Morphea
Arrivammo alle porte di Zenica che era notte fonda... la guardavamo da lontano silenziosi, e nel silenzio ci accampammo, mentre la pioggia scrosciava nel vento sferzante.
Attesi che tutti dormissero e che le nuvole avvolgessero l'ultimo quarto di luna rimasto ad illuminarci dall'alto. Indossai il mio mantello per sparire sotto il cappuccio e nel buio pesto. Ero parecchio in ritardo ad un appuntamento, e dovevo entrare in città eludendo le guardie. Rimasi nascosta fra gli alberi fino a quando le sentinelle non si spostarono verso est.
La crepa in cui m'ero intrufolata mesi addietro era lì difronte a me. Dovevo essere ingrassata dall'ultima volta, perchè feci fatica a passarci.
La città era deserta, tutto taceva.
Ritornai nella bettola abbandonata che avevamo usato l'ultima volta.
Mi feci strada tra le ragnatele. La luce fioca della notte, filtrava tra le fenditure delle tegole di legno. Accesi il mozzone di candela, poggiato tra i boccali sulle mensole della credenza dietro il vecchio bancone.
Nessuno aveva toccato nulla, le botti di vino erano ancora piene.
Sentii un rumore dietro la porta e feci appena in tempo ad abbassarmi, cercando di mascherare l'affanno pauroso che copriva il respiro di qualche istante prima.
Provai a spegnere la candela, prima che la porta si spalancasse, invano.
Sentivo i passi avvicinarsi. Il cuore prese a battermi più forte all'unisono con l'affanno.
" Mi scoprirà" pensai.
Misi una mano sul petto e l'altra davanti la bocca, convinta che potesse sentire ogni cosa, così come lo sentivo io.
Mi trovò.
Mi fissava.
Rimasi, lì per terra, in silenzio, incredula.
" Conosco quel viso" mi disse.
Si avvicinò e tese il braccio per aiutarmi a rialzarmi.
Nel risalire le nostre labbra si sfiorarono. Quasi avevo dimenticato come fosse.
" Quando ti rivedrò andare via?" mi chiese.
Non sapevo cosa rispondergli, ero maledettamente in ritardo per ogni cosa, e il tono della sua voce non era dei più rassicuranti.
Provai a spiegarmi, provai a dirgli ogni cosa, ma fu inutile. Aveva ragione su ogni cosa, ed io non ero in grado di difendermi, non volevo.
Mentre parlava, estrassi la lama dallo stivale e gliela misi in un pugno, stringendoglielo con le mie. Portai l'arma sotto il mio costato, avvicinandomi a lui e premendoci contro.
" Affonda ora il colpo di grazia!" gli dissi con tono fermo e deciso.
" Non sono io che ho bisogno di uccidere qualcuno per sentirmi vivo..." rispose in tutta calma mentre lasciava cadere il coltello.
Deglutii.
" Viva? Lì fuori, su quelle mura, i miei amici, i miei compagni, i miei fratelli, sono stati feriti ed uccisi. Sono qui per saldare i conti, a costo della vita.
Viva? Ho scelto ogni cosa. Non cerco giustificazioni, nè colpevolizzo nessuno.
Un tempo seminavo campi, telavo la lana e curavo le mie rose, quella donna non esiste più, quella donna è morta tempo fa. Questa sono io, quella che vedi ora. Viva?"
" Cosa ti aspetti da me?"
" Niente di più di quello che sei, ma che mi guardi per quella che sono..."
Alle prime luci dell'alba, l'ombra del silenzio interruppe la conversaione.
" Vieni, ti accompagno all'accampamento" mi disse offrendomi il braccio e aggiungendo " ... forse domani partirò, voglio tornare a casa..."
Al risveglio non ricordavo quasi nulla, ma lui era ancora lì.
Uscii fuori che ancora pioveva. Feci un giro del campo.
Ognuno era intento a lucidare la propria spada e il proprio scudo. Quando rientrai nella tenda, non c'era più.
Quella, probabilmente, era stata l'ultima volta che lo avevo visto.
Calò nuovamente la notte.
L'ordine di attacco partì.
Montai a cavallo, brandii la spada ed impugnai lo scudo, tenendo strette le redini, e puntai dritta alle mura di Zenica.
Per la prima volta diedi un nome alla mia durlindana: Dionea.
Attesi che tutti dormissero e che le nuvole avvolgessero l'ultimo quarto di luna rimasto ad illuminarci dall'alto. Indossai il mio mantello per sparire sotto il cappuccio e nel buio pesto. Ero parecchio in ritardo ad un appuntamento, e dovevo entrare in città eludendo le guardie. Rimasi nascosta fra gli alberi fino a quando le sentinelle non si spostarono verso est.
La crepa in cui m'ero intrufolata mesi addietro era lì difronte a me. Dovevo essere ingrassata dall'ultima volta, perchè feci fatica a passarci.
La città era deserta, tutto taceva.
Ritornai nella bettola abbandonata che avevamo usato l'ultima volta.
Mi feci strada tra le ragnatele. La luce fioca della notte, filtrava tra le fenditure delle tegole di legno. Accesi il mozzone di candela, poggiato tra i boccali sulle mensole della credenza dietro il vecchio bancone.
Nessuno aveva toccato nulla, le botti di vino erano ancora piene.
Sentii un rumore dietro la porta e feci appena in tempo ad abbassarmi, cercando di mascherare l'affanno pauroso che copriva il respiro di qualche istante prima.
Provai a spegnere la candela, prima che la porta si spalancasse, invano.
Sentivo i passi avvicinarsi. Il cuore prese a battermi più forte all'unisono con l'affanno.
" Mi scoprirà" pensai.
Misi una mano sul petto e l'altra davanti la bocca, convinta che potesse sentire ogni cosa, così come lo sentivo io.
Mi trovò.
Mi fissava.
Rimasi, lì per terra, in silenzio, incredula.
" Conosco quel viso" mi disse.
Si avvicinò e tese il braccio per aiutarmi a rialzarmi.
Nel risalire le nostre labbra si sfiorarono. Quasi avevo dimenticato come fosse.
" Quando ti rivedrò andare via?" mi chiese.
Non sapevo cosa rispondergli, ero maledettamente in ritardo per ogni cosa, e il tono della sua voce non era dei più rassicuranti.
Provai a spiegarmi, provai a dirgli ogni cosa, ma fu inutile. Aveva ragione su ogni cosa, ed io non ero in grado di difendermi, non volevo.
Mentre parlava, estrassi la lama dallo stivale e gliela misi in un pugno, stringendoglielo con le mie. Portai l'arma sotto il mio costato, avvicinandomi a lui e premendoci contro.
" Affonda ora il colpo di grazia!" gli dissi con tono fermo e deciso.
" Non sono io che ho bisogno di uccidere qualcuno per sentirmi vivo..." rispose in tutta calma mentre lasciava cadere il coltello.
Deglutii.
" Viva? Lì fuori, su quelle mura, i miei amici, i miei compagni, i miei fratelli, sono stati feriti ed uccisi. Sono qui per saldare i conti, a costo della vita.
Viva? Ho scelto ogni cosa. Non cerco giustificazioni, nè colpevolizzo nessuno.
Un tempo seminavo campi, telavo la lana e curavo le mie rose, quella donna non esiste più, quella donna è morta tempo fa. Questa sono io, quella che vedi ora. Viva?"
" Cosa ti aspetti da me?"
" Niente di più di quello che sei, ma che mi guardi per quella che sono..."
Alle prime luci dell'alba, l'ombra del silenzio interruppe la conversaione.
" Vieni, ti accompagno all'accampamento" mi disse offrendomi il braccio e aggiungendo " ... forse domani partirò, voglio tornare a casa..."
Al risveglio non ricordavo quasi nulla, ma lui era ancora lì.
Uscii fuori che ancora pioveva. Feci un giro del campo.
Ognuno era intento a lucidare la propria spada e il proprio scudo. Quando rientrai nella tenda, non c'era più.
Quella, probabilmente, era stata l'ultima volta che lo avevo visto.
Calò nuovamente la notte.
L'ordine di attacco partì.
Montai a cavallo, brandii la spada ed impugnai lo scudo, tenendo strette le redini, e puntai dritta alle mura di Zenica.
Per la prima volta diedi un nome alla mia durlindana: Dionea.