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BalkaniKa

Morphea
Arrivammo alle porte di Zenica che era notte fonda... la guardavamo da lontano silenziosi, e nel silenzio ci accampammo, mentre la pioggia scrosciava nel vento sferzante.

Attesi che tutti dormissero e che le nuvole avvolgessero l'ultimo quarto di luna rimasto ad illuminarci dall'alto. Indossai il mio mantello per sparire sotto il cappuccio e nel buio pesto. Ero parecchio in ritardo ad un appuntamento, e dovevo entrare in città eludendo le guardie. Rimasi nascosta fra gli alberi fino a quando le sentinelle non si spostarono verso est.
La crepa in cui m'ero intrufolata mesi addietro era lì difronte a me. Dovevo essere ingrassata dall'ultima volta, perchè feci fatica a passarci.

La città era deserta, tutto taceva.
Ritornai nella bettola abbandonata che avevamo usato l'ultima volta.

Mi feci strada tra le ragnatele. La luce fioca della notte, filtrava tra le fenditure delle tegole di legno. Accesi il mozzone di candela, poggiato tra i boccali sulle mensole della credenza dietro il vecchio bancone.
Nessuno aveva toccato nulla, le botti di vino erano ancora piene.
Sentii un rumore dietro la porta e feci appena in tempo ad abbassarmi, cercando di mascherare l'affanno pauroso che copriva il respiro di qualche istante prima.
Provai a spegnere la candela, prima che la porta si spalancasse, invano.

Sentivo i passi avvicinarsi. Il cuore prese a battermi più forte all'unisono con l'affanno.
" Mi scoprirà" pensai.
Misi una mano sul petto e l'altra davanti la bocca, convinta che potesse sentire ogni cosa, così come lo sentivo io.

Mi trovò.
Mi fissava.

Rimasi, lì per terra, in silenzio, incredula.

" Conosco quel viso" mi disse.
Si avvicinò e tese il braccio per aiutarmi a rialzarmi.

Nel risalire le nostre labbra si sfiorarono. Quasi avevo dimenticato come fosse.

" Quando ti rivedrò andare via?" mi chiese.
Non sapevo cosa rispondergli, ero maledettamente in ritardo per ogni cosa, e il tono della sua voce non era dei più rassicuranti.
Provai a spiegarmi, provai a dirgli ogni cosa, ma fu inutile. Aveva ragione su ogni cosa, ed io non ero in grado di difendermi, non volevo.

Mentre parlava, estrassi la lama dallo stivale e gliela misi in un pugno, stringendoglielo con le mie. Portai l'arma sotto il mio costato, avvicinandomi a lui e premendoci contro.
" Affonda ora il colpo di grazia!" gli dissi con tono fermo e deciso.
" Non sono io che ho bisogno di uccidere qualcuno per sentirmi vivo..." rispose in tutta calma mentre lasciava cadere il coltello.

Deglutii.
" Viva? Lì fuori, su quelle mura, i miei amici, i miei compagni, i miei fratelli, sono stati feriti ed uccisi. Sono qui per saldare i conti, a costo della vita.
Viva? Ho scelto ogni cosa. Non cerco giustificazioni, nè colpevolizzo nessuno.
Un tempo seminavo campi, telavo la lana e curavo le mie rose, quella donna non esiste più, quella donna è morta tempo fa. Questa sono io, quella che vedi ora. Viva?"
" Cosa ti aspetti da me?"
" Niente di più di quello che sei, ma che mi guardi per quella che sono..."


Alle prime luci dell'alba, l'ombra del silenzio interruppe la conversaione.

" Vieni, ti accompagno all'accampamento" mi disse offrendomi il braccio e aggiungendo " ... forse domani partirò, voglio tornare a casa..."


Al risveglio non ricordavo quasi nulla, ma lui era ancora lì.
Uscii fuori che ancora pioveva. Feci un giro del campo.
Ognuno era intento a lucidare la propria spada e il proprio scudo. Quando rientrai nella tenda, non c'era più.

Quella, probabilmente, era stata l'ultima volta che lo avevo visto.


Calò nuovamente la notte.
L'ordine di attacco partì.
Montai a cavallo, brandii la spada ed impugnai lo scudo, tenendo strette le redini, e puntai dritta alle mura di Zenica.

Per la prima volta diedi un nome alla mia durlindana: Dionea.



Addiu


Zenica, Kraljevina Bosna
Al primo mattino del 25 Febbraio 1459







Imbrunimmo le nostre armature con la cenere dei nostri fuochi ed il fango di quelle terre,
nella sicura speranza che questo ci avrebbe permesso di arrivare alle mura senza dare limpidi bersagli agli arceri bosniaci appostati sugli spalti delle mura,
la cui visuale quella notte di luna piena era assai favorevole.


Il generale passò in rassegna a cavallo tutto l'accampamento con l'elsa della spada stretta nel pugno.
Alea iacta.


Ci schierammo ai piedi del colle sul quale ci eravamo accampati,
di fronte alle mura della città,
al fianco dei nostri fratelli d'Arberia,
uniti da un'aquila le cui due teste richiamavano i nostri due eserciti,
disposti l'uno fianco all'altro e pronti all'assedio.


L'esercito bosniaco contava di moltissimi uomini, una popolazione intera era stata armata ed addestrata alla guerra,
manco fosse Sparta.
Molti dei loro appiedati si erano disposti innanzi alle mura,
coperti dai validi arceri pronti ad incoccare frecce infuocate;
gli altri rimanevano all'interno a difesa del principe e dei suoi consiglieri,
rintanati come sorci nel castello.


Caricammo all'unisono all'urlo del generale.
I nemici che stavano innanzi alla città caricarono a loro volta,
mentre i loro arceri iniziarono a scagliare frecce alla cieca.
Alcuni tra di noi caddero trafitti dalle frecce e feriti prima dello scontro,
noi altri giungemmo agli appiedati con impeto e veemenza,
ingaggiando le spade dei nemici.








Riuscii a rimanere lucido in quella confusione infernale;
mi buttai a scudo alto addosso ad un soldato nemico,
ma quello resse l'urto e subito mi sferrò un fendente che riuscii ad evitare con un balzo laterale.
Tentai di riprendere l'equilibrio ma quello mi fu subito addosso e con lo scudo mi colpì al braccio e mi fece perdere la spada.
Privo di spada indietraggiai tentando di ripararmi con lo scudo,
consapevole che ormai non mi rimaneva altro da fare.
Decisi di sferrare l'ultimo attacco: alzai lo scudo e mi gettai ma la stanchezza mi giocò un brutto scherzo.
Il soldato mi colpì alle gambe facendomi cadere.
Ma fu quando ormai avevo perso le speranze che mi arrivò una voce alle spalle:



"Addiu!! La spada!!!!"



Luca mi lanciò la sua spada. La colsi lì dove era caduta, accanto a me e senza indugio, proprio nel momento in cui il bosniaco stava per finirmi,
da terra lo trapassai da lato a lato,
con un colpo a lama piatta che evitò le sue costole e che gli falciò il cuore.








Da terra dolorante mi voltai, la battaglia sembrava ormai volgere al termine e Luca mi si avvicinò per portarmi aiuto.



ZAC!



Una freccia lo colpì e lo vidi in ginocchio, piegato su se stesso.


Morphea




Legio e Koron guidavano i due eserciti.
L'Ordine Brigante, la Brigata Fantasma e I Black Eagles sotto un'unica bandiera, quella albanese.
Venimmo fuori dagli alberi e i bosniaci erano lì ad attenderci.

Tutti impugnavano le loro armi, tutti si dirigevano verso le mura di Zenica per saziarsi del sangue nemico.

Mentre mi avvicinavo cominciai ad interrogarmi.

" Perchè sono dinuovo qui?"
" ...è giusto così"
" Cosa cerco?"
"... vendetta"
" Ma li abbiamo attaccati noi la prima volta..."
" ... era guerra"
" Perchè? Questa cos'è?"
" ... è guerra!"
" e allora la differenza qual è?"
" ... che prima rispettavo il mio nemico, ora non più... cerco vendetta!"
" Vendetta?"
"... la vendetta per quelli quasi morti ammazzati e appesi per il collo... la vendetta per quelli quasi morti ammazzati e torturati in pubblica piazza... la vendetta per quelli quasi morti ammazzati e derubati... la vendetta per quelli quasi morti ammazzati e senza cibo... "
" Sgombera la mente ora... il tuo nemico è difronte a te!"



Puntai la spada e affondai il colpo.
Dionea l'aveva appena trapassata da parte a parte.
Scesi da cavallo.
La guardai dritta negli occhi e sorrisi di un sorriso beffardo e compiaciuto.
Estrassi la mia spada e il sangue venne fuori a fiotti con lei.
La ripulii sui suoi vestiti e le voltai le spalle.
La donna che li aveva portati davanti al Giudice era in fin di vita sotto i miei occhi e ora non rideva più di loro.
Ripulii il mio viso sporco del suo sangue, con un lembo del mantello.
Rimontai a cavallo e ritornai nella ressa.



Molti morirono, molti i feriti... molte le armi andate perse.
Avevamo appena cominciato.


" Amleto... dove sei?"









Leenie
Gli ultimi giorni prima dell’attacco ero ripiombata in un umore tetro e pieno di presagi di morte. Temevo, forse, la prima battaglia. Al punto che, non so se per distrarmi dai miei pensieri o perché mi aveva a portata di mano in quel momento, Legio mi aveva eletto senza il mio consenso a sua scrivana, e mi dettava missive in un incomprensibile idioma, che dedussi si trattasse di serbo-croato. Le risposte vennero gettate nel fuoco: fallite le trattative, si attaccò.

La mia prima vera battaglia fu… un’assoluta delusione!
Nonostante le lezioni del Colonnello, non ero stata in grado di combinare gran che, nella calca. Era pur vero che non avevo combinato grossi danni, ero assolutamente incolume e ancora mi chiedevo se quell’esperienza fosse come me la ero immaginata.
Ma appena ebbi il tempo di riavermi dalla tensione nervosa e dalla stanchezza, il mio primo pensiero andò agli altri membri della Brigata, e ai miei cari. Stavano tutti bene?

Tergesteo aveva fatto una promessa, e noi eravamo lì per mantenerla al suo posto, ora, gliene avrei fatta una io:

Terge, ti prometto che li riporterò indietro sani e salvi, tutti quanti.

Con mio grande sollievo facendo l’appello risposero tutti. Uno dei nostri però, era sorretto da due compagni e aveva il volto insanguinato, sembrava avere un brutto taglio sulla fronte, un colpo di spada di striscio, mi disse uno di quelli che lo sorreggeva e che lo aveva soccorso.
Feci segno di portarlo verso la tenda che era stata adibita ad infermeria, e da cui provenivano delle urla soffocate. Scoprimmo il motivo una volta entrati: disteso su una brandina, con l’aria piuttosto provata e ancora in bocca un pezzo di legno avvolto in uno straccio, c’era Luca, gli avevano appena estratto di dosso una freccia. Salutammo frettolosamente lasciando che chi gli era intorno terminasse il proprio lavoro, e facemmo sedere su una panca l’altro ferito.

Il taglio era piuttosto brutto, e profondo. Inoltre, non mi piaceva lo sguardo vacuo dell’uomo. Gli mettemmo una coperta sulle spalle, perché tremava di freddo, Poi medicai il taglio e lo cucii. Non essendo io un cerusico, però, non avevo modo di sapere se il colpo alla testa sarebbe stato senza conseguenze o meno. Per lo meno, sembrava abbastanza cosciente, ancorché provato. Una volta bendata la ferita, non restava che aspettare.

Mettiamolo a letto, è meglio. Dovrai restarci almeno quattro o cinque giorni, domani avrai un solenne mal di capo, ma dovresti rimetterti presto. Se dovessi avvertire qualcosa di strano, come nausea o problemi agli occhi, avvisa subito, va bene?

Lo lasciammo riposare il più possibile al caldo, con un secchio vicino e il divieto assoluto di alzarsi. Mi ripromisi, entro la sera, di preparare un pentolone di decotto di corteccia di salice, perché fosse pronto alla bisogna e di offrirmi, per la cena, di preparare uno stufato con la carne dei cavalli uccisi e un po’ di ortaggi razziati dai campi intorno alla città. Poteva venirci lo scorbuto, a mangiare solo pane raffermo e gallette, senza contare quanto migliori l’umore della truppa a mettere nello stomaco qualcosa di caldo.
Forse finora non mi ero dimostrata gran che, come soldato, ma di sicuro in cucina sapevo il fatto mio ed è innegabile che a stomaco vuoto si combatta male.
_________________
Nefertati



Tutti schierati e silenziosi...
li osservavo uno a uno...

Vidi il generale salire a cavallo e calarsi la visiera...
Vidi il Colonnello sitemarsi l'armatura...
Vidi Morphea brandire la spada e impugnare lo scudo...
Vidi un ghigno sul viso di Jareth..
Vidi Bembe imprecare mentre guardava le mura...

...attendevamo l'urlo del generale...

io...spada sguainata e scudo a difesa...
guardavo mio figlio...
era alla sua prima battaglia...
sembrava eccitato e allo stesso tempo impaurito...
ma aveva lo sguardo orgoglioso...

con la pioggia che velava ogni cosa...
sembravamo dei panneggi pronti a prendere parte ad una festa...

arrivò...l'urlo arrivò...
e la babele padroneggiò tra tutti noi...

per quanto mi era possibile...
cercai di non perdere di vista per un solo istante mio figlio...

    ...e la vita peserà di più...


La babele alle primi luci dell'alba svanì...
la conta iniziava...
nelle mie vene lo stesso sangue di sempre...



_________________

""....posso resistere a tutto, tranne che alle tentazioni...""
Luca_ros



Zenica, Kraljevina Bosna
Al primo mattino del 25 Febbraio 1459







I reggimenti avanzano compatti e pronti al primo attacco, al primo sangue. Le prime file dovranno sostenere l'impatto, aprire brecce nelle difese.

Sono questi i momenti in cui ti chiedi se le cose hanno un senso. Che ci fo in prima fila? Cosa mi ha spinto fino a qui? Cosa ti ha fatto lasciare a casa moglie, familiari, amici, per venire a versare sangue in terra straniera?




Fai finta di chiedertelo... la risposta la sai bene, ma vuoi ricordartelo ora. Perchè hai bisogno di incazzarti.




Sei in prima fila perchè hai sete di sangue e vendetta. Sei lì perchè da soldato, odi i criminali di guerra. Perchè ti hanno fatto male. Perchè hai visto derubare i tuoi camerati. Perchè hai visto torturare e affamare i tuoi amici.

Avanza guerriero, guarda in faccia la morte e fagli capire che ancora non è arrivato il tuo giorno. Avanza e conduci l'oscura signora sotto le mura di Zenica... aiutala con rabbia e determinazione a prendere il nemico.



Le aquile dei fratelli d'Alberia sono ovunque intorno alla città, nere come la notte che a oriente si ritira attimo dopo attimo ai primi raggi rossi del sole, rossi come il sague che verseremo.

Quello dell''esercito bosniaco, organizzato e ricco di unità, una popolazione intera armata ed addestrata.

Pochi minuti e ci scontreremo con la loro prima linea, protetta da irti pali e fossati, e da una folla di arceri disposti sulle mura.






Senti la paura Luca, sentila e vincila.






Ci avviciniamo, in attesa dell'ultimo segnale, quando siamo investiti da una prima pioggia di dardi infuocati.... alcuni cadono... si prosegue...

Siamo illuminati a giorno... carichiamo...

Anche la loro prima linea si muove... lo scontro è durissimo...





L'inferno di Zenica... te lo ricordi... ma non riesci nemmeno questa volta ad abituarti al rumore del ferro, alle urla e all'odore del sangue...

Vai avanti comandante, vai avanti, apriti la strada verso quelle facce che cerchi da tempo... dai sfogo all'odio.... ammazza... ammazza...

Noi siamo angeli, loro sono diavoli... combatti soldato, abbatti i diavoli, porta la ragione e la fede... non fermarti...







L'hai trovato... ci siamo... hai davanti una di quelle facce che cercavi... è il tuo momento... puoi vendicare i tuoi amici...

E' un istante, queste decisioni si prendono in un istante... vedi Addiu a terra... ha solo lo scudo... un bosniaco lo sta attaccando...

"Addiu!! La spada!!!!"

gliela lancio e lui l'afferra da terra e si volta trapassando di lato il Bosniaco che stava per dargli il colpo di grazia.... gran soldato Addiu... gran soldato.. un colpo solo per dare la morte al nemico...







Mi volto alla ricerca del mio nemico, di quella faccia... ma non c'è.... non c'è più... sono indietreggiati tutti

Allora mi avvicino ad Addiu, per aiutarlo ad alzarsi e togliergli di dosso il bestione esanime... ma qualcosa mi colpisce alle spalle, sento bruciare... non capisco dove sono stato colpito.... perdo lentamente i sensi mentre Addiu mi carica sulle spalle....




buio... luce...





Non so se adesso sto sognando o se sono di nuovo sveglio, ma so che questi fatti mi fanno riflettere. Avevo davanti uno dei nemici che da tempo volevo uccidere. Fino a quell'istante non sarebbe esistito un valido motivo per fermarmi. Solo la mia morte. O i principi sani cui un uomo d'arme non deve mai rinunciare, il suo onore, i valori in cui crede. Tra questi valori sicuramente c'è la fratellanza tra soldati, uniti sotto la stessa bandiera, amici.

Sangue chiama sangue, vita chiama vita... la mia spada ha salvato la vita ad un fratello... quel fratello ha raccolto le mie stanche membra e mi sta portando in salvo....




La mia vendetta può attendere ancora.






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Grevius
L'ultimo raggio dell'ultimo sole di Zenica, tramontò all'orizzonte, portandosi via quella lunga giornata d'attesa.
L'aria tesa incorniciava il nostro manipolo, schiacciandoci sotto mille pensieri ed altrettante armature.
Per alcuni o per molti, quell'ultimo sole sarebbe stato l'ultimo per davvero, ma se ora son qui a raccontare ciò che accadde, di certo non lo fu per me.

Respirai per un momento il suo profumo, qualcosa che mi dava forza e determinazione per il dopo... perchè dopo altro che profumi!

"Stai attenta" le sussurrai
"Stai attento tu, ed è un ordine..."

feci il saluto militare assumendo l'aria esageratamente severa...
Mi diede un pacchero per l'ironia.

"Dopo ne voglio altri"

Il dopo per noi soldati di ventura, è come un foglio bianco... che può essere riempito oppure rimanere così... vuoto, perchè s'interrompe un sorriso, uno sguardo, un'anima...
Un po' triste come cosa, ma piacevole nel complesso, perchè nei giorni prima del dopo, non cambierei il mio mondo per nessun motivo... così come nel mentre della battaglia, così come nel poi.

Finita la battaglia, sento un leggero tepore,
il primo raggio, del primo sole di Zenica, coplisce ora il mio volto...
Posso tracciare un segno, lì nel mio foglio bianco.

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Morphea




Alle prime luci dell'alba le armate ripiegarono, trascinandosi dietro ognuno i propri morti e i propri feriti.

Ritornai al campo e il mio primo istinto fu quello di contarli, di guardarli in viso e assicurarmi che fossero tutti vivi... mi bastava saperli vivi...
Feci il giro del campo non so neppure io quante volte, silenziosamente, come se avessi dovuto nascondere la mia preoccupazione, le mie paure... contavo e ricontavo... dividevo, sottraevo, aggiungevo e non riuscivo a moltiplicare nulla per nessuno, neppure per me stessa.
La prima preoccupazione andò verso mio figlio e alla sua promessa consorte, non m'era mai accaduto di preoccuparmi così per lui.. ma non avrei retto anche la sua morte, nè avrei saputo sostenerlo per un suo dolore.
Il Generalissimo piscione, la mia cara Misti, il padre di mio figlio, il Barone, il Colonnello, la cacciatrice di cinghiali e tutti gli altri erano vivi... alcuni feriti, ma tutti vivi....


Improvvisamente sentii il bisogno di andare nella mia tenda per stendermi, perchè la stanchezza mi aveva sopraffatta, e avevo bisogno di restare sola.

Non era solo alla guerra che pensavo.

Pensavo ai morti ammazzatti e ai morti suicidi.
Pensavo al fatto che vanno e vengono, così come era già capitato a me più volte, e che prima o poi mi sarebbe ritoccato. E qualcosa mi diceva che sarebbe accaduto più prima che poi, così come prima o poi non sarei più ritornata o che non lo avrebbe fatto qualcun altro, perchè un poi di ritorno non è detto che ci sia e potrebbe essere prima di quando tutti si aspetterebbero, o poi...

E un giorno, quasi per caso, nella morte hai trovato più vita che nella vita stessa, e mentre tutti la vedevano morta, tu non potevi far altro che vederla viva perchè con te lo era... ci parlavi, ci danzani, e ci ridevi, e lei faceva altrettanto con te, ma continuava a sentirsi morta, perchè lo era, ma non con te.
E mentre tutti vedevano pezzi che si staccavano, tu li raccoglievi e li rimettevi apposto sorridendo, perchè se la morte perde pezzi, la vita in un modo o in un altro te li restituisce.
Mia figlia non me l'avrebbe restituita più nessuno, perchè lei sì che era veramente morta, ma non era l'unica morta veramente morta... ed io stavo impazzendo perchè vedevo la vita anche in un morto che era veramente morto, e che per me era vivo.


Rassegnata al delirio della mia malattia, forse era meglio che io moria, ma era ancora più meglio assai che io dormia per non moria.


"Morpheaaaaaaaaaaaaaa.... devi moriaaaaaaaaaaaaaa!" ... lei e lui CIAVREBBERO tenuto a dia









( uahuahuahuahuahuahuah )
Tabac
Arringai il mio gruppo prima dell' attacco...
poche semplici parole....
"amici miei....sarà la nostra fine o la loro......la vita si gioca in un colpo solo ,il resto è solo attesa"
un sorriso...
mi girai verso le mura e.....
"CARICAAAAAAAAAAAAAAAAAA!!!!"

_________________
Addiu



Al primo mattino del 26 Febbraio 1459
Stesso scenario del precedente






Ormai era la quinta battaglia che avremmo combattuto su quel campo;
tra noi ed il nemico era quasi nato un falso rispetto,
falso in quanto quando combatti per conquistare una città non devi avere nessun ritegno nel finire chiunque ti si ponga davanti,
sia uno scontro uno contro uno, sia una pugnalata alle spalle sono ben accette.

Stavolta sul fronte bosniaco c'erano proprio tutti;
anche il principe ed i suoi consiglieri brandirono le armi e scesero a fronteggiarci, un chiaro segno del loro timore.



"Uomini!!


Anche quel cane del principe di Bosnia è qui, su questo campo!!!


ANDIAMO A PRENDERCI LE SUE OSSAAAAAAAAAAAA! CAAAAARICAAAAA!!"




Il nostro schieramento scese veloce e prese quel campo
come il fuoco brucerebbe un'intero covone di paglia in una secca giornata d'estate.
La solita pioggia di frecce tentò di spegnere il nostro impeto, ma i più vi sopravvissero e si scontrarono con le lame nemiche.

La loro prima linea cadde velocemente, schiacciata dalla nostra voglia di prevalere e dal nostro numero.
Dando colpi di spada a destra e a manca, e schivandone molti di più, corsi fra le truppe bosniache non più irresistibili come le scorse battaglie.
Puntai dritto al principe che si ergeva su di un cavallo bruno.
Quello mi vide correre verso di lui; spronò il cavallo e mi venne incontro.



Mi passò la sua lama sul braccio destro, già dolorante dalla battaglia del giorno prima.
Riuscii però a rimanere impiedi ed alla sua seconda carica lo disarcionai cogliendo una lancia da terra e facendo cadere grazie ad essa il cavallo.
Il principe cadde a terra e gli fui subito addosso ma quello rispose colpo su colpo, riuscendo a farmi indietreggiare e a riprendersi dalla caduta.
Mi disse anche qualche parola nel suo linguaggio, che io non conoscevo.
Le nostre spade s'incrociarono ancora, e ancora, senza che nessuno dei due desse segno di stanchezza.
Gli assestai poi un duro colpo con il mio scudo che lo prese di sprovvista:
alzai allora la spada e misi tutta la forza che mi rimaneva in quel colpo;
egli alzò lo scudo a proteggersi.



La mia spada squarciò il suo scudo quasi fosse un raggio di sole che sbuca dalle nubi, ma la migliore armatura che avessi mai visto frenò il mio fendente all'altezza del braccio,
che comunque accusò il colpo, ma non la mia gelida lama.







Rialzai allora la spada e fui pronto a colpirlo quando un soldato bosniaco mi venne addosso e mi spinse via, ma subito vidi una spada spuntare dal suo torace, l'indistinguibile lama del colonnello Giubius.



Alzai allora nuovamente lo sguardo e vidi che il principe bosniaco fu preso a cavallo da un suo ufficiale e portato via.



Nefertati




abbracciai mio figlio....
aveva combattuto ed era vivo
era uomo...ed io non lo trattavo da tale...
lacrime non ne avevo ...
ma l'espressione di sollievo che avevo sul volto, tradiva ogni mio sentimento...

il giorno passò veloce...
la conta ebbe esito positivo...
i pochi feriti erano già nella tenda,
alcuni di noi pronti a lenire i loro dolori e a medicarne le ferite.

la notte apparve e...
sporchi, stanchi ma euforici... seguimmo nuovamente il generale
le spade assetate di vendetta, noi assetati di vittoria...
l'urlo come sempre arrivò...
e tutti noi, con il vigore della vita...e l'impulso dell'astio ....attaccammo...

pochi passi e mi trovai già in pieno combattimento...
un croato mi si parò dinnanzi...rideva, gridava, sputava...
la spada non seguì nessun comando, riuscii a malapena a sfiorarlo,
quel colpo mancato mi fece perdere l'equilibrio,
vidi il croato brandire la spada alzandola sopra la mia testa...
non feci in tempo a reagire che me lo sentii addosso...

il peso mi sbilanciò completamente...
mi ritrovai distesa a terra con il suo corpo sopra...
continuai a colpirlo...ma lui non reagiva...
delle mani mi bloccarono ....una voce disse...Nef è morto...
seguii la voce e vidi il Colonnello, mi mostrò la spada lordata di rosso...

spostai quel corpo esanime...
mi rialzai ripresi possesso della spada...
osservammo il morto riconoscendo in lui lo sceriffo bosniaco...
rivolsi un sorriso di soddisfazione e allo stesso tempo di ringraziamento al colonnello...
e ritornammo nella babele...



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""....posso resistere a tutto, tranne che alle tentazioni...""
Legio





Inverno 14.....





I Bosniaci erano in rotta.
Avevano lasciato sul campo meta degli uomini,
i resti del loro esercito fuggiva verso nord,
L'Ordine Brigante aveva trionfato.
La citta' era nostra.


Legio passo' tra i soldati in festa ,come un anima in pena coperta di sangue.

Passo' sotto il portone distrutto, verso il cortile centrale ,
prosegui' lungo i camminamenti della guardia fino all'entrata che dava alle segrete , sfondo' il portone ,
scese le scale di pietra male illuminate ......conosceva bene la strada....

Entro negli alloggiamenti delle guardie a spada sguainata ma non trovo nessuno,
erano fuggiti tutti, ando' verso le celle e li lo trovo' , accucciato dietro una grossa panca .

Nascosto in un angolo buio dell'ultima cella,
stava Pljoksa il torturatore.

Quando lo vide gli si getto' ai piedi con occhi da pazzo,
comincio' a farfugliare che lo costringevano, che non era nella sua natura
fare del male,
che aveva dei figli e una moglie, che li tenevano prigionieri obbligandolo a costringere i condannati a parlare....
piangeva e sbavava come un cane Plioska il torturatore,
e per chi lo avesse visto all'opera questa sarebbe sembrata la cosa piu incredibile del mondo,
eppure plioska era li' , con gli occhi da pazzo e
le labbra umide attaccate alle vesti di legio,
un vero miracolo si sarebbe detto.

" Vieni ...."
fece Legio , e lo aiuto' ad alzarsi.

Per la prima volta Plioska lo guardo' negli occhi,
ed erano gli occhi del dolore e delle ferite,
delle tribolazioni e della paura , delle grida e dei lamenti...
ripetuti, per giorni e giorni....ore....mesi ....
erano gli occhi umidi dell'orrore.

Plioska era impazzito.
Abbracciava Legio e parlava...parlava....

Legio guardandolo fraterno gli sorrise,
la pieta' dei sentimenti non trova cibo tra gli uomini lontani da Dio.
E allora muore.

Legio prese la sua testa e gli appoggio' la guancia al viso proprio come si fa' con un fratello , o un amico dopo tempo ritrovato.
E gli sussurro':
" ...A volte non hai paura anche tu Plioska ?"



"......."


La mano destra si mosse in un lampo mentre la sinistra alzava il mento decisa.
Una mezzaluna di sangue si apri sotto il mento di Plioska il torturatore di anime.








Legio stacco' il mazzo di chiavi che pendevano a terra nel sangue,
le getto dietro le sbarre di una cella tra occhi impauriti,
imbocco' la porta , sali' le scale ................e torno' alla luce.














_________________
Mistic
Uscii dalla sua tenda,mi sistemai il cinturone con la spada in vita e presi lo scudo.
Mi seguì.
Ci accodammo agli altri che erano già tutti ai loro posti.


Li osservai ad uno ad uno aspettando il segnale.
Nessuno parlava.
Ognuno era immerso nei suoi pensieri,o nelle sue preghiere.

Sguainai la spada,determinata a tener fede alla promessa poc'anzi rinnovata.
La battaglia ebbe inizio.
Mi feci spazio tra la calca,finchè non mi ritrovai di fronte lo sceriffo.Gli sferrai un colpo in testa con l'elsa della spada,si piegò in due permettendomi di colpire al torace.


26-02-2011 04:05 : Avete colpito Megakiller. Questo colpo l'ha probabilmente ucciso.



Una donna,vestita di rosa,e perfettamente armata,notò la scena e venne in suo soccorso.
Arrivò come una furia.La bloccai con lo scudo e la colpii con un calcio,facendola allontanare.
Guardò l'uomo ormai giacente in una pozza di sangue.

"Troppo tardi!" le dissi,ma probabilmente non mi capì.

Si rialzò e mi colpì ad un fianco.Respirai e affondai la spada,ancora una volta.


26-02-2011 04:05 : Avete colpito Ljubicica. Questo colpo l'ha probabilmente ucciso.


Mi guardai intorno.
C'erano cadaveri disseminati lungo tutto quello che era stato il nostro campo di battaglia.
C'era qualcosa di macabro in quello che sentivo.
Non mi sono mai sentita tanto viva come dopo quella battaglia dalla quale ero uscita viva e indenne.
Viva quanto non ti senti nemmeno nei momenti più ubriacanti di gioia...

Quella sensazione durò poco.
Fui riportata alla cruda realtà,quando vidi Grevius,vicino a Morphea che giaceva ferita a terra...
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16 Ottobre 1460
Grevius
Altra notte, altra battaglia.
La mia spada, rimasta a digiuno la volta prima, bramava sangue come non mai... decisi dunque di darle questa soddisfazione.

Diedi l'ultimo bacio, dopo essermi offerto alla ben più dolce fame di Lei, e mi avviai al seguito nello spiazzo innanzi alle mura.

Scattò come un lampo, il feroce macello di genti, il quale impegnò le nostre provate forze.
Balzai verso uno dei loro, tendendo la lama con entrambe le braccia... La sentii conficcarsi nel profondo delle carni, di quell'uomo, che ormai esanime cadeva pesantemente a terra...
Il sangue sgorgava a fiotti, ma non assetava la mia spada, aveva vissuto troppo deserto, e ne voleva ancora.

Groviglio di corpi, vivi e morti, spade, scudi, urla...
Di tante lingue che l'uomo nel mondo parla, l'urlo si capisce ovunque, sommesso, furente, dolorante, disperato...

Ma tutto divenne ovattato, quando incespicai su un corpo dei tanti...
Morphea mi fissava, parlando a rantoli e tossendo sangue...

Alzai lo sguardo e vidi prima il sorriso sporco, e poi il viso, altrettanto sporco del carnefice...
Mi voltò le spalle e incominciò a correre...
Gli diedi un vantaggio, non so quanto fosse... ma fu il tempo per chinarmi su Morphea e darle un bacio sulla fronte...
Sfiorai la mancata sorella con la mano, e iniziai a rincorrere silenzioso quell'essere ombroso e sfuggente.

Sentivo il suo respiro differente dal mio, si faceva più corto ed impaurito, ormai gli tenevo il passo...
Colpii con la spada, lì dove polpaccio e coscia si congiungono, nel retro del ginocchio.
L'urlo agghiacciante per il tendine reciso, crollò a terra come un orso sgraziato.

Lo voltai con un calcio, la mia spada ringhiò soddisfatta, la affondai lentamente nella tenera gola, strozzandogli un altro urlo sul nascere...
La bocca spasimante e muta, cercò ancora un respiro... tremò inconsciamente e rimase ferma.

L'orrido banchettò finì in quel folle momento di piacere.

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Morphea



Nei giorni precedenti a quello, durante un giro di perlustrazione, io e Misti avevamo trovato un capanno abbandonato nel bosco. Dopo averci dato una ripulita, ed averci trasportato tini di vino e scorte di cibo, cominciammo ad utilizzarlo come locanda.


Il pomeriggio del ventiseiesimo giorno del mese di Febbraio, mi risvegliai stranamente assetata nella neve e nel ghiaccio pungente. Uscii dall'accampamento diretta alla bettola in cerca di qualcosa che mi dissetasse. Le falcate affondavano fino al mezzo polpaccio nel nevischio, tanto che quando aprii la porta quasi non sentivo la punta dei piedi.
Sembrava che tutti si fossero diretti lì quel giorno.
Tutti avevamo qualcosa da festeggiare, ed io forse più di qualcun altro.

" Barone, tocca a me!"
gli dissi.
" Smettila Morph..."
" Perchè dovrei smetterla? T'ho detto che tocca a me."
aggiunsi

La porta si spalancò ed Addiu fece il suo ingresso venendomi incontro.
" Chi hai seccato?" chiese.
Feci una grassa risata e risposi " Eri lì... lo sai chi ho ammazzato..."
" Devi morire Morph..." disse ridendo.
" Stanotte tocca a me Addie'" gli dissi ridendo, mentre bevevo il mio buon bicchiere di vino, caldo come il piscio in un giorno d'estate.
" Morirai Morph... " replicò.
" Morirò stanotte ma voi sconfiggerete Ady" continuai, mentre l'espressione sorridente lasciava il posto ad un'altra estremamente seria e per niente preoccupata " Scommetti con me... Scommetiamo sulle pallette raggrinzite del Colonnello "

I boccali di vino si toccarono, siglando il patto appena fatto.

Restammo lì fino al calar della notte. Tornammo al campo, montammo in sella ai cavalli e ci dirigemmo alle mura di Zenica.

La ressa non tardò ad infiammarsi sotto i colpi di spada. Lo scintillio rumoroso delle lame, colorava il buio silenzioso della notte.
Quella neve era così rossa ormai.

Alice, la mia cavalla, si imbizzarrì nella veloce corsa, disarcionandomi su una striscia di neve ancora candida. Giaceva a terra dolorante e quasi immobile. Quasi strisciando mi risollevai.
Erano in due. Uno alla mia destra e l'altro davanti.
Le due lame si incrociarono sotto la mia pelle.




Mi guardai intorno, la battaglia si era conclusa. Pochi i bosniaci ancora in piedi e quasi tutti erano rimontati a cavallo e stavano lasciando le mura sprovviste di difesa, per scappare altrove.
I miei fratelli erano tutti in piedi, mentre ancora ansimavano per la vittora appena conquistata.
Sorrisi, ero felice.
E' l'ultima cosa che ricordo; poi atterrai di schiena sul corallo del mio sangue. Poggiai la testa sul ventre della mia Alice...

"Che strani colori ha la morte, si confondono con la neve anche nel buio pesto del crepuscolo. Che strano sorriso ho io, che strano sapore hanno le mie labbra mentre il sangue le tinge. Che strano sapore ha il mio sangue....
Domani... chissà se domani i miei occhi rivedranno ancora la luce del giorno. Chissa' che colore avrà la mia notte ora che ho così sonno.
Fa freddo.... così freddo............... "





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