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BalkaniKa

Vivi56
Il sole

Finalmente aveva smesso di piovere ed un pallido sole iniziava ad asciugare cose ed uomini.

Era uscita presto dalla tenda quella mattina perchè la puzza, sua e degli altri, le levava il fiato.

Si toccò i capelli: pendevano unti e sfilacciosi ai lati del viso.

Si erano accampati a poca distanza da un ruscello e da lì, ora che la pioggia aveva cessato di cadere fragorosa, ne poteva sentire l'invitante mormorio.

Frugò nel carro fino a trovare quello che cercava e si avviò.

Poco più a valle il fiumiciattolo formava una piccola cascata: il posto perfetto per fare quello che aveva in mente.

Slacciò la spada e la nascose con cura tra i rovi, si cavò, non senza fatica gli stivali.

Ricontrollò intorno: nessuno; calze, mantello, vesticciola caddero rapidamente ai suoi piedi e brandendo con aria di trionfo un pezzo di sapone di Marsiglia, sua personale reliquia, si immerse nell'acqua gelida.

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Orgogliosa moglie di Hans Ludwing della Groana
Mistic
Ero stranamente silente,ma per niente distratta.Gironzolavo per l'accampamento,ascoltando con scrupolosa attenzione ogni singolo commento si facesse.

C'era chi raccontava di quando era stato imprigionato e si vantava della sua fermezza nel resistere ad un interrogatorio.Mimava scrupolosamente domanda e risposta...

"... Quindi se uno dell'Ordine non fosse d'accordo, tu ti faresti impiccà?!Io pe l'Ordine me farei ammazzà!!!chi sa se il Generalissimo si farebbe ammazzare come te...Te ce poi giocà i coj**i... Sempre si ce l'hai!!!"

Abbassai lo sguardo tentando di celare il sorriso che mi si era appena stampato sul viso.
Continuai il mio giro...

Vidi Morphea attenta su una pergamena,scrollava la testa ripetutamente.
Poco distante da lei c'era un gruppetto che mangiava qualcosa di indefinito...

"...Semo Briganti..."diceva uno
"e co' sta faccia che altro voi essè?" gli rispondeva ridendo il compagno accanto...

"...pure le spie c'hanno na casa,pure voi dovete chiude l'occhi e nun sia mai che nun li aprite più" diceva un altro...


Ancora una volta mi allontanai sorridendo.
La mia attenzione fu catturata da una strana espressione sul volto di uno di quelli che l'Ordine l'aveva visto nascere.Da lui ci si sarebbe aspettato un qualsiasi commento,il peggiore forse,e invece...

"Sai che penso?"
diceva... "Che quando due se vonno bene non è colpa de nessuno."

Non fui meravigliata da quel commento...non io...e non fui meravigliata neanche dal fatto che lo dicesse a se stesso.
Mi avvicinai.

"Ciao Misti..."

Gli sorrisi,forse come non facevo da tempo.Non riuscii neanche a sedergli accanto,si sentì un urlo:

"IN MARCIAAAAAAAAAAAAAAAAA!!!"

Le radici sono importanti, nella vita di un uomo,pensai...ma noi uomini,alla fine,abbiamo le gambe,non le radici, e le gambe sono fatte per andare altrove.

Ci mettemmo in marcia...
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16 Ottobre 1460
Vivi56
"IN MARCIAAAAAAAAAAAAAAAAA!!!"

L'urlo spezzò il silenzio ed interruppe le abluzioni: si precipitò sul greto e, gocciolante com'era calzò gli stivali, si ricoprì alla bell'e meglio e, recuperata la spada, raggiunse correndo l'accampamento.

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Orgogliosa moglie di Hans Ludwing della Groana
Addiu



La colonna era in marcia da diverse ore; i raggi del sole che facevano risplendere le nostre armature,
i nostri elmi, le nostre lame, i nostri scudi, faticavano ormai a raggiungere la valle,
sormontati e nascosti dalle desolate cime balcaniche.
Un cielo rasserenato dai forti venti del nord, iniziava a tingersi di tonalità sempre più scure;
già si intravedevano la luna, piena e candida come il vestito che portavo, ed una stella a nord della nostra posizione, unica ed imponente.
Camminavo in silenzio a testa alta ammirando lo spettacolo che gli dèi mi stavano offrendo,
sprofondando ad ogni passo con metà stivale nel fango.
Mentre marciavamo ci si passava di soldato in soldato una pezzo di pane ed un po' di frumento,
dalla testa alla coda della truppa.
Quella marcia carica di speranze e di dolore non doveva essere interrota,
né per mangiare, né per dormire, né per piangere, né per sognare.


Uniti ci eravamo imbarcati, fidandoci gli uni degli altri, e stavamo ora navigando in un mare pericoloso ed incerto,
colmo di insidie e di ostacoli da superare.

Ma nessuno di noi tremava innanzi alla falce della Morte.










"Gli dèi si servono dei venti contrari per condurci in porto."



Parzek
Ormai siamo in viaggio da giorni senza ancora vedere nessuna meta, aspetto la sera come non mai, non è che ci sia granchè da fare oltre che camminare. Ci raccogliamo intorno al fuoco puzzolenti come i piedi dopo una giornata dentro le superga ma non ci interessa di ciò, l'impoortante è stare insieme e condividere tutto, anche le notizie più orrende. Ieri sera decisi di starmene un pò da solo anche per ricordare delle cose passate a me care e che erano intrise nella mia mente come non mai. Ogni tanto sorridevo perchè mi tornavano davanti quelle situazioni vissute nelle taverne schifide in cui ero stato, ad un certo punto qualcosa di non ben definito scosse la mia concentrazione, mi voltai di scatto mentre gli altri cantavano e bevevano, vidi una bestia tra le fronde che correva in modo angusto, mi alzo e afferro la mia spada, voglio vedere dove è diretta ma senza far rumore. Esco allo scoperto e l'animale vedendomi apre le proprie ali e comincia ad emettere strani rumori con il becco, ebbene si era un oca. Ci trovammo faccia a faccia io con la voglia di mangiarla e lei con quella di starnazzarmi. Gli corro incontro emettendo uno strillo talmente forte che l'urlo di chen a confronto sembrava la voce di Farinelli. Lei non si spostò di un centimetro quando all'improvviso caddi inciampando su due sassi. La bestia immonda scappò via e non mi rimase che scagliare i due sassi. Solo allora mi accorsi di aver inventato un gioco, si IL GIOCO DELL'OCA.
Morphea




La marcia riprese.
Mi guardavo intorno, e m'appariva tutto sfocato come avvolto in una nebbia impenetrabile, fatta di luoghi comuni. Ci dovemmo addentrare nella valle e seguire il corso del fiume che costeggiava il dirupo, per capire che ogni cosa era la conseguenza di ciò che avevamo appena attraversato.

Da lontano vedevi valli che si aprivano all'improvviso e risalivano la montagna per aprirsi in altopiani silenziosi. Incontravi per strada solo qualche catapecchia, nascosta fra gli alberi. Sentivi, spesso, il rumore di qualcosa che sbatteva, e sapevi che era qualcuno che, terrorizzato, si nascondeva per paura di essere giustiziato.
Un nastro di velluto, quasi privo di colore, sbiancato dal tempo e dall'incuria che si dipanava lineare, con la strada maestra interrotta qua e là da sentieri ancora più piccoli, per luoghi ancora piu remoti, isolati e rinchiusi in se stessi.

Ero affascinata. Tutto quello che continuavo a guardare, mi rapiva fino alla totale alienazione.

Alcuni di noi seguivano a cavallo e tutto sembrava bastare a se stesso... ma io vedevo gli altri e leggevo la stanchezza che segnava i loro visi, eppure sorridevano
Solo qualche settimana prima, molti di loro avevano desiderato la morte, ed ora erano lì che sorridevano andandogli incontro, fieri e decorosi nelle loro armature malconce. Erano liberi.


Ci accampammo per la notte.
Il cielo era terso, il terreno ancora impantanato, ma non come lo era appena due notti prima.
La marcia si sarebbe arrestata per alcuni giorni. Montammo le tende.
Lei venne da me, ed io la vidi arrivare.
Lei arrivava con le sue domande solo quando sapeva che ne avevo bisogno. Lei aveva risposte che io non avevo mai. Aveva certezze che a me sfuggivano, ed io l'amavo per questo. Silenziosa, mi osservava, pronta ad afferrarmi per mano, prima ancora che inciampassi.
Ed io per lei?
C'ero sempre così poco e mai abbastanza, o come meritava.

" Che hai?" mi chiese.
Le sorrisi.
" E' lì ed io gli ho detto di andare. Quello che penso ora, ti ferirebbe, ma so che finiresti con l'accettarlo."
Mi guardava e leggeva nei miei occhi... anche perchè con quelli che si ritrovava, sarebbe stato impossibile che non ci riuscisse, era la cosa che di lei amavo più di ogni altra... i suoi occhi.
... che occhi!
Grugnì quasi quando se ne accorse, ma d'improvviso cominciammo a ridere, e per me fu più facile dirle quello che sentivo.
" Gli ho detto che lo avremmo raggiunto dopo un giorno, e ho perso il conto di quanti ne siano già passati" stetti in silenzio per un po', mentre lei mi guardava " non sono più sicura che il mio posto sia qui, nè che ce ne siano altri, in realtà non sono più sicura di nulla... neppure di me stessa, e non credo di esserlo mai stata. Ho voglia di andare Misti, ma, stavolta, non so dove."





Mistic
Parlammo per tutta la notte.
Razionalizzava...
Cercavo di starle dietro,per quello che potevo,ma,alla fine,mi ritrovavo a ragionare con l'unico organo che di razionale non ha nulla...il cuore!
Era da me...e lei lo sapeva.Come io sapevo che,pur essendoci,questo non era tempo per fare delle scelte...

Mi alzai da quel ciocco di legno sul quale eravamo sedute.Mi stiracchiai più e più volte,notando che era passata l'alba.
Il sole aveva fatto capolino nelle prime ore del mattino,tra nuvole minacciose gonfie di pioggia.
Mi guardai intorno...

"ti va una tisana calda?" volevo lasciarla sola,sapevo che ne aveva bisogno,ma non trovai una scusa migliore per allontanarmi.
Sorrise e annuì.

Mi allontanai,ripensando a tutto quello che c'eravamo dette.Alcune parole mi risuonavano ancora in testa.

"altro che tisana...mi ci vuole dell'alcool!" dissi entrando nella mia tenda.



"Sei qui!"
Sobbalzai.La sua voce mi sorprese.

"Mi hai aspettata? mi dispiace...mi sono fermata a parlare cn Morph e non ci siamo rese conto del tempo che è trascorso."
Mi scrutò.
Per un attimo mi sentii spogliata di tutto ciò che avevo indosso.
"Che c'è?" gli chiesi,già sapendo che aveva capito il mio stato d'animo.
Continuò a fissarmi.
"Barone,sto per tirarvi un pugno in pieno viso..." sbottai.
Sfoderò la spada."Che ne dici di usare questa?" me la puntò al volto.
Arricciai il labbro inferiore,lo morsi,poi anuii.


Uscimmo dalla tenda e ci dirigemmo verso uno spazio più ampio.
Iniziammo a puntare le spade...
"Tra un pò avrete più segni fatti da me,che ferite di battaglia!" gli dissi sorridendo dopo averlo colpito ad una spalla.

La mente si stava liberando.
Il chiacchiericcio assordante che si sentiva dall'accampamento,però,mi riportò alla realtà...
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16 Ottobre 1460
Grevius
vibrai il fendente sul fianco di lei,
ma non forte come si usa sul nemico... Rapido e leggero d'improvviso.
La sfiorai con la lama, ed una sottile linea rossa partorì una goccia rubina.

"Siete un illuso se pensate di battermi" disse lei con orgoglio

Le risposi con un sorriso.
Le nostre lame si incrociarono di nuovo, questa volta rimasero immobili in bilico, sotto l'esatta forza di noi.
Mi confinò all'angolo, ed io feci una mossa diversa.
Allungai il viso, lasciando il collo sospeso fra le due lame, e la baciai...

D'un tratto le spade diventarono pesanti, così come tutte le altre cose, armi vestiti, pensieri...

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Leenie
Una sera come tante. Finalmente aveva smesso di piovere e l’aria, con l’approssimarsi della primavera, andava facendosi più tiepida, il che rendeva la vita dell’accampamento meno disagevole. Perfino il fango andava asciugandosi, quell’onnipresente ed odiato fango balcanico, che formava una zavorra sotto le suole degli stivali durante la marcia e faceva scivolare uomini e bestie ad ogni passo.

Come sempre, c’era chi cucinava, chi si godeva la compagnia di qualche persona cara, chi giocava a carte o ai dadi, chi curava armi e oggetti di cuoio. Io invece avevo avuto un’idea malsana. Me la cavavo discretamente nel combattimento al coltello o in quello che può essere una scaramuccia o un assalto. Non avevo invece la minima nozione di come si combatta in un esercito, muovendomi senza rompere la formazione e senza essere di intralcio ai meie compagni, anzi, coprendo i loro punti deboli. E a chi mi ero rivolta, per avere qualche ripetizione di scherma?

In effetti sospettavo che Giubius avesse accettato solo per sbirciare nella scollatura della camicia o, con la scusa di correggermi la posizione, frugarmi un po’ addosso dove usualmente non gli sarebbe stato consentito. Per fortuna avevo lasciato mio marito a guardia della zuppa e avevo già deciso fino a che punto avrebbe potuto spingersi il colonnello senza incappare in un ceffone.
La fama di donnaiolo di quell’uomo era senza confini ma, sorvolando su qualche piccolo “incidente” si stava anche rivelando un maestro abile e capace.

Muoviti di più sui piedi e tieni chiusi i gomiti, o darai una spallata a chi ti sta al fianco, sbilanciandolo! Ricordati che sul lato destro hai lo scudo del compagno!

Io grondavo sudore a dispetto del gelo, e cercavo di seguire le istruzioni.

Bene, mia cara, per oggi abbiamo finito. Visto il tuo impegno di oggi, stasera la guardia la monti tu, nel turno di mezzanotte.

Sbuffai, ma sapevo che mi sarebbe toccato comunque.
E mentre ero intirizzita e insonnolita di fronte al fuoco di vedetta, in piedi e non seduta per non cadere nella tentazione del sonno, sentii un fruscio provenire da buio.

Chi è là? Qualificatevi!

Con un cenno di intesa agli altri che condividevano con me il turno, ci sparpagliammo silenziosamente. Un fruscio e poi….
Prima che potessi realizzare cos’era accaduto, era già tutto finito. La mia spada era sporca di sangue, io la fissavo con il fiato mozzo e ai miei piedi un mucchietto inerme sussultava negli ultimi spasmi dell’agonia. Poi, improvvisamente compresi: avevo ucciso un uomo, o quantomeno, avevo contribuito ad uccidere un uomo!

Non sapevo dove spostare lo sguardo. Lo alzai e vidi il mio “maestro”. Temevo una battuta, o le sue congratulazioni, dopotutto ero con gente che conviveva con questo genere di cose da anni, invece fece solo un cenno di approvazione.
Udii a malapena gli scambi di battute che seguirono.

Si sa chi fosse?

Mah…

Che ne facciamo, Generale?

Rimandatelo da dove è venuto. Se era un viandante, è giusto che venga seppellito come Dio comanda, se era una spia o qualcosa del genere, farà da esempio. Tratteniamo come rimborso denaro, armi, la cinta e gli stivali.


Forse non furono queste le parole esatte, ma il senso era chiaro. Non alzai gli occhi a incontrare il ghigno di Legio, in quel momento.
Fuggii via, invece, al lavarmi nel torrente.
Ma l’odore di sangue non se ne andava. Mi sembrava sempre di averlo, viscido, fra le dita.
Quella notte mi addormentai piangendo con Vissénte che mi abbracciava e passava una mano sui miei capelli per calmare i miei singhiozzi.






E’ dura, quando le conseguenze delle tue scelte ti sbattono addosso con brutale violenza. Io stavo scontando uno di quei momenti. Un altro pezzetto della persona che ero stata, se n’era andato per sempre.
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Legio











Legio da cinque giorni seguiva il suo cavallo ondeggiare come un cammello sotto la pioggia.
Piegato a libretto aveva smesso la tiara per l'elmo e il pastorale per la spada,
guardava fisso ad occhi bassi di fronte a se il sentiero nel fango,
e con le orecchie tese procedeva in testa alla colonna tra i faggi e i lecci attento ad ogni altrui presenza.



Mandare esploratori innanzi era inutile.
Li precedeva un concerto d'archi , spie e prezzolati cantastorie.
Sapevano quanti erano dove erano e chi erano,
e proprio per questo saggiamente,
stavano saldamente trincerati in casa.





La colonna , la piu variegata che Legio avesse mai condotto,
proseguiva verso nord, tra petali di papavero, ceri votivi ,
pappagalli colorati , resti di odalische turche e carri pieni di stoffe e viveri.
In un chiasso indescrivibile.






Il carro piazzato a meta' colonna procedeva sprofondando con le ruote nel fango,
i drappi e le stoffe di cui era ornato ondeggiavano pesanti , zuppe di pioggia e d'acquitrino,
le fiaccole ai lati intrise di pece, ad ogni sobbalzo sputavano lapilli di fuoco subito ingoiati dall'acqua.
Stava venendo buio.

Procedevano lenti.
Solidamente ancorato ad uno scranno in cima al carro con bordoni di chiesa e nastri di seta colorati,
stava , tra ninnoli votivi e ceri ardenti,
seduto rivolto a prua , vestito di paramenti sacri e di alamari,
morto da diversi giorni ,
in viaggio verso nord ,
Tergesteo dei Mannari, dispensatore di grazie , protettore dai terremoti e intercessore presso le maree,
Santo per volonta' di popolo e Martire per Grazia Divina.








La pioggia scendeva lenta su tutti, avvolgendoci con un indistinguibile abbraccio.










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Leenie
Un pendio erboso, una notte in cui la luna era coperta da nubi sfilacciate, da sola ad ascoltare il vento che veniva dal mare.
Soltanto, la compagnia di pensieri foschi e confusi.
Voci lontane e il residuo di un bagliore provenivano dall’accampamento.
Andavano e venivano insieme al vento.

E pensai che qui sarebbe stato un buon posto per... riposare.
Forse anche per sempre.

Con questa terra umida e l’erba ondeggiante al vento e la luna e forse, quando si è fortunati, anche le stelle.

E d’estate il pendio si sarebbe riempito di papaveri.
Un mare di rosso sotto un mare azzurro, nel sole di un pomeriggio ozioso.

Ma ora era freddo e il pendio era scuro.
Un buon posto per riposare.

Se me ne andassi, importerebbe a qualcuno?

Mi rispose il fruscio del vento.
Siamo soli nel fulgore della vita, come sperare di non esserlo quando l’ultimo fioco lume si spegne?

Non lascerò una scia di lacrime, andandomene.
Indifferenza è una parola dolorosa.

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Morphea




Sentivi l'odore venire su dalle pozze d'acqua, calpestate dagli stivali di uomini e donne. La pioggia calava dall’alto come un muto scenario, che ci accerchiava come per un gioco o uno scherzo del destino tutto sommato prevedibile.
Il freddo si insinuava sotto la pelle come punture di insetti nell'afa estiva. Ti rendevi conto che il sole dei giorni precedenti era stato solo un'illusione, che tutto era così mutevole e per niente prevedibile.

La marcia si arrestava ogni notte in una radura o in una di quelle vallate dimenticate da dio e dagli uomini. Quella notte la pioggia, il vento e il freddo non ci avrebbero concesso asilo sul terreno inzuppato di madre terra. Come lupi in branco cercammo riparo in un antro nascosto nella fenditura dei balcani che ci seguivano, immobili, da giorni.
Intorno a quei pochi ciocchi di legna, salvati dal diluvio, che prendevano fuoco, sedevamo tutti ad asciugare i vestiti fradici.

Vedevi gli uomini che squadravano le donne partendo dalla punta dei piedi, fino alla scollatura, come se potessero infilarsi sotto le loro lunghe vesti, solo con lo sguardo... bramosi della carne, come lupi a caccia, che puntano ogni cosa si muova, per la carenza di cibo nell'inverno gelido.

Sorrisi, scuotendo la testa.

Mi diressi ai carri a controllare che il cibo fosse dove doveva essere. Mi misi da lontano a contare gli uomini ed i conti non mi tornavano. Lo feci più volte.

Vidi l'ombra di Legio su una delle pareti, lontano dagli altri. La sua ombra beveva con lui, ed ondeggiava sulla roccia.

" Ce dobbiamo da' na ripulita Marfy".
" Ci siamo persi Perfilippus e Mami, Le'"
. gli dissi mentre mi sedevo al suo fianco e dalla sacca estraevo la pipa, con le erbe aromatiche raccolte per strada nei giorni precedenti.
" Tie', leggi qua... " disse passandomi le missive che avevo visto accumulate nella sua tenda qualche giorno prima.

Gli diedi un'occhiata veloce, non vidi niente di nuovo dal mare di lordura in cui eravamo seppelliti da mesi, ormai. " Che ti meraviglia di sta roba?" gli chiesi.

Continuava a tracannare dalla fiasca, deluso e sorridente. " Li hai armati tutti?" domandò
" Quelli che vedi..." continuai " Che hai intenzione di fare?" domandai.
" E che devo fa?... sorridi Marfy, sorridi."

A volte, le battaglie infliggono sconfitte minori, a volte, le lame feriscono meno.

Continuai a fumare, fino a vedere due ombre dondolarsi sulla roccia.



Legio






Facemmo campo a due tiri di balestra dalle mura,
i bosniaci stavano tutti li' in assetto completo,
sembrava starci tutta la citta' sulle mura.


" Colonnello faccia dispiegare il campo,
mandi due gruppi a cavallo a fare polverone verso ovest e verso est,
li voglio con i gonfaloni spiegati, come fossero una colonna,
faccia accendere piu fuochi del necessario, tenga i carri larghi,
mi aggiorni per tutto...."


Mentre si dirigeva alla tenda Legio
scruto' liriel che triste come la madonna del pianto faceva concorrenza allo Santo Tergesteo.






" Li'.....tu me sembri una che sa' scrive bene..."





" ....seduta qui' e scrivi....."





" Uvaženi Princ, naša pohvale za vas i za sve ljude............."









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Giubius
Giubius aveva fatto quanto ordinato, il campo predisposto, i gruppi inviati. Quella sera si era anche sbrigato nella rassegna dei soldati e nei rapporti dei capi manipolo, aveva solo voglia di rientrare nella tenda. Uno strano presentimento lo assilava. In tante guerre passate non era mai stato così apprensivo.
Giunto nella tenda chiamò la figlioccia ma il primo abituale "NESSOLAAA". gli si fermò in gola. Vide che era già sulla brandina, distrutta dalla fatica. Le si avvicinò e le toccò la fronte per vedere se scottasse. Era tanto che non si occupava di lei come avrebbe dovuto. "Povera piccola, l'ho trascinata in giro tra pericoli e battaglie invece di assicurarle il futuro che merita" pensò. Le prese la mano e per la prima volta, dopo tanto tempo, sentì la voglia di pregare...

Angele Dei, qui custos es mei,
me tibi commìssum pietàte supèrna
illùmina, custodi, rege et guberna.
Amen


Quella notte l'avrebbe passata a guardare quell'angelo dormire....
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Non potremmo distruggerli, ma gli strapperemmo un braccio e non gli può piacere.

Legio




Seduto su una cassapanca Legio attendeva da ore.

" Signore.....dal castello...."
fece uno che venne correndo con la lingua in gola portando una pergamena...

" Non sono il tuo signore...."
fece Legio drizzandosi in piedi " Da' qua'...."



Prese il foglio lo spiego' , fece alcuni passi e dopo letto lo getto' nel fuoco.


"Colonnello ... tutti ai loro posti ?"




Giubius annui' impeccabile.



Legio guardo' Tergesteo sul carro dei santi inchiodato come Cristo.



" Signori......si è fatta ora di andare......non facciamoli aspettare"

" Vieni Giub....abbiamo da fare..."


Salto' sul cavallo calo' la visiera......estrasse la spada e punto' verso le mura.









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