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Rijeka

Legio








Il domestico lo trovo' che galleggiava nell'acqua della vasca, nudo e con gli occhi aperti, e credette che fosse annegato.
Sapeva che era uno dei suoi molti modi per meditare, ma lo stato di fissita' in cui giaceva alla deriva
sembrava quello di chi non appartiene piu' a quanto c'è di qui attorno.
Lo chiamo' con voce sorda secondo l'ordine di svegliarlo quando non fossero ancora le cinque
per mettersi in marcia alle prime luci.
Il generale emerse dalla malia e vide nella penombra gli occhi diafani e i capelli color scoiattolo
del suo domestico che reggeva in mano la ciotola con l'infuso di papavero.
Il generale stringendo le anse della vasca emerse senza entusiasmo.


"Andiamocene" disse..." Di fretta che qui' non ci vuole nessuno"


L'aveva gia detto cosi' tante volte ed in circostanze cosi' diverse in passato che oramai era la normalita'.
Aveva compiuto quarantaquattro anni il precedente agosto, ma oramai i suoi riccioli erano divenuti cinerognoli e aveva le ossa squassate dalla decrepitudine prematura, dall'umidita' e dal dormir senza riparo, e lui tutto aveva un aspetto cosi smunto che non sembrava capace di durare fino al luglio successivo.
Non disse una parola finche non suonarono le cinque al campanile della chiesa.


"Martedi' ventidue settembre dell'anno 1457, giorno della Santissima Vergine, mediatrice di tutte le grazie" annuncio' il domestico. "Sta piovendo dalle tre di notte."


"Non ho udito i galli"

"Qui' non ci sono galli"

Si trovavano a Rijeka sul livello del mare remoto, e l'enorme alcova dalle pareti aride, esposta ai venti gelidi che si insinuavano attraverso i corridoi e le finestre chiuse male non era la piu propizia per la salute di nessuno.
Il domestico poso' il bacile sul marmo della toletta e l'astuccio degli strumenti per radesi, poso' la bugia con la candela sopra un ripano accanto allo specchio ed avvicino' il braciere per i piedi.

La solitudine di quella camera da letto non rispecchiava il resto della casa,
che non somigliava ad una corte mercenaria ma bensi' ad un mercato dove bisognava farsi strada tra intendenti scalzi che caricavano ortaggi e ceste di galline nei porticati, scavalcando comari con figliocci famelici che dormivano appallottolate sulle scale per aspettare il miracolo della carita' ufficiale, dove bisognava eludere i rovesci d'acqua sporca delle concubine linguacciute che cambiavano con fiori nuovi i fiori notturni dei vasi, che preparavano il pavimento e cantavano canzoni di amori illusori al ritmo dei rami secchi con cui arieggiavano i tappeti sui balconi, e tutto tra lo scandalo dei funzionari vitalizi che trovavano galline in cova nei tiretti delle scrivanie, e tralicci di puttane e di soldati nelle latrine e scompigli di uccelli e lotte di cani stradaioli nel bel mezzo delle udienze, perche nessuno conosceva nessuno ne' da parte di nessuno in quel palazzo dalle porte aperte nel cui disordine inaudito era impossibile stabilire chi era che andava e per dove.

L'uomo della casa non solo partecipava a quel disastro da fiera ma lui stesso lo promuoveva e lo comandava, assediato com'era da una moltitudine di lebbrosi, ciechi e paralitici che supplicavano dalle sue mani il sale della salute, e da politici di lettere ed adulatori impavidi che lo proclamavano correttore dei terremoti, delle eclissi, degli anni bisestili e di tutti gli altri errori con cui Dio avea tessuto il mondo.
Tutto li' dentro si trascinava ed ubbidiva a se stesso immoto,
solo nell'ora mortale del primo pomeridiano, quando si rifugiava all'ombra delle concubine e ne sceglieva una per l'assalto, senza svestirla ne' svestirsi, senza chiudere la porta, e nell'ambito della casa si udiva allora il suo ansito senz'anima di marito urgente, il tintinnio anelante dello sperone d'oro regalatogli, il suo piagnucolio di cane, la costernazione della donna che sperperava il suo tempo d'amore cercando di togliersi di dosso lo sguardo squallido dei settimini, le sue grida di "fuori dai piedi, andate a giocare in cortile che è roba che non devono vedere i bambini", ed era come se un angelo attraversasse il cielo della patria.

Si smorzavano le voci, si è fermata la vita, tutti pietrificati col dito indice sulle labbra, senza respirare ,
silenzio... il generale sta fottendo, ma nessuno si alimentava di illusioni fintanto che non si spegnevano le luci delle ultime finestre e non si udiva il rumore di strepito dei tre paletti, dei tre chiavacci, dei tre chiavistelli della camera della torre ovest e non si sentiva il tonfo del corpo quando rovinava di stanchezza sul pavimento di pietra , e la respirazione di bambino decrepito si andava facendo piu profonda man mano che montava la marea, finche le arpe notturne del vento acquietavano le cicale nei suoi timpani e una larga mareggiata di spuma radeva al suolo le strade della vecchia citta dei schiavoni e dei vicere veneziani, dei pirati dalmati e dei turchi rinnegati e irrompeva nella casa attraverso tutte le finestre come un tremendo sabato d'agosto che faceva crescere balani sugli specchi e lasciava la sala delle udienze alla merce dei deliri dei pescicani e oltrepassava i livelli piu alti degli oceani preistorici e straripava sulla faccia della terra, e dello spazio e del tempo, e rimaneva soltanto lui a galleggiare bocconi sull'acqua lunare dei suoi sogni di annegato solitario, con la sua cotta di ferro, con lo sperone d'oro ancora montato, con la fascia di tela di ex principe,
e finalmente, col braccio sinistro piegato sotto la testa in modo che gli servisse da cuscino.















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Legio











A mezzogiorno del martedi' l'alba non era ancora trascorsa,
e prima delle tre del pomeriggio la notte era gia calata, prematura e malaticcia,
con lo stesso lento, monotono e spietato ritmo della pioggia nel cortile.
Fu un crepuscolo precoce, dolce e lugubre, che crebbe in mezzo al silenzio degli uomini,
che attendevano impotenti ed impauriti al turbamento della natura.

All'imbrunire l'acqua si era infittita e doleva come un drappo funebre sul cuore,
il fresco, si era trasformato in un umidita pastosa, un vento denso e scuro
spazzava in vasti giri circolari la polvere e la dura sterpaglia dell'estate,
mentre un cielo duro e triste galleggiava di un palmo sopra le loro teste.



"Ho le ossa piene d'acqua " disse Borg seduto sotto la veranda nel cortile.



Il mercoledi' seguente inizio' con una mucca nel cortile.
Sembrava un promontorio d'argilla nella sua immobilita dura e ribelle, con le unghie piantate nel fango e la testa piegata.
Al mattino i contadini cercarono di mandarla via con bastoni e sassi,
ma la mucca rimase imperturbabile nel cortile, ferma ed inviolabile,
sempre con le unghie piantate nel fango e l'enorme testa umiliata dalla pioggia.



"Lasciatela tranquilla" dissero dalla casa " Se ne andra' cosi' come è venuta"



Soltanto la mucca si mosse nel pomeriggio.
D'improvviso un profondo rumore le scosse le viscere e le unghie si piantarono nel fango con piu forza.
Poi rimase immobile per un altra ora con gli occhi chiusi dei morti ,
come non potesse cadere perche glielo impediva l'abitudine di esser viva, l'inerzia di rimanere se stessa,
finche l'abitudine non divenne piu debole del corpo,
allora piego' le zampe anteriori e con i fianchi scuri ancora levati, immerse il muso pieno di bave nella fangaia,
e si arrese ,infine, al peso della sua stessa materia,
in una silenziosa, graduale e dignitosa cerimonia di crollo totale.



"Vorrei morire con meta della dignita' di quella mucca "
disse il Generale quando fu sera.


Vatreno e Borg guardavano fuori assieme ai croati, a volte il divino adora prendere le forme meno scintillanti per darci l'idea dell'essere di qualcosa che dal piu profondo ci sfugge.








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Legio








A sera il Generale, dimentico delle paludi desolate delle sue insonnie domestiche, scese le ripide scale che portavano ai magazzini grandi al pianterreno, passo' lungo i muri corrosi di pietra fortificata da cui fiorivano licheni, congedo' la guardia croata davanti al ballatoio ad arcate e prosegui' da solo verso i locali che da due giorni ospitavano le truppe.

Nella stanza al piano di mezzo v'era il pollaio, vide una mulatta di servizio raccogliere le uova, senti' il riverbero della sua eta', l'odore del suo corpetto, gli si butto' addosso... si romperanno le uova... che si rompano, che dolce zefiro di primavera, disse lui,
la rovescio' con una zapata, turbato piu dall'ansia di fuggire da quel giovedi' nevato di cacche di animali addormentati dalla pioggia, che dal corpo della donna.

Scivolo', precipito', nel vortice illusorio di un precipizio solcato da livide frange di evasione e da uffluvi di sudore di donna selvatica e da ingannevoli minacce di oblio , lasciandosi dietro la scia di salnitro del suo alito, il suo terrore di esistere attraverso il lampo ed il tuono silenzioso della deflagrazione istantanea della scintilla della morte,
ma sul fondo del precipizio c'erano di nuovo le stoppie cagate dalle galline,
l'afflizione della mulatta che si rialzo' col vestito imbrattato dal rosso dei tuorli rotti, lamentandosi....
ha visto quel che le ho detto signor generale...si sono rotte le uova, e lui borbotto' cercando di domare la rabbia di un altro amore senza fondo....annota quante erano, te le pago.....e dopo le dieci esamino' una ad una le gengive dei cavalli nella stalla, al ritorno, dopo il lavatoio, vide una delle donne squartata dal dolore, sudata e distesa sul pavimento di pietra e vide la levatrice che le cavo' dalle viscere una creatura fumante col cordone ombellicale arrotolato di un giro al collo, era un maschio, che nome gli mettiamo signor generale, quello che volete voi rispose, erano le undici come tutte le notti a quell'ora, conto' le sentinelle, ispeziono' le serrature, la patria era in pace , il mondo dormiva.


Provo' il solito dolore inestinguibile delle notti in cui non moriva nessuno, si ricompose e si affaccio' nella sala grande
con lo stesso passo di altre mille volte, di chi non ha mai provato esitazione ne' dubbio in vita sua.


La truppa era composta per lo piu da ragazzi svegli e quando lo videro a quell'ora ed a quel modo, tutti, persino i cavalli, si impietrirono aspettandosi qualcosa.


"Si parte tra mezz'ora"
sputo' tutto d'un fiato " Niente carri, caricate tutto sui muli, avanguardia a mezz'ora con due uomini che partono subito, croati nella retroguardia "


Il tramestio dei passi concitati sulla paglia bagnata, l'eco dei zoccoli dei cavalli nella grande sala, le voci degli uomini che avrebbero fatto l'impresa.

E' un mondo in cui non vedo null'altro,
non c'è niente altro oltre questo
o forse siamo tutti ciechi e muti e sordi.








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Legio








Il silenzio che scaturiva dal rumore della pioggia si fondeva col crescendo di grigia monotonia
della strada che stavamo fissando da giorni.
I piu' dormivano da svegli, appoggiati ai cavalli come se questi fossero tutto.
Rijeka era sparita mano mano dentro l'acquazzone mentre la pioggia battente che aveva affogato le strade faceva
in alcuni punti sprofondare i cavalli fino alle ginocchia. Procedevano lenti inghiottiti da quel pantano.


"E' il tempo che ci voleva...."
disse il Generale


" Che diavolo hai detto?.....non si sente nulla con questo diluvio "
grido' Borg mentre completamente coperto da rivoli d'acqua avvicino' il suo cavallo a quello del Generale.


"Meglio cosi'"
urlo' Legio " Sara' troppo tardi quando ci sentiranno arrivare"


"Ci siamooo..!" grido' Vatreno con quanto fiato in corpo aveva mentre veniva al galoppo dall'avanguardia in mezzo al torrente d'acqua che Dio mandava giu'. "Udinee!...Udineeeee! " urlava.



Tutta quell'acqua ci lavava dalle colpe sconosciute di un destino gia noto,
vedemmo le finestre illuminate dell'esteso animale addormentato della citta' ancora innocente del venerdi storico che precedette all'impresa avvicinarsi,
ed oltre la citta' fino all'orizzonte , da quel poco che attraverso la pioggia trapelava,
vedemmo i crateri morti e le aspre ceneri estasiate nel crepuscolo della luna sulla pianura senza fine dove era una volta il mare.




"Con quale vigore della mia anima ho scritto le mie esiliate pagine,
vivendo sillaba per sillaba la falsa magia di cio' che credevo di scrivere e non di cio' che effettivamente stavo scrivendo.

Per quale incantesimo ho creduto ad essa come una riparazione fallace a gli insulti della vita,
al disinganno dell' amore perduto,
all'ignominia di un potere analfabeta e meschino,
all'affronto di una vita da mezzadro,
fra barlumi di pieta' e sussurri di elargita gratitudine.

Le cose, che siano Imperi o che siano frasi,
posseggono l'aspetto negativo delle cose reali,
il fatto che esse siano periture.

Tutto quello che cerchiamo lo cerchiamo per ambizione,
ma quell'ambizione non la si soddisfa mai,
e allora siamo dei poveri,
oppure crediamo di soddisfarla,
e allora siamo dei pazzi ricchi."





[grd off]
Il GDR è terminato prego i mod di chiudere appena possibile grazie.




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{lepre_occhialuta}
Chiuso come richiesto dall'autore
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