delicatamente misery sul materasso coperto da profumate lenzuola di lino, in torno a se tutti si davano da fare per sistemare la signora, elos le accarezzò il viso e senza palare uscì dalla stanza percorse le scale ed uscì dalla villa proprio mentre il medico stava giungendo ….

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Marcolando
Pianura Veneta 10/11/12 Settembre

Ormai erano tre giorni che Giovanni correva senza sosta per le campagne venete e sempre ripeteva la solita frase
Devo essere a Pola il prima possibile , devo arrivare per primo a Pola.
Per evitare di perdere tempo aveva evitato quasi tutte le citta' e aveva spesso dormito in rifugi di fortuna trovati lungo il percorso.Aveva incontrato pocchisismi viaggiatori e nessun brigante.

Correndo con il suo cavallo aveva intravisto le mura di Verona dove avrebbe voluto fermarsi a salutare molti amici di un tempo lontano , ma non aveva tempo era in ritardo , anche perche' sapeva benisismo che con certi amici avrebbe voluto restare giorni per ricordare i vecchi tempi lontani.Quindi guardando la citta' che diventava sempre piu' piccola prodegui il suo viaggio .

Arrivato a Padova non pote' non fermarsi e ammirare le opere dei suoi avi.
Padova per molto tempo era stata un dominio dei signori di Cararrara che adesso lui aveva l'onore di rappresentare . Entrando nella citta' dalla Porta Altinante non pote' non ammirare le mura costruite centocinquanta anni prima dagli ingegneri carraresi , erano ancora forti , integre e fiere in mezzo alla pianura sembravano un unica roccia pronta a sfidare qualsiasi nemico.

Ando' in una piccola taverna locale per potersi rinfrescare e mangiare qualcosa di caldo , ma entrando la sua speranza di poter continuare star solo con i suoi pensieri venne infranta . Seduto in angolo c'era il generale Veneziano che tanto aiuto' il suo popolo , ma che alla fine della guerra per ripicca o per distrazione mino' la pace appena firmata uccidendo otto Genovesi.
Lo guardo' a lungo e infine disse senza troppo andare per il sottile
Messer Swantz , mi aspetti in citta' che fra 10 giorni saro' qui , noi dobbiamo finire una certa discussione e non e' mia intenzione lasciar inpunito il suo affronto , al mio ritorno ci incontreremo nella lizza , ormai le parole non hanno piu' nessun significato...lasciamo parlare le spade .
Il Marchese non lascio' nemmeno rispondere il generale e subito usci' perche'sapeva che il suo viaggio come prima meta aveva un altra lizza e non quella di Padova.
Prima di ripartire , mentre il cavallo veniva nutrito e lavato ando' a visitare la Cappella degli Scrovegni , dove resto' qualche minuto , e la colonna del Leone di San Marco davanti alla chiesa di Sant'Andrea , dove era entrato per confessarsi e assistere alla messa .
Al mattino presto , dopo una frugale colazione risali' a cavallo e attraversando la porta su Ponte Mulino usci' dalla citta' senza piu' voltarsi indietro .

A meta' giornata lungo il percorso incontro' un messaggero del cavaliere scarlatto ...dopo aver donato qualche ducato e del pane al messo per il lavoro svolto e avergli detto di attendere che forse c'era ancora lavoro per lui , scese da cavallo e seduto sotto una quercia secolare si mise a leggere la risposta di messer Amleto.
Mentre leggeva il suo sguardo fu prima perplesso per il modo di porsi di Amleto , poi torno' serio come se cio' che stava leggendo per lui non mostrasse nessuna novita'.

Ero certo che Amleto purtroppo mi avrebbe risposto in questo modo , lui e la sua maledetta testardaggine stanno cominciando ad innervosirmi , sembra la versione maschile di Misery

Torno' vicino al cavallo prese tutto il necessario e decise di rispondere immediatamente al cavaliere.



Messer Amleto , anche se in cuor mio speravao di leggere altre cose , devo ammettere che non mi ha stupito la sua risposta.
Lei continua a dire che il dado ormai e' tratto dal famoso 15 giugno , ma lei continua a confondere le situazioni.
Lei vuole sfidare la contessa perche' per mio conto prese del difese di cittadini modenesi , ma le ricordo che la contessa parlava per mio conto, che in quei giorni ero ancora io il Duca per volere popolare . Non capisco perche' trova piu' soddisfazione a voler sfidare la Contessa che in quei giorni era la mia piu' fedele consigliera e non con il sottoscritto che era il comandante di Modena e quindi anche di Misery.
Se io le madassi un messaggio diffamatorio , se la prenderebbe con il messaggero o con il sottoscritto ? Io reputo che colui che porta il messaggio non e' mai colpevole di nulla .
Le ripeto , io ho e sempre avro' la piu' grande stima di Mirian di Montefeltro e all'epoca ogni cosa che diceva , anche se senza la mia " approvazione " formale , aveva comunque il mio benestare e ogni cosa che diceva come consigliera di Modena era come se la avessi detta io . Da Duca non ho mai criticato apertamenteun consigliere in pubblica piazza e mi sono sempre fatto carico dei loro eventuali abbagli e anche questa volta faro' lo stesso.
Io vengo a Pola per sfidarla e per impedire che la sua spada si avvicini alla Contessa Miriam di Montefeltro .

Giovanni Marcolando Borromeo
Marchese di Carrara

Sigillata la lettera si avvicino' al messaggero di Pola e dandogli ancora dei panini e una manciata di ducati disse
Corri e non fermarti in nessuna citta' , corri arriva a Pola prima di me e riceverai altri 100 ducati

Poi lo guardo' correre via in direzione di Pola e riflettendo penso'
Preferisco convincere un mulo a portare un peso , che discutere con due testardi che non vogliono ascoltare , se non il rumore della spada.

Risali' a cavallo e continuo' il suo viaggio solitario.....ormai anche Venezia era passata e la strada era sempre piu' corta , ma non sembrava finire mai.

Il viaggio prosegui e dopo aver passato vicino a Venezia e a Treviso arrivo' a Portogruaro , citta' famosa in tutto il nord italia essendo una dei luoghi di maggior incontro per tutti coloro che vogliono commerciare con l'estero.
Entrato in citta' dopo tre giorni senza vedere un letto , ando' subito nella prima locanda dove , dopo aver lasciato il cavallo nelle stalle , ando' dirattamente in camera .
Sdraiato nel letto si addormento' sperando di aver superato il drappello che scortava Misery e ripetendo come una cantilena la solita frase
Devo essere a Pola il prima possibile , devo arrivare per primo a Pola.

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Amleto
Pola, 12 Settembre 1457, mattina

"Mmm... finalmente una bella dormita!", fece Amleto alzandosi pigramente.
Il sole era già piuttosto alto in cielo ed il cavaliere s'era concesso qualche ora in più di sonno, lasciando la fucina chiusa. Il tutto ovviamente senza aver avvisato gli apprendisti, i quali probabilmente erano già in attesa da un bel pezzo davanti alla bottega e altrettanto verosimilmente gli stavano augurando le peggiori iatture.

In ogni modo la giornata appena trascorsa era stata particolarmente positiva, perchè nell'incontro con Ardelon e Pierlu92, rispettivamente sindaco di Udine e viceprefetto di Parenzo, aveva definito gli ultimi dettagli per l'inizio della Giostra del Carso, il torneo cavalleresco veneziano.
Il torneo dei Maestri d'Arme avrebbe avuto luogo proprio a Pola, cosa a cui egli teneva particolarmente. Questo gli avrebbe permesso, pur non potendo allontanarsi dalla cittadina, di seguire gli scontri della maggior parte dei suoi compagni e amici.
Al contrario, il torneo dei Giovani Cavalieri e quello degli Iniziati della Spada avrebbero avuto luogo rispettivamente a Udine e Parenzo. In tal modo, ciascuna delle città della Serenissima Orientale avrebbe potuto giovarsi delle celebrazioni, degli introiti e delle visite che un simile evento poteva portare.

"E' davvero un peccato che io non possa parteciparvi in prima persona, d'altro canto ho ben altri pensieri ora", si disse affacciandosi alla finestra e osservando in lontananza il Castello di Pola.
Aveva fatto preparare una stanza piuttosto accogliente per colei che detestava, anche se non gli era riuscito di ottenere un letto a baldacchino. Nessuno dei carpentieri di Pola avrebbe saputo farne uno decente, erano molto più avvezzi alla costruzione di barche (ed effettivamente alcuni gli avevano persino chiesto se il baldacchino fosse appunto un tipo di imbarcazione).

Si recò infine verso la bottega, salutando con autentica faccia di bronzo i suoi assistenti e ignorando le loro invettive nei suoi riguardi. Nel terreno davanti all'uscio di casa, prima di entrare, notò un piccolo oggetto metallico.

"Uh? E questa cos'è? Una forcina per capelli... qualche donzella è passata alla bottega mentre non c'ero?"
"Non s'è vista una donna nel raggio di miglia stamattina...", si lamentò Fernandello.
"Ecco perchè sei così nervoso", ribattè Amleto pungente.
"Mettiamoci a lavorare una buona volta...", disse Filottete entrando per primo, dopo che Amleto col suo arrivo aveva finalmente dato inizio alla giornata di lavoro.
"Su Fernandello, vedrai che arriverà qualche bella cliente a farsi prendere le misure per un'armatura!", concluse Amleto entrando subito dopo.
"Certo", ribattè l'apprendista, "se ne vedono tutti i giorni di donzelle armate per la battaglia. Il tessitore, ecco cosa dovevo fare io!"

Una bella risata era quel che ci voleva.
Per distogliere la testa dai pensieri. Prima o poi, le persone che aspettava sarebbero giunte dalla strada di Parenzo. Forse prima Misery, forse prima Marcolando. Non era importante il nome del primo ad arrivare.

Ripensò alla lettera che aveva scritto in risposta al nobiluomo.
Non la seconda, quella che gli aveva fatto recapitare, bensì la prima missiva.
Quella lettera che poi la ragione e il buon senso gli avevan fatto subito gettare via.



Stimato Marchese,
comprendo bene come il nobile spirito e ancor più i sentimenti possano portarti a voler divenire scudo per la donna amata. Probabilmente, nella tua situazione, sarei portato a compiere il medesimo gesto.

Forse è esattamente ciò che ho già fatto. Ma non è servito.
Tu e Misery avete condannato la persona che amo, l'unica al mondo, ad un'oscurità interminabile.
Di questo, vi siete assunti la responsabilità e dunque macchiati dell'imperdonabile colpa.

Cosa resta all'uomo, se gli si strappa via anche l'ultima briciola di speranza?

Se Misery arriverà per prima a Pola,
presto lo scoprirai anche tu.

A presto.
Amleto Cactus

Per quel breve istante, aveva ceduto ai peggiori istinti dell'umana natura.
Che avrebbe mai detto lei, se avesse potuto vederlo così?
"Non diventare come loro" erano state le sue ultime parole,
mentre l'aveva stretta tra le braccia.
Sempre più fredda.

"AAAAAAAAARGHH! E' ROVENTE!"
Un grido lo strappò ai suoi pensieri.
Fernandello s'era scottato una mano maneggiando la tenaglia priva delle pezze che attenuavano il calore. Amleto fece un sorrisetto di scherno, scosse la testa e tornò a martellare sull'incudine.



nota: Solex, eccoti il messaggio che hai scovato... auguri per le tue indagini! :)

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Lutetiae
Marianna era giunta pochi giorni prima nell'affascinante capitale Veneta e insieme a Cornelio avevano deciso di stabilirsi li definitivamente..
Il sontuoso Palazzo era stato sistemato da un architetto famoso, tale Alvise Bragadin, un vecchio amico di Pietro;
Si trovava in direzione dell'Accademia, ci si arrivava facilmente seguendo il corso del Canale, una piazzetta ........ sulla destra una calle che dava sul Canal Grande ........ dall'altra il Rio Novo ....... sulla facciata era ben visibile lo stemma di famiglia........ che lavoro aveva fatto Alvise ....... l'opera era incredibile .......... il bianco dei marmi e della pietra d'Istria si rifletteva nella laguna argentea mentre il sole del mattino faceva brillare i marmi rosati che ne decoravano le facciate ....Calle Foscari - Dorsoduro 3246" , o semplicemente Palazzo Foscari .... qualsiasi forestiero lo avrebbe trovato agilmente, anche solo pronunciando il nome di famiglia..

Quel giorno si apprestava a finire di prepararsi per uscire quando la sua governante entrò nelle sue stanze..

Marianna presto, è capitata una disgrazia, un uomo ha appena portato qui il corpo esanime della Contessa Miriam di Montefeltro, pare sia stata aggredita da due malfattori nella zona di San Giobbe, l'ho fatta sistemare nella camera degli ospiti ed ho fatto mandare a chiamare il tuo medico di fiducia, sarà qui a momenti ormai..

Marianna uscì di corsa dalla stanza e si precipitò al capezzale della sua cara amica, si inginocchiò prendendole la mano e le fece una delicata carezza in volto...

Miriam..Miriam..ho aspettato per lungo tempo di poterti riabbracciare e ti ritrovo qui, sul mio letto priva di sensi...

La sua fronte scottava, aveva una guancia gonfia e un filo di sangue raggrumato sull'angolo della bocca... Marianna prese una ciotola con dell'acqua fresca e vi immerse della bende..

Uscite tutti, voglio restare sola con lei almeno fino a quando il medico non sarà qui...

Marianna voleva bene a Miriam come se fosse stata una sorella, aveva molto pudore dei suoi sentimenti e voleva restar sola ad accudirla per parlarle liberamente...
Prese la prima benda e la posò sulla sua fronte, e con la seconda lavò via le tracce di sangue dal suo viso..

Oh Miriam... che tristezza vederti così...
le sussurrò con dolcezza avvicinando le labbra al suo viso..
Vedrai tesoro che tutto andrà bene..son qui io adesso, non ti lascerò sola un istante...
Le sorrideva e l'accarezzava lievemente, maledicendo dentro se quella Venezia violenta con la rabbia di chi si sente impotente...
Le strade non erano sicure, ancora troppi malviventi infestavano le calli..
Allontanò i pensieri negativi e dopo essersi seduta ai piedi del letto iniziò a sussurrare all'orecchio di Miriam vecchi ricordi e speranze per il futuro....


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Alienor_governante_lute
Alienor era uscita dalla stanza insieme a tutta la servitù.. sapeva che Marianna non avrebbe voluto intromissioni, soprattutto in un momento di sofferenza come quello..
Scese le scale e si sedette ad aspettare l'arrivo del medico..
I minuti sembravano ore, non avrebbe potuto quantificare il tempo seduta su quella seggiola che guardava al portone centrale...
Ad un certo punto riconobbe chiaramente il rumore di una barca che attracca e si precipitò all'esterno.. il dottore era arrivato..
Era un bell'uomo di mezza età, capelli brizzolati ed un aria sicura, ispirava fiducia solo al guardare il brillio dei suoi occhi saccenti..
Mentre lo accompagnava nella stanza dove giaceva la paziente, gli spiegò l'accaduto così come lo aveva sentito raccontare dai servitori che avevano fatto entrare in casa i due ospiti, il medico ascoltava stapazzandosi la punta della barba fra le dita e dopo aver posto un paio di domande sullo stato delle ecchimosi sorrise..

Non dovrebbero esserci complicazioni ma prima fatemela visitare...

Alienor bussò dolcemente alla porta prima di entrare e Marianna si alzò per andare incontro al Dottore;

Benvenuto Dottor Morosini, Alienor l'avrà sicuramente messa al corrente della situazione...

Il Dottore annuì e dopo aver fatto le reverenze del caso alla padrona di casa si avvicinò al letto della Contessa.. chiese ad Alienor di aiutarlo a sollevare dolcemente quel corpo privo di sensi e analizzò con cura le ferite..
Le tastò il polso e controllò la temperatura...

Contessa Foscari potete stare tranquilla, la vostra amica ha preso una brutta botta sulla nuca, ma non ci sono fratture evidenti, ne versamenti di sangue anomali..
La vostra ospite ha bisogno solo di un po' di riposo, un po di acqua bella fresca sulle tumefazioni e di un decotto d'erbe che lenisca la febbre..
Vedrete che tutto si risolverà in poche ore, ha solo bisogno di riposo e serenità..
Ora potete cambiarla d'abito e toglierle questa divisa umidiccia, io resterò qui a Palazzo questa notte e per tutto il tempo necessario alla sua guarigione


Marianna lo accompagnò alla porta e lasciò che Alienor lo accompagnasse nelle stanze preposte affinchè lui potesse sistemarsi agevolmente per la notte..
Attese il suo ritorno e insieme spogliarono Miriam, frizionarono il suo corpo con acqua profumata e l'avvolsero in una morbida camicia da notte di seta..

Alienor ti ringrazio, vai pure adesso.. resterò io a vegliare Miriam finchè non si sveglierà..tu occupati di rassicurare il suo compagno di viaggio e di dargli la migliore ospitalità possibile, lo incontrerò appena possibile, scusami con lui...

le diede un bacio e tornò a raggomittolarsi sul pavimento tenendo stretta la mano dell'amica...
Misery
Venezia, 13 settembre 1457....mattino

"Che mal di testa" fù la prima cosa che Misery registrò nella sua mente nel riprendere i sensi. Strinse le palpebre ancora chiuse contraendo la mascella e cercando di concentrarsi come se questo avesse avuto il potere di lenire quelle fastidiose fitte. Stranamente pareva funzionare e il dolore pulsante lentamenente scemò trasformandosi in una leggera dolenza accompagnata da uno strano ronzio nelle orecchie. Misery distese il viso respirando piano.
Doveva essere giorno perchè si accorse che i caldi raggi del sole di fine estate le battevano sulla pelle intiepidendola.
Lentamente si decise ad aprire gli occhi.
Una stanza. "Dove sono" . Con le braccia stese lungo il corpo si rese conto di essere sdraiata su di un letto e il fresco profumo delle lenzuola di lino le arrivò subito alle narici. Tentò di mettere a fuoco le immagini. Un quadro raffigurante una donna, un tavolino con appoggiata un'anfora, fiori e....
Qualcosa le tratteneva una mano. Mosse appena la testa cercando di voltarsi e un'altra Kaffekvarn inaspettata la colpì costringendo a richiudere gli occhi per qualche istante. Di nuovo, così com'era venuto, il dolore passò velocemente. "oh maledizione" pensò.
Riaprì gli occhi cercando di capire cosa le impedisse di muovere la mano destra. Un'altra mano, piccola e calda, era appoggiata sulla sua.
Seguì il percorso con gli occhi risalendo piano sul polso e lungo il braccio piegato su cui era appoggiato qualcuno: una donna addormentata.
Misery mosse piano le dita cercando di sottrarle a quella stretta gentile, ma questo movimento fece ridestare la donna che, sollevandosi a sedere, riaprì gli occhi. Il sonno le si leggeva ancora sul viso

Luthe? Ma...che ci fai qui...dove mi trovo... che è successo? Misery si meravigliò di trovarsi accanto l'amica e cercò di ricordare. La sua mente le riportò subito le immagini di ciò che era accaduto: i tre uomini, il vicolo buoio, il calcio e lo schiaffo, un gran dolore alla testa...poi più nulla. Tutto le tornò chiaro, doveva aver perso i sensi, ma come ci era arrivata li e, soprattutto, li dove? E Luthe come l'aveva trovata?
L'amica le sorrise vedendola confusa. "Elos" pensò subito "dov'era? Sapeva dove si trovasse?"

Mmm, cos'ho combinato questa volta? disse Misery sollevando un sopraciglio e assumendo un'espressione interrogativa
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Haiku
Venezia, 13 settembre

Durante il viaggio non aveva fatto altro che pensare sempre alla stessa cosa , avrebbe voluto che il tempo si fosse fermato, non avrebbe mai voluto raggiungere Venezia per non dover andare poi a Pola ad assistere ad uno scempio che non voleva nella maniera più assoluta.
Quel combattimento avrebbe rievocato momenti tristi e dolorosi, certo il tempo non guarisce le ferite, ma aiuta a lenirle e invece con questo duello si sarebbero aggiunte altre e nuove sofferenze a quelle che non ancora avevano cominciato a lenirsi.
Intanto di Amleto nessuna notizia e questo la faceva impensierire ed incupire ancora di più.
Nonostante il suo umore la facesse sembrare eternamente morsa da una vipera, Haiku sembrava un attimino più rilassata, aveva viaggiato molto comodamente , i suoi amabili compagni di viaggio le avevano reso quel viaggio molto confortante , Buldozzer e The_Prince non lesinavano marachelle tra loro, coinvolgendo anche il buon Moriebo , ma soprattutto tra scherzi, canti e chiacchierate erano stati dei veri galantuomini e l’avevano riempita di attenzioni e pensieri gentili , nobili di nome, ma soprattutto di fatto come non poteva essere diversamente.
Per qualche ora il buon The_Prince, nei momenti in cui la vedeva completamente assente ed assorta tra i suoi pensieri, aveva anche acconsentito a cedere le redini ad Haiku e con un occhio chiuso e un altro aperto , fingendo di dormire, controllava che Haiku guidasse in maniera confacente.
Ogni volta che Haiku posizionava le redini per una sgommatella , The_Prince , da esperto condottiero, lo intuiva e tossiva e così Haiku era costretta a desistere dal proposito fino al punto da arrendersi .
Verona - Venezia e nessuna sgommatella ! ( è_é ...a parte una, piccola piccola a Padova dove Haiku, con la scusa di portare a sistemare la carrozza lontano dagli occhi protettivi di The_Prince, ne aveva approfittato per non perdere le buone abitudini u_u )
Giunta a Venezia, mentre i suoi compagni di viaggio si erano messi a riposare, Haiku era andata a cercare Misery.
Di locanda in locanda, di passante in passante , nessuno sembrava avere notizie della Contessa.

Strano… nessuno sa darmi notizie di Misery. Non credo che abbia cambiato itinerario, mi aveva assicurato che mi avrebbe attesa a Venezia.

Rimbambita com’era, rovistò nella sua borsa in cerca della missiva di Misery per controllare di aver capito bene …

Cara Haiku, sono a Venezia , ti attenderò qui , nell’attesa andrò a salutare cari amici e a visitare la splendida Capitale . Misery

Ma certo, che rimbambita che sono ! sicuramente la Contessa Marianna Foscari , cara amica di Misery, avrà fatto di tutto per averla sua ospite ! Misery sarà da lei sicuramente e se così nn fosse la cercherò tra tutti i suoi amici , la troverò !

E così si diresse tra le calli, in cerca di Palazzo Foscari.


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Elos
Venezia 13 settembre 1457 ... mattina appena fuori dalle mura

Sul ciglio del laghetto appena fuori la città elos spazzolava con cura il proprio cavallo, l’animale sembrava apprezzare quelle cure.
Di tanto in tanto l’uomo si guardava in torno, il bel prato verde circondava il laghetto alcuni alberi si muovevano morbidamente al soffio lieve del vento.
Quell’ambiente lo rendeva molto più tranquillo di quanto non facessero le vie ed i canali di venezia.
Ripetendo meccanicamente quei gesti lunghi e lenti tenendo ben stretta la spazzola osservava il pelo dell’animale scorrere lucido tra i denti del pettine, intanto pensava a ciò che lo aspettava, o meglio ciò che attendeva misery sapeva di non poter far nulla per impedire che il destino avesse il suo corso, era convinto che quel passaggio avrebbe aiutato la dama a chiudere alcuni capitoli della sua vita che tanto la turbavano …. In fondo era un male necessario ….
Terminato di pulire il cavallo, prese la spada la pulì con cura eliminando le macchie di sangue lasciate dai manigoldi che il giorno prima avevano dovuto subire la sua ira, osservò la lama scintillare ai raggi del sole, si alzò e comincio i suoi esercizi manovrando con abilità l’arma nell’aria …

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