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BalkaniKa

Sonomorto



Scorro come fossi pioggia lungo le mura di Zenica, ai margini del finimondo dei vivi.
Le urla sono il canto che accompagna i miei passi.
Il grido spettrale e acuminato del metallo sguainato sostiene il ritmo delle mie mani, che cercano appigli, in questa salita.
Si fa sordo, di tanto in tanto, ogni volta in un luogo diverso, se penetra e affonda nelle carni di qualcuno, sorpreso nell’atto di provare a sua volta ad affondare metallo nella carne di un altro.
Altrimenti è nudo e squilla quasi, se il colpo non ha raggiunto il suo fine e lo scudo avverso ha fatto il suo dovere.

Siedo quassù sulle mura, ora, con i miei nervi lacerati e tesi.
Sarebbe un guaio se qualche oggetto, scagliato con tutt’altro obiettivo dalla ferocia imprecisa di qualcuno, dovesse finire col colpirmi, staccandomi qualcosa.
Quel mio pezzo perduto sarebbe perduto forse per sempre in questo finimondo. E in ogni caso non ci sarebbe modo di recuperarlo, almeno finché non cesserà il delirio dei corpi dei vivi, ansiosi di far fioccare sangue dai corpi di altri vivi.

Ho anch’io la mia spada. Tempo fa lei mi ha armato, fiduciosa.
Io ho adeguato il dono un po’ a ricordo, un po’ a portafortuna.
E me la porto dietro come un vivo porterebbe un anello, come un nuovo morto porta sugli occhi monete che nessun traghettatore arriverà mai a reclamare.

La mia vista annebbiata cerca lei. E non fatica a trovarla.

Sedevo qui anche ieri, quando lei ha affondato nelle carni di una donna la sua durlindana, con una ferocia che doveva provenirle da fuori, da qualche altro luogo o da qualche altro tempo, da un fatto del passato.
Scaricata tutta quella ferocia e tutta la sua forza nel colpo, ha faticato poi ad estrarre la lama dalla carne di quella donna.
Nessuno, nei dintorni, né in nessun altro luogo, ha potuto isolare il rantolo della donna e il suo urlo di esultanza. Erano un unico suono.

Da allora aspetto.

Quando è il momento, abbandono il mio posto sulle mura.
Scendo con movimenti sicuri da vivo.
Attraverso il delirio e il furore con tranquillità da morto. Mi avvicino a lei.
Il suo sangue mi scorre sulle braccia mentre la abbraccio e la sollevo.
Le sue labbra socchiuse testimoniano inascoltate quanto stanno vedendo i suoi occhi socchiusi.
Che cosa vedi? Le sussurro, senza aspettarmi risposta.
Me la porto via da lì, attraversando con calma il delirio dei corpi esaltati. Qualche goccia di sangue non sua arriva fino a noi, di tanto in tanto, da chissà dove, dal corpo di chissà chi.

C’è un enorme ghigno, è tra le poche cose che vedo bene, in fondo a tutto questo carnaio.
Eppure, mi ritrovo a pensare, forse un giorno si scatenerà la guerra definitiva, forse un giorno noi ci scaglieremo mossi da assurda vendetta contro i vivi.
E allora la guerra sarà una guerra dal destino segnato.
Basterà, per noi morti, reggere solo all’inizio.
Perché, poi, i primi caduti tra i vivi si rialzeranno morti e raccoglieranno le armi con cui ci fronteggiavano, per combattere al nostro fianco contro i vivi.
La processione dei vivi non più vivi fluirà inarrestabile a rafforzare le nostre fila, come sangue da una ferita insanabile.
Finché il mondo non sarà nostro. Finché al mondo non ci saranno che morti.

Mentre mi allontano stringendola tra le braccia, assurda sensazione in quel groviglio affollato di corpi, avverto lo sguardo di qualcuno.
Mi volto.
Una donna, non armata, non più viva, ci sorride.
Immobile e serena, proprio al centro del furore della battaglia.


Addiu



L'esercito bosniaco era fuggito nella boscaglia a nord di Zenica,
portando in salvo il principe ed alcuni consiglieri.
Oramai davanti alle mura della città non rimaneva più nessuno;
sugli spalti stava l'ultimo baluardo della difesa bosniaca,
composto dai miliziani e dai popolani che avevano ricevuto ordine di difendere la città fino alla morte.

Ma non v'era pietà nei nostri animi.

Arrivammo con un tronco d'albero al portone di Zenica,
mentre molti di noi con funi ed arpioni scalavano le mura e si apprestavano ad attaccare il nemico.
Non appena il portone fu abbattuto, ci fiondammo addosso a chiunque
avesse brandito le armi per contrastarci.

Il sangue bosniaco scorse per le strade di Zenica più velocemente dei ratti che la infestavano.





La città era finalmente nostra.


Silvestra
Uccidere un uomo è ben diverso da uccidere un cinghiale, il cinghiale mi fa pena, l’uomo no.
Il cinghiale mi ha attaccato per difendere i suoi cuccioli, io l’ho ucciso per fame.
L’uomo mi attacca deliberatamente mi vuole uccidere per la sua brama di potere, per la sua sete di denaro, per mantenere la sua supremazia su un popolo ignorante e oppresso, avidità e cupidigia sono le sue motivazioni e i fatti dimostrano che è così.
L’animale uccide per una legge di natura, l’uomo uccide per la sua natura di bestia.
E allora ho combattuto con tutte le mie forze, anche quelle che non avevo, ho lottato usando energie e cuore, intelligenza ed istinto, la risultante di tutte queste forze ha dato potere ai miei muscoli di donna di combattere come una madre che difende i suoi cuccioli e un soldato che difende i suoi ideali.
Ma non è bastato, ho visto ferire i miei amici e ho visto cadere Morphea generosa guerriera che ha lottato, ha ucciso giganti avversari ma prima ancora aveva sacrificato se stessa giorno e notte per la buona riuscita dell’operazione.
Morphea che cade ma si rialza, quante volte lo avrò visto succedere? Ogni volta a fatica, raccogliendo le sue energie residue e cercandone di nuove per ricominciare a lottare.
Egoismo, individualismo, desiderio di supremazia, vanità, dualismo, invidia incancreniscono le ferite e ne infliggono di maggiori.
L’energia la si ritrova ogni volta nello spirito di cameratismo e nell’affetto dei fratelli veri, nei sentimenti di amicizia e nella ricerca del bene comune anche a scapito di se stessi.
Ma questo Morphea lo sa bene come è vero che si è sempre rialzata, sputacchiando magari, sbattendoci in faccia responsabilità sgradevoli anche, anzi molto spesso, giuste o sbagliate ma costringendoci a confrontarci
Continuerò a lottare adesso con un motivo in più.
Samiro
Era mattina, dei tiepidi raggi di sole accarezzavano la pelle sporca di terra misto sangue di quell’uomo seduto a terra, con la schiena appoggiata a un grosso albero.
Il suo riposo veniva disturbato dal ronzio delle mosche che gli ruotavano attorno impazzite, come gli avvoltoi sui corpi senza vita stesi a terra, cosi senza trovare un attimo di pace l’uomo si alzò e fece un giro per la città.
Lo scenario che si presentava davanti ai suoi occhi era quello di una città desolata, ridotta alla miseria, pochi erano gli abitanti presenti e dalle modeste abitazioni l’uomo udiva le lamentele delle donne, ma non riusciva a capirle per il loro diverso modo di parlare, mentre le poche persone presenti in strada quando lo incrociavano si nascondevano o voltavano lo sguardo altrove, per poi rigirarsi una volta che l’uomo con la Kaffekvarn barba gli mostrava le spalle e iniziavamo nuovamente a mormorare, fissandolo con sguardi inorriditi.
Ma oramai l’uomo era abituato a queste scene, era solito a viverle ovunque andasse, anche se non riusciva a spiegarsi il perché.
Una volta giunto vicino alla riva di un piccolo stagno, l’uomo intimorito dalla presenza dell’acqua si spoglio completamente, oramai ne era conscio quel momento che da tanto tempo rimandava era arrivato, il sangue delle sue vittime si era seccato sulla sua pelle e provocava un tremendo prurito, tale da non potere opporre resistenza.
Samiro chiuse gli occhi, prese la rincorsa e con fare maldestro tento di gettarsi nello stagno, ma inciampò su se stesso andando a finire con la faccia sul bordo della riva dello stagno.
Lentamente apri gli occhi, e vide riflessa nell’acqua una delle cose più brutte che poteva ricordare, spaventandosi per quello che vedeva li richiuse immediatamente, nella speranza che quella cosa se ne andasse.
Passarono pochi secondi, ma per Samuel sembrava fossero passate ore, se non giorni.
Riapri gli occhi ma l’uomo dello stagno era ancora li, che lo fissava dritto negli occhi, Samiro finalmente capì il motivo per il quale veniva deriso ed evitato, abbandonato dai suoi genitori, cresciuto in solitudine sui monti assieme a quel vecchio, per lui l’unica speranza di una vita migliore, era quell’oggetto che gli era stato regalato in barca, facesse davvero miracoli.
Afferrò dalla sua sacca quel coso che Liriel chiamava sapone, si butto in acqua e incomincio con forza sfregarselo addosso come gli era stato spiegato tempo fa.
Una volta finito l’immagine torno a riapparire nello stagno, si certo, Samiro la vedeva lievemente diversa, le macchie di sangue erano sparite, e la sua pelle non era più nera come la pece, ma non era riuscito ad ottenere quello che desiderava.
Uscì a stento dall’acqua affranto, mentre con la mano stringeva forte la terra, mentre con un tono di voce carico di odio esclamò:

“Ucciderò tutti gli maschi belli, e non avrò la pietà nello uccidere la donne che nun avranno lo coraggio di guardarmi negli occhi mii”
_________________
-Senza parole-
Jaret
Girovagavo per le strade con qualche compagno… al nostro passaggio alcuni si richiudevano nelle loro catapecchie… molti ci guardavano passare osservandoci con gli sguardi carichi d’odio… pochi altri ci sorridevano gridandoci parole incomprensibili…

Eravamo dentro la città… il nemico era sconfitto, era fuggito, disperso… la battaglia, durata tre giorni, era ormai finita… ma il suo ricordo era ancora vivo in me...

Mi ritrovai da solo… camminavo per le vie grigie e scure… l’odore del sangue pervadeva le mie narici… lo sentivo, mi circondava… mi fermai, e mi misi a sedere su un muretto al fianco della strada…

Chiusi gli occhi......

Li vedevo… ero lì, ero in battaglia… al mio fianco, davanti a me, dietro di me i miei compagni che combattevano contro il nemico, ed io con loro… li vedevo, li sentivo, ero lì…
Udivo le grida di gioia per i colpi andati a segno, e le grida di dolore per i colpi subiti…
Molti compagni cadevano feriti, vidi Morphea ferita mortalmente… l’odio e la rabbia crescevano in me, insieme alle grida, le sentivo crescere in me… le urla della battaglia rimbombavano nella mia testa… aumentavano… erano sempre più forti… sempre più vicine… combattevo… avanzavo… sbattevo contro i corpi dei nemici, li calpestavo passandoci sopra…

Qualcuno, qualcosa mi colpì sul volto… sentivo il dolore… sempre più forte…

Stavo impazzendo???? Stavo sognando????

....... aprii gli occhi!

Un’uomo strillava a squarcia gola davanti a me, mi aveva appena colpito con un pugno… non l'avevo ne visto, ne udito avvicinarsi... ed ora se la stava ridendo e mi stava insultando nella sua maledetta lingua…

Cercai di alzarmi, e fece partire immediatamente un altro colpo… ma stavolta lo vidi, il sogno era finito... lo anticipai bloccandolo e lo feci cadere a terra… con un calcio lo colpii violentemente sulla nuca… non si mosse più…

Lo guardai per qualche attimo, esanime al suolo… poi ripresi il cammino… mi resi immediatamente conto che qualcosa stava cambiando in me…

Quegli strani sogni mi avrebbero accompagnato spesso da lì in avanti, lo sapevo… ma non sarei impazzito, no… e non mi sarei nemmeno fatto ammazzare dal primo che incontravo per strada…

La rabbia e l’odio nei confronti del nemico comune mi avrebbero dato ancora più forza… forza e volontà per andare avanti nella nostra lotta…
Legio
Citazione:

Il finimondo dei vivi.....






Legio raggiunse la sommita' della scalinata di pietra che riaffiorava dalle segrete
e non fece in tempo ad assaporare l'aria fresca del mattino
quando fu investito dalla visione di una moltitudine di corpi
di uomini e cavalli che giaceva nel cortile centrale
tra i bagliori delle abitazioni in fiamme .



Un fumo nero proveniva dalle carcasse e dai carretti incendiati,
un attimo.....un lampo ....un movimento.....un gesto....ti scansi........







Allora non pensi piu', ritorni vivo e vegeto sul mondo danzante dei non morti,
e colla bava alla bocca sguaini la spada e colpisci, colpisci nel mucchio,
sputi odio liquido dentro il tuo elmo......e colpisci.....colpisci per andare avanti....








......colpisci.....








............colpisci....






Alla fine sul piazzale c'eravamo rimasti solo noi.
Procedemmo cupi verso il palazzo della citta'. Sfondammo i portoni del municipio e salimmo le scale lenti come iene sul pasto.
Erano fuggiti tutti.
Il Principe con i dignitari erano fuggiti a nord.
La guardia era stata lasciata a farsi massacrare...
...........capita spesso anche in Italia.





Grondante sudore sprofondai sullo scranno del sindaco,
sollevai la visiera dell'elmo,
guardai tutti quelli nella stanza......





" ...Signor Bembe lei è addetto al reperimento di giovani donne,
non mi aspetto le vestali di edirne, ma cerchi di fare del suo meglio.
Signor Giubius so' che lei non beve per cui organizzi la guardia.
Signor Tabac ...la truppa ha sete...trovi le cantine....

.............Signori.........complimenti."










Quella notte...
la citta di zenica capi' il significato della parola violenza.

Non stavolta applaudita come una legittima esecuzione in piazza.

Non vista , come si guarda un cane morire...

Non piu , come un danno altrui, giustificato da una legge,
avallato da un rispettabile consesso.....

Ma stavolta vissuta sulla propria pelle.


Tra le proprie case.



Tra i propri affetti.................................................












_________________
Grevius
Le armi...
invenzione dell'uomo per concludere la vita di altri uomini...
invenzione dell'uomo per difendersi da coloro che bramano nel far terminare la loro.

Quella sera, le mie armi restarono dov'erano state posate nel mite sole del meriggio... nella mia tenda da campo.
Scelta sfrontata, folle ed inconscia, ne ora ne mai mi capaciterò di tale decisione, ne saprò se sarei ancora capace di simile gesto.

Lei mi aveva afferrato per un braccio, fissandomi negli occhi, penetrando nel loro interno...

"Prega di non morire, o giuro che trovo il modo di richiamarti dai campi elisi, solo per darti tanti calci nel didietro"

Non risi, poteva essere fatale in quel momento, e di perdere la vita prima di combattere mi sembrava assurdo.

L'intero battaglione si spostò all'unisono, dapprima a passo di marcia, poi sempre più veloce...
In lontananza si stagliava il grottesco profilo del municipio, la nostra nuova casa era lì a portata di mano, dovevamo solo prenderla.

Ancora clangori e furenti urla di guerra.
Trovai un sasso grezzo, a qualche passo da me, lo afferrai e colpii il primo dei loro che mi si parò davanti.
Si aspettava forse singolar tenzone e da buon Barone avrei anche potuto accontentarlo ma... non avendo spada.....
Egli cadde una prima volta, e subito gli fui sopra... iniziai a martellare come un forsennato...
Io ero il martello e lui l'incudine, lo trattai da tale, perchè non mi fermai una volta sfondato l'elmo, anzi, proseguii fin quando l'erba si tinse di rosso.

Lasciai quel cadavere a terra, spinto dall'incalzante ritmo di guerra, e mi avventai su un altro poco lontano.
Mi sferrò un colpo di spada, cercando di prendermi la testa, ma riuscii a bloccargli i polsi, entrambi tesi nel portar lama.
Restammo lì, ognuno provando a vincere la forza dell'altro... finchè riuscii ad abbassare la lama rivolgendogliela contro.
Tornò nuovamente la forza in lui, quella forza che viene quando si è ad un passo dalla fine.
Feci un passo indietro, lui perse l'equilibrio e cadde in avanti, trafitto inevitabilmente dalla sua stessa lama...

Urla di vittoria uscivano dal Municipio, era stato preso...
Cercai con lo sguardo la mia dolce Misty, la vidi ergersi fra quell'inferno intricato di corpi, bella come sempre...
Mi avvicinai a lei e senza dire una parola la baciai, come se fosse stata la prima volta...

_________________
--La_mia_voce



Sono qui, da qualche parte.
Sono tra il mondo dei vivi e quello dei morti...
Sono dove nessuno può ascoltarmi.
Sono dove nessuno potrebbe aver mai voglia di metterci piede.
Sono dietro una porta immaginaria che mi divide dal mondo dei vivi e quello dei morti.

Provo a venir fuori dalle sue labbra e non posso.
Ho provato ad uscire da qui, ma mi hanno imprigionata.
La imbavagliano sempre lei.
Mi da compiti sempre scomodi da svolgere.
Vorrei chiederle cosa pensa di fare stavolta, ma poi mi affiderebbe il compito di risponderle, e non so se ho voglia di svolgerlo.

Qualche volta mi ha fatto dire cose che non pensava, ma poi mi ha costretta a fuggire con lei.
Non riesco a capire perchè ora non mi assegna compiti, eppure io la sento.
So che sta pensando di ogni cosa e di ognuno.
So che sente per ogni cosa e cosa prova per ognuno.



So che lei l'adora, e che a quelle altre due vuole un gran bene...
So che di molti morti pensa che siano vivi, e che molti vivi in realtà siano morti e non se ne rendono conto.
So che la coltellata astratta di quello che credeva un fratello, le ha fatto più male delle ferite che hanno inferto al suo corpo.
So che non tollera più quella che non ha mai il coraggio di dire le cose cattive che pensa direttamente a chi le dovrebbe dire, e che non comprende come dalla finzione si possa provare gratificazione per consensi fasulli.
So che quella che ha baciato per scherzo le sta parecchio simpatica, anche se parla poco.
So che col figlio è parecchio severa, e con gli altri pure... e più è severa più credo che li ami.
So che al vecchio con cui si era fidanzata per finta, vuole un gran bene, come a quell'altro che più che un brigante, sembra una guardia in calzamaglia.
So che le bugie la destabilizzano e la allontano dal mondo dei vivi, e le fanno perdere memoria di ogni cosa.
So che il piccoletto che dice di amarla lo tiene a distanza per non ferirlo.
So che quello che vomita la fa divertire troppo, e che è un suo fratello esattamente come tutti gli altri anche se lo conosce da poco, come quello che le porta sempre le notizie cattive, ma non gliele manda a dire da nessuno.
So che quella che piange sempre le fa rabbia perchè vorrebbe vederla ridere sempre, e che dovrebbe metterla in guardia da quella che non ha mai il coraggio di dire le cose che pensa, ed io vorrei dirglielo ma lei non me lo permette per non farla piangere sul serio.
So che le manca sua figlia e che avrebbe voluto che io assolvessi a tutti compiti che mi aveva affidato per lei, ma non abbiamo fatto in tempo.
So che vorrebbe imbavagliarsi spesso da sola per non farmi fare le cose che non dovrei.
So che quello che sta pensando ora è tutto quello che vorrebbe che dicessi ma che la tiene bloccata tra il mondo dei vivi e quello dei morti, e che non sa se tornare nel mondo degli uni piuttosto che andare in quello da cui non c'è più ritorno.
So che se non la avessero ridotta in fin di vita, mi avrebbe fatto dire a tutti quelli che c'erano che è fiera di loro.

E' qualche giorno che sono io a dirle cose, ho come l'impressione che non mi ascolti.




Cucciolone
"O loro, o io, meglio loro!"

Entrai nel palazzo del municipio salutando la guardia. Questi ricambiò il saluto e mi rivolse un sorriso, riconoscendomi, poi mi rivolse la parola "Avete fatto un ottimo lavoro l'altra notte, ne avete beccati due".

"O loro, o io, meglio loro!" risposi, strizzando l'occhio, con questo ritornello che ormai ripetevo a tutti vantandomi di aver versato il sangue del nemico.

Poi proseguii seguendo il percorso che la guardia prontamente mi indicò. In breve arrivai al terzo piano, dove si trovavano gli appartamenti. Un'altra guardia dopo il solito ritornello mi indirizzò a colui che cercavo.

Bussai e non ottenni risposta, allora entrai.

"Ti ho visto arrivare, ce ne hai messo di tempo per salire due scale, ti stai già rammollendo?"

L'uomo che mi aveva risposto era a torso nudo, di spalle, in controluce davanti ad una finestra, ma la sua voce roboante era inconfondibile.

Mi avvicinai, con una fragorosa risata che mi si spense in bocca appena misi a fuoco la sua schiena, disegnata da profonde cicatrici e con una nuova ferita.

"Luca, come va?"

"Niente male, niente male" mi disse voltandosi "Il sapore della vittoria lenisce il dolore"

Non riuscii a distrarre la vista da un'altra lunga cicatrice sul suo torace, poi ripresi il controllo.

"Ti ho visto cadere, ti hanno colpito alle spalle, ma ero troppo lontano da te per intervenire"

"E io, bestione, ti ho visto il giorno dopo, dal campo. Mentre combattevi ferocemente e penetravi nelle loro linee come un coltello può penetrare nel burro, sei stato grande" mi disse abbracciandomi.

"O loro, o io, meglio loro!"

Poi arrivarono altri, e fino all'alba furono fiumi di birra, aneddoti e risate fragorose.

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Vivi56
La tenue luce del nuovo giorno filtrava dalle tende lacere.

Si mosse appena tentando di non svegliare l'uomo che dormiva al suo fianco: grossi ematomi ne costellavano il corpo come fiori vermigli ma il volto era sereno ed il respiro regorale.

Sorrise grata al destino che le aveva regalato quell'attimo di paradiso nell'inferno che la circondava: mani che sfioravano la pelle e corpi che si intrecciavano cercando il ritmo, la danza che diventava via via sempre più frenetica fino all'esplosione e all'oblio.

I primi rumori della città che si risvegliava la raggiunsero

Svelta si rivestì e si diresse alla porta.

"Addio" sussurrò


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Orgogliosa moglie di Hans Ludwing della Groana
Silvestra
Avevo visto un ombra sgattaiolare via alle prime luci dell'alba, una figura di donna, ma quello che attirò la mia attenzione fu qualcos'altro.
Un grande duello si stava svolgendo sul campo di battaglia, uno dei contendenti, particolarmente scattante si divertiva a duellare componendo sei versi, un uomo singolare con un profilo a dir poco pronunciato:


Venite pure avanti, voi con il naso corto,
signori imbellettati, io più non vi sopporto !
Infilerò la penna ben dentro al vostro orgoglio
perché con questa spada
vi uccido quando voglio.

Venite pure avanti poeti sgangherati,
inutili cantanti di giorni sciagurati,
buffoni che campate di versi senza forza
avrete soldi e gloria ma non avete scorza ;
godetevi il successo, godete finché dura
ché il pubblico è ammaestrato
e non vi fa paura
e andate chissà dove per non pagar le tasse
col ghigno e l'ignoranza dei primi della classe.
Io sono solo un povero cadetto di Guascogna
però non la sopporto la gente che non sogna.
Gli orpelli ? L'arrivismo ? All'amo non abbocco
e al fin della licenza io non perdono e tocco.

Facciamola finita, venite tutti avanti
nuovi protagonisti, politici rampanti ;
venite portaborse, ruffiani e mezze calze,
feroci conduttori di trasmissioni false
che avete spesso fatti
del qualunquismo un arte ;
coraggio liberisti, buttate giù le carte
tanto ci sarà sempre chi pagherà le spese
in questo benedetto assurdo bel paese.
Non me ne frega niente
se anch'io sono sbagliato,
spiacere è il mio piacere,
io amo essere odiato ;
coi furbi e i prepotenti
da sempre mi balocco
e al fin della licenza
io non perdono e tocco.

Ma quando sono solo
con questo naso al piede
che almeno di mezz'ora
da sempre mi precede
si spegne la mia rabbia
e ricordo con dolore
che a me è quasi proibito il sogno di un amore ;
non so quante ne ho amate, non so quante ne ho avute,
per colpa o per destino le donne le ho perdute
e quando sento il peso d'essere sempre solo
mi chiudo in casa e scrivo e scrivendo mi consolo,
ma dentro di me sento che il grande amore esiste,
amo senza peccato, amo ma sono triste
perché Rossana è bella, siamo così diversi ;
a parlarle non riesco, le parlerò coi versi.

Venite gente vuota, facciamola finita :
voi preti che vendete a tutti un'altra vita ;
se c'è come voi dite un Dio nell'infinito
guardatevi nel cuore, l'avete già tradito
e voi materialisti, col vostro chiodo fisso
che Dio è morto e l'uomo è solo in questo abisso,
le verità cercate per terra, da maiali,
tenetevi le ghiande, lasciatemi le ali ;
tornate a casa nani, levatevi davanti,
per la mia rabbia enorme mi servono giganti.
Ai dogmi e ai pregiudizi da sempre non abbocco
e al fin della licenza io non perdono e tocco.

Io tocco i miei nemici col naso e con la spada
ma in questa vita oggi non trovo più la strada,
non voglio rassegnarmi ad essere cattivo
tu sola puoi salvarmi, tu sola e te lo scrivo ;
dev'esserci, lo sento, in terra in cielo o un posto
dove non soffriremo e tutto sarà giusto.
Non ridere, ti prego, di queste mie parole,
io sono solo un'ombra e tu, Rossana, il sole ;
ma tu, lo so, non ridi, dolcissima signora
ed io non mi nascondo sotto la tua dimora
perché ormai lo sento, non ho sofferto invano,
se mi ami come sono, per sempre tuo Cirano.
Giubius
Era diventata un’abitudine ormai; dopo ogni battaglia, non appena fatto rapporto al generalissimo, si sedeva appoggiato all’elsa della spada e ne ripuliva la lama. A volte il sangue fresco si mischiava a quello ormai raggrumato delle battaglie precedenti. L’altra abitudine che da tempo aveva preso era di aspettare Nessola che gli venisse a raccontare con orgoglio quante schivate avesse fatto, quanti colpi avesse dato; quella notte passò del tempo prima che egli si preoccupasse del ritardo. Prese una torcia ed iniziò a cercarla; non poteva essere lontana, pensò, erano sempre stati nello stesso reggimento a combattere vicini. La cercò tra i feriti, ma nulla. Nella piazza del municipio vi erano solo cadaveri uno sull’altro in una ammasso indistinguibile di sangue, carni lacere, ossa… Con il cuore in gola guardò ognuno di loro, ma non la trovò. Fermò un soldato e gli chiese se l’avesse vista, ma niente. Iniziò a chiamarla con quanto fiato avesse in gola, ma la sua voce era coperta dai lamenti e dallo strazio dei feriti. Giunse una recluta, una di quelle che aveva addestrato a Lehze. “ Se cercate vostra figlia l’ho vista in municipio che riposava”.
Fece le scale del municipio facendo più rumore del solito con tutta la ferraglia di cotte ed armatura che indossava; pensò di rimproverarla per non essersi fatta vedere subito. Non era davvero suo padre, lo sapevano tutti, ma era come una figlia per lui. La trovò in una stanza seduta a terra con la schiena poggiata al muro con gli occhi chiusi. “Nessola, Nessola” le bisbigliò in un orecchio.
Non avendo avuto risposta controllò se avesse ferite; per fortuna sembrava tutta intera. Le toccò la fronte e sentì che scottava; “ma hai la febbre alta! Avrei dovuto lasciarti all’accampamento stanotte” le disse. La prese in braccio e l’adagiò su un divano.
“Portatemi un cerusico subito!!!” urlò ai commilitoni che, nel frattempo, si erano affollati intorno.
Gli fu portato uno strano omino bosniaco che gli fu detto essere il medico del principe. Iniziò a tastarle la fronte “calor præter naturam” esclamò. Continuando a toccarle la fronte si accigliò e scuotendo il capo disse “calor mordax”…dovreste sapere, anche se siete banditi, che nei nostri boschi in inverno fa molto freddo, non avreste dovuto lasciare la giovine alle intemperie per troppo tempo; datele un decotto di agrifoglio 3 volte al giorno e tenetele un panno sempre umido sulla fronte. Dovrebbe tirare via il calore in eccesso.”

Congedò il cerusico ed iniziò a ripensare alle sue parole; non avrebbe dovuto trascinarla con lui, non avrebbe dovuto darle spade di legno al posto dei balocchi e non avrebbe dovuto addestrarla come un soldato . Non avrebbe dovuto intimorire ogni ragazzo che le faceva la corte, per paura che potesse farla soffrire. Non avrebbe dovuto fare tante cose nella vita, ma quelle ormai gli pesavano come un macigno.
Nonostante le cure quella notte ella morì preda di quella feroce febbre; ebbri per il vino e per la vittoria nessuno fece caso a quel soldato in armatura che trascorse tutta la notte tenendo in braccio la sua figliola bisbigliandole ripetutamente l’unica ninnananna che le avesse mai cantato:

Ninna nanna ai sette venti,
che il bambino si addormenti.
S'addormenta e fa un bel sogno
e si svegli quando fa giorno.
Ninna nanna, mio tesoro,
il riposo è come l’oro.
Quando la nanna sarà finita
ricomincerà la vita.
Ninna nanna ai sette venti
che il bambino si addormenti

_________________
Non potremmo distruggerli, ma gli strapperemmo un braccio e non gli può piacere.

Legio














Dopo 3 giorni di occupazione, a Zenica non erano rimaste nemmeno le lacrime per piangere.



Il Principe con i resti dell'esercito fuggito a nord non si erano fatti piu vedere sotto le mura,
sicuramente attendevano presso il confine l'aiuto serbo.





I morti bruciati o sotterrati alla bell'e meglio cominciavano a puzzare di brutto.



Da tre giorni la popolazione, si esibiva come lacero gingillo tra le fauci del vincitore.








Legio emerso da sotto ..... be' non ricordo il nome....
cinto di drappi e tendaggi si avvicino' alla finestra e guardo' di sotto.




Stavano arrostendo una pecora nel cortile, un fumo denso e nerastro sbuffava dalle braci,
due ubriachi stavano correndo dietro una gallina ,
da un pagliaio venivano delle grida , due uomini su di una donna lacera,
un uomo , forse un parente , tento' di scansare gli uomini, venne inchiodato da una picca al portone in legno.














" Li vedi .....come urlano e piangono ora?...








Dove erano con le loro tribolazioni quando questi giocavano a strapparci carne dalla schiena...?





................. dovrei compatirli?...


dove erano le loro lacrime quando morivo di fame in cella?.....

dove erano le loro urla quando ci torturaravano?









.....al mondo ognuno piange per se stesso.








...Pieta'.... compassione.... giustizia....ogni cosa a questo mondo è volta a proprio comodo,
e proprio come questa qui' di cui non ricordo il nome ............usata.....violata.....
e gettata via, come non avesse alcun valore.





........ restituire valore alle cose ......

Se no ci si perde dentro un enorme labirinto di consuetudini...



E alla fine , l' unico valore assoluto ........rimane il lato su cui ci si addormenta a sera."















Un uomo irruppe nella stanza.
Si avvicino all' orecchio del generale.



Vestito di tende e drappeggi, incoronato a santo apostata con un tralcio votivo d'uva in fronte,
tra cuscini damascati e ninnoli di giada,
Legio disse semplicemente.








" ....Idioti........"












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Vicvondoom
Non è la mia Vendetta.
Non è la mia Guerra.
Ho dato la Parola ad un Amico...e l'ho mantenuta. Ma è ancora tempo di mantenerla, nulla è ancora compiuto.

Gli schiamazzi, le urla di dolore o di rivalsa, la gente, gli stessi miei commilitoni...non mi riguardano.

L'orgoglio di padre si, quello è gonfio....

Sento prima una voce dentro di me', rabbrividisco sapendo già cosa significhi...ne ho certezza quando le voci diventano
due scandendo all'unisono:

"ilmattinohal'oroinboccailmattinohal'oroinboccailmattinohal'oroinbocca"
Bembe
^^Eccomi qui,

la città vuota ,
e io me ne sto sopra un ceppo ,
guardandomi intorno,pensando a tutto
riguardando nella mente
quei pochi istanti ,
dove l' occhi aspettavano immobili, senza paura
pochi istanti e poi l'ordine
Una fiamma nel buio.
Improvvisa. E il rosso vivido
che percorreva la mia mano
gente cadere come rami secchi
Soldati prima Boriosi poi conigli
è adesso?
adesso mi ritrovo a intagliare questo ceppo
la mia mano
che disegna le cicatrici di un corteccia,
tagli di coltelli,
rughe senza tempo,
si sofferma sul tronco,
ne contorna i tratti con dolcezza,
ne assapora la consistenza,
la resistenza,
, la vita che pulsa
in radici aggrappate alla terra.
quella vita che qui ,non vi è più
Mmm ,

Tra poco il vento si alzerà forte
, spirerà e porterà con se mille nuovi rumori.
Portato da chissà dove, odore di fiume,
odore marcio di acque malate,
odore di ferro insanguinato
è io qui seduto sul ceppo

ma all'improvviso una voce ,
si fece largo nei miei pensieri


^^...Signor Bembe lei è addetto al reperimento di giovani donne,
non mi aspetto le vestali di edirne, ma cerchi di fare del suo meglio.^^

era il mio generale ,
mi girai e senza batter ciglio risposi

^^OBBEDISCO^^

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