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Era mio padre

Tiwaz
Citazione:
Dal profondo della notte che mi avvolge, buia come il pozzo più profondo che va da un polo all'altro, ringrazio quali che siano gli dei per la mia inconquistabile anima. Nella morsa della circostanze, non mi sono tirato indietro, né ho pianto. Sotto i colpi d'ascia della sorte, il mio capo sanguina, ma non si china. Oltre questo luogo di rabbia e lacrime appare minaccioso ma l'orrore delle ombre, e anche la minaccia degli anni non mi trova, e non mi troverà spaventato. Non importa quanto sia stretta la porta... quanto piena di castighi la vita. Io sono il padrone del mio destino. Io sono il capitano della mia anima.



A Tergesteo, compagno di gioco insostituibile, e amico.



Il dolore non ha un peso, in qualsiasi forma esso ti raggiunga, alla fine ti rendi conto solo che certi dolori fanno male più di altri. Il dolore è nostalgia e la nostalgia non fa distinzioni tra vivi e morti.

Mi piaceva questa esistenza priva di radici, mi piaceva l’idea di costruirmi il futuro senza portare con me il fardello del passato.

Tergesteo era mio padre, ma lui stesso mi aveva aiutata a nascondere ciò che ero e a trovare la maschera più adatta alle mie intenzioni. Aveva paura per me, che un padre come lui fosse un fardello pesante da portarsi dietro.

Non voglio il suo nome adesso, mi basta sapere.

Essere me stessa, senza sapere nulla di me, senza preoccuparmi dei pregiudizi.

Non ho vergogna ad ammettere che ho mentito su di me, spesso, per diffidenza, per tutelarmi.

Qualcuno ha detto che non è possibile, per un tempo considerevole, portare una maschera per sé, e un'altra da mostrare agli altri, senza alla fine rimanere perplesso su quale sia quella vera. E’ quello che mi è successo, dopo aver saputo chi ero per davvero, ho preferito continuare ad essere quello che ero diventata.

A chi mi chiederà di Tergesteo, d'ora in poi, io potrò dare sempre la stessa risposta, pesante come una condanna: "era mio padre".

_________________

E' SOLO UN GIOCO!
Leenie
My tongue aould not speak what stirred within me,
And the village thought me a fool.
Yet at the start there was a clear vision,
A high and urgent purpose in my soul
Which drove me on

La mia lingua non riusciva a pronunciare ciò che si agitava dentro di me
e il villaggio mi prese per matto.
Eppure all'inizio c'era una visione chiara,
un alto e urgente proposito nella mia anima
che mi spingeva




Respiravo, finalmente, l’aria addolcita da un pallido raggio di sole invernale.
Davanti a me, il viottolo che portava verso la cittadina e in porto, che degradava sinuoso in discesa in mezzo a macchie di arbusti.
Alle mie spalle, un pesante portone in legno, rinforzato con cardini di metallo. No, non una fortezza, un monastero.
Mi ero alfine risolta, qualche giorno prima, a recarmi in quel luogo, sebbene per me l’Assoluto di una divinità non fosse altro che una parola vuota. Ben altro mi spingeva: la tosse, che non mi dava requie, la febbre, il mio naso gocciolante. Motivi ben più prosaici ma non per questo meno impellenti. E la mia incapacità di restare ferma a letto a curarmi per bene, l’inquietudine mi aveva ripreso. Così, in un certo senso, avevo assoldato i monaci per tenermi ferma.
Ora, lasciavo quel luogo dopo tediosi giorni fatti di rimproveri, immobilità forzata e medicinali disgustosi.

Stringendomi nel mantello mi incamminai verso la città, alla ricerca di calore e compagnia.
Nei giorni precedenti la mia assenza, la febbre mi aveva messo in corpo una strana euforia, addolcendo il mio usuale e cupo umore. Perciò, scherzando, si dissero tutti dispiaciuti che fossi guarita. Tutti, meno uno, che mancava all’appello.

Inizialmente, non mi preoccupai, capitava che sparisse anche per più giorni di fila.
Ma poi la mia inquietudine crebbe, non saprei spiegare il motivo.
Mi misi a cercarlo, e infine, seguendo certe indicazioni datemi dai contadini della zona, in un italiano stentato, giunsi ad un capanno poco fuori dall’abitato.
Bussai, ma non ci fu risposta.
Allora, cautamente, spinsi il battente ed entrai.

Non ero preparata a ciò che mi si parò davanti. La stanza era in un disordine incredibile, il povero mobilio ridotto a pezzi scheggiati. Feci qualche passo all’interno e…

Tu non sei Lei! Che ci fai qui?

Mi ritrovai sbattuta contro una parete, tenuta saldamente per le braccia.

L..lei?

Chi mi aveva spinto contro il muro non era l’uomo che conoscevo: barba lunga, capelli arruffati, e una luce insana negli occhi.

Sì, Lei, mi ha chiamato, ho sentito la sua voce!

Mi lasciò andare all’improvviso e si mise a camminare febbrilmente per la stanza. Avevo una vaga idea di ciò a cui si riferiva. E quello non era il Tergesteo che io conoscevo; per la prima volta, avevo davvero davanti il Folle. Rividi, con l’occhio della mente, l’uomo gentile che aveva mostrato tanta comprensione per i miei incubi, sulla strada per Massa, tanti mesi prima.
Mi si fermò di nuovo di fronte:

Vattene, prima che succeda qualcosa d’irreparabile.


Ciò che avvenne in seguito lo scrissi in una lettera concitata che feci recapitare a Venezia in tutta fretta, sgualcita e con l’inchiostro sbavato:






…Tiwi, non so davvero che fare, vorrei che tu fossi qui, sono certa che gli farebbe bene.
Se solo tu fossi arrivata prima, se solo io fossi tornata prima.
Affrettati, per favore, abbiamo bisogno di te!
Gli sprazzi in questo mondo sono sempre più rari, e nel suo non riusciamo a raggiungerlo.
Facciamo i turni per tenerlo d’occhio, ma di più non possiamo fare.
Mi sento impotente, e temo per lui, per la sua vita, per le sciocchezze che potrebbe fare. Davvero, se solo tu fossi qui…


_________________
Ilsebill
Me sto in Svizera da molto oramai, che le me ferite, ancora non si g'hanno riprese.

Pesco, tanto par cambiare, "pesccèr" dicono sti qui che ala fin de la fine, non parlan tanto diverso da noialtri. Me magno gran ceste d'uva, che qui le costa meno de la verdura, o li pesci che pesco, quando non li vendo.
M'ho pure stufata. Non posso partire, muoverme, difendere, assaltar lo municipio, gnente de gnente finché l'omo dell'ospitale non me ci dirà Ilsebill, sei guarita.

Ora che non sto bene per viaggiare, o per far altro, mi piglia 'na melancolia, 'na nostalgia, che mi pare mi vada di male il core come li pesci quando l'abbandoni lì per giorni, che spussano tutti e l'aria s'appesta.
E allora comincio a pensare ai ricordi che ho, e me pare cosa strana: la vita mia normale è sempre stata con poco tempo ai ricordi, c'è solo l'adesso e quel che sto facendo nel momento. Non m'è mai piaciuto star a pensare, ed ora invece son sempre a pensare come i filofosi, o come si chiamano.

Anche prima de la partenza per qui avevo melanconia e nostalgia fortissima d'azione.
Era per quello ch'ero venuta in Isvizera. C'era un gruppo di rebelli che aveva preso na città. Volevo essere con loro.
Era per la sfida, volevo 'naltra sfida al potere, e loro andaveno contro la Chiesa.
Io volevo 'n altra sfida grande, dopo che avevamo sfidato lo'mperatore colla Brigata Fantasma.

Avevam preso a capo un omo tutto negro, di capelli e vesti e sguardo, e dentro pure: che quando parlava, o quando rideva persino, era come se c'avesse avuto in dentro l'animo un mare negrissimo e fondo.
Tergesteo si chiamava. Avevam deciso che era lui che decideva.
Io a dir la verità non avevo deciso gnente. Come al solito. Ma a me non m'importa decidere, io scelgo solo che fare o che no di quel che fo io, dove andare, chi seguire, se scappare per li fatti miei.
Lui però me piaceva di seguirlo. Non so che aveva fatto prima, prima che c'eravamo incontrati dico, ma non c'importava chi eri o se avevi terre, lì c'era solo quel che c'era da fare, prepara l'armi, sei pronto? s'attacca domani. Tutti sotto le mura e pronti, che stanotte prendiam lo municipio. Domani processo all'Imperatore. Noi, piccolini, contro lui, così grande e potente. Ma stavolta vincerem noi. Così dicevamo, cogli occhi brillanti di contentezza.

Poi alla fuga da Nims di nuovo divisi. Loro andavano chi sa dove, ma lì non c'avevano sfide per me, non quelle che volevo io, andavan da amici. Non soltanto a bere birre, sicuro, ma io volevo una strada mia, una sfida mia, voglio anch'io fra qualche anni avere quel color negro in fondo allo sguardo, come c'aveva lui. Una volta ho pensato, che avrà fatto mai quest'omo, pare che sta nel mondo dei folli tante volte, pare che sta in un altro mondo. Vorrei vedere pur'io sto mondo.

Poi c'era anche Tiwaz. Lei, io la vedevo a Massa prima che ritrovarla colla brigata, e a rivederla m'ha fatto tanta contentezza, m'ero trovata bene. A vederli assieme, a lei e Tergesteo, loro c'avevan qualcosa di simile... e poi mentre si facevan i piani d'assalto, lui era più buio che sempre, lei invece pareva una luce.
Non so s'eran parenti, ma un po' me pareva.
Non m'han mai parlato di che facevano prima di incontrarci.

Chissà dove sono 'sti due, ora. Qui non arrivano notizie, ma stanotte ho fatto un brutto sogno, che m'ho dimenticato appena sveglia: però m'è rimasto qualcosa, che da stamane penso a loro e son inquieta.
Dove siete, compagni d'avventura? E Liriel che mi volevi sempre lavare? Sai che all'ospedale qui m'han lavata quando m'han raccolta mezza cadavere, collo scudo distrutto e rossa di sangue da capo a piedi... ma ora che ricomincio ad andar a pesca di nuovo odoro di pesci come prima.
Mi piacerìa ritrovarvi e combinarne un'altra de le belle. Abbiamo 'n altra sfida da fare insieme? Io voglio si, ma sento come una spina che dice no, che qualcuno manca...

Ora devo smettere di parlar a mezza voce in mezzo al lago. Me piglieranno per matta, sti Elvezici, o Svizzeri. Smettila, smettila Ilsebill!

_________________
Manntje, Manntje, Timpe Te,
Buttje, Buttje in der See,
myne Fru de Ilsebill
will nich so, as ik wol will.
Tiwaz
Una lettera.

I miei amici sanno che sono qui, ma una lettera…

Un tempo neanche troppo lontano attendevo con ansia le lettere di Dean, ma lui è morto, non mi scriverà più, e l’ultima lettera che ho ricevuto… magari no non era l’ultima, ma l’ultima di cui ho memoria mi comunicava che non avrei più ricevuto lettere di Dean.


"Ce ne sono state altre, ricorda Tiw".

E' vero, le ultime lettere sono state di mio padre che voleva raggiungermi. Lettere sempre più confuse. E adesso mi manca e vorrei avergli dato una risposta diversa. Ricordare fa male, mi sistemo meglio nel mio giaciglio.

Vorrei non saper leggere.

Basta dolore, basta emozioni, voglio restare a Venezia da sola. Non mi piace questa città, non mi piace il modo in cui ti danno addosso solo perché hai voluto esprimere un parere. Non voglio più amici, non voglio più dover aprire lettere.

La rigiro tra le mani e non mi decido a rompere il sigillo.


“Madonna Tiwaz siete impallidita, eppure ancora non l’avete aperta, aspettavate brutte notizie?”

La voce è della figlia della donna che mi affitta una stanza nella sua locanda.

Mi ha portato la lettera, non accenna ad andar via.


“Mia giovane ospite, le ferite che ancora reco addosso prima o poi guariranno, ma le ferite dell’anima sanguinano incessantemente e si alimentano dai miei incubi”

Il suo sguardo perplesso addosso.

Le spiego, o ci provo, decido che merita la mia sincerità.

“Non riesco ad aprirla perché ho paura di quel che leggerò".

Ho la sua comprensione.

"Puoi farlo tu per me? Magari sentendole da una voce che non è la mia spezzerò l’incantesimo e trasformerò il brutto in bello“ mi sforzo di sorriderle.

Una voce incerta spazza via il dubbio e mi fa ripiombare nell’incubo.


Citazione:
“…Tiwi, non so davvero che fare, vorrei che tu fossi qui, sono certa che gli farebbe bene.
Se solo tu fossi arrivata prima, se solo io fossi tornata prima.
Affrettati, per favore, abbiamo bisogno di te!
Gli sprazzi in questo mondo sono sempre più rari, e nel suo non riusciamo a raggiungerlo.
Facciamo i turni per tenerlo d’occhio, ma di più non possiamo fare.
Mi sento impotente, e temo per lui, per la sua vita, per le sciocchezze che potrebbe fare. Davvero, se solo tu fossi qui… “


Respiro affannosamente.

“Che data riporta?”

“Quella di dieci giorni fa”


Scuoto la testa sconfitta.

“E’ tardi, è finita” mormoro.

“Cosa dite? Il dottore ha detto che vi rimetterete entro un paio di settimane, poi potrete viaggiare”.

Giovane e ottimista, come me pochi mesi prima. Prima di sapere che la gente ha il brutto vizio di morire e di abbandonarti senza darti il tempo o la possibilità di fermarla.

“E’ tardi, per favore, lasciami sola, tra un’ora vieni a prendere la mia risposta, ti farò sapere come farla recapitare”

Lei esce io raggiungo a fatica lo scrittoio.



“Liriel, quando sono rimasta ferita e mi hanno portata a Venezia tra la vita e la morte ho creduto davvero che fosse tutto finito, ma quando ho capito che sarei guarita e sono stata in grado di scrivere ho rassicurato Tergesteo e l'ho convinto a non raggiungermi, nonostante la sua iniziale ritrosia.

Non sapeva dove fossi finita, un momento prima ero con lui, un attimo dopo mi sono ritrovata circondata da uomini armati, sola contro tutti.

Immaginavo la sua disperazione nel credermi perduta. Oggi mi dispero per non aver accettato le sue cure e la sua vicinanza.

Credo che questo incidente lo abbia definitivamente fiaccato nello spirito, nella sua ultima lettera nulla era chiaro o comprensibile, sto male per lui da allora, ma non posso muovermi da questo letto se non per brevi passeggiate e la sera crollo anzitempo in un sonno buio e senza sogni.

Liriel, amica mia, lo so che è tardi e che il senno che egli aveva faticosamente riacquistato dopo un lungo percorso ormai è perduto. Ho sempre saputo che lui apparteneva ai suoi ricordi, eppure mi sono illusa che la mia vicinanza gli fosse di conforto, e certe sere quando parlava con qualcuno che non c’era l’ho visto irrimediabilmente andar via lontano, verso altre battaglie che non poteva vincere. E’ già venuta a prenderlo la bionda signora? Me ne ha parlato talvolta, quando non ne ha potuto fare a meno. Mi ha detto che era bionda, bellissima e ubriaca. E’ così che immagino la morte. Non giudicarmi cinica, non mi illudo più, ho sempre saputo che prima o poi avrebbe finito col seguirla. Prego solo che non abbia sofferto.

Tiwaz”

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E' SOLO UN GIOCO!
Leenie
Il Tempo è dono della Follia.



Distingueva ancora le ore del giorno? Ne dubitavo fortemente.
Dato che non c’era verso di schiodare Tergesteo da quel capanno ai limitari del bosco, ci avvicendavamo nel sorvegliarlo. L’ultima volta che c’ero stata, ed era pieno pomeriggio, aveva dormito tutto il tempo ma gli altri mi avevano riferito che passava da momenti di cupa immobilità ad altri di forsennata e insensata attività: scriveva, parlava con qualcuno che non c’era, nel cuore della notte perfino.
Mi domandavo angustiata se fosse il caso di riportarlo a forza in città, e tenercelo bloccato in qualche modo, ma me ne mancava il coraggio.

Che devo fare? – mi ripetevo sconsolata scuotendo il capo. Ho sempre detestato sentirmi impotente, per questo, quando la mia balia mi insegnava l’uso delle erbe, ascoltavo con attenzione e imparavo volentieri. Mi dava l’idea di poter fare qualcosa di utile per chi mi è caro.
E ora mi trovavo invece nella desolante posizione di non poter fare nulla. Speravo solo che la mia lettera raggiungesse Tiwaz il più presto possibile, e che lei stessa fosse in arrivo, nessuno aveva fatto a tempo a spiegarmi perché non era lì con noi, e il fatto che fosse a Venezia era l’unica cosa sensata che ero riuscita a cavare di bocca a Tergesteo, qualche giorno prima.
Infine, la stanchezza mi vinse, e andai a casa a riposarmi qualche ora.

Quando mi svegliai, mi catapultai di nuovo lì, mi sentivo tremendamente in colpa per ogni momento che passavo lontana.
E i miei peggiori timori si materializzarono davanti ai miei occhi: la porta del capanno era spalancata e correndo all’interno, trovai stordito e sanguinante sul pavimento il compagno che mi aveva sostituito.
Febbrilmente, corsi al pozzo che era lì vicino, e tornai per cercare di rianimarlo. Aveva solo un taglio in testa contro cui premetti il mio fazzoletto bagnato. Appena si riebbe, confermò i miei sospetti:

Mi ha aggredito alle spalle… all’improvviso… aveva la forza di tre uomini… non ho potuto fermarlo… ahio, la mia testa… il cavallo! Ha preso il mio cavallo!

In effetti per fare più in fretta anche io venivo di solito a cavallo.
Issai il ragazzo perciò a fatica sul mio e lo riportai in città, tenendo la bestia per la cavezza.

Su, su, che hai la testaccia dura, non ti servono nemmeno punti. Le ferite alla testa sono infide, sanguinano molto… Ti fai una bella dormita, e domani sarai come nuovo, a parte il mal di testa, forse. Quello che importa ora è ritrovare Terge, chissà che sciocchezze potrebbe commettere da solo in giro di notte. Guarda, sta calando il buio! Mannaggia a lui, mai che per fare una passeggiata per il bosco scelga mezzogiorno!

Parole lievi contro il mio animo greve.

Avrei dovuto legarlo al letto, maledizione!
Non essere sciocca, Costanza, speravi sempre che tornasse in sé, e trattarlo in quel modo non gli avrebbe certo giovato, ti dicevi!
Sì ma ora non sarebbe disperso chissà dove…


Tornata che fui in città, organizzammo squadre di uomini con le lanterne.
Lo cercammo per tutta la notte, invano.
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--Lafolliaditergesteo
Andiamo?

Dove mi porti?

Credevo avessi smesso di farmi domande.

Hai ragione, ti seguo capo.

Sai bene che andiamo da lei.

Aspettavo da tanto che me lo dicessi, ma così? Dovrei almeno radere questa barba.

Non credo che la noterà.

Credevo fossi tu prima, poi è arrivata la ragazza. Non le volevo fare male ma credevo saresti andata via senza parlarmi, lo fai sempre quando non sono solo.

Non mi piace la gente, lo sai, guardano il dito ... sempre e solo il dito ... e la luna è così bella.

Guardare il dito è una pessima abitudine, ho provato a dirlo, ma sono stato preso per folle.

Credevo avessimo superato anche questo, tu non sei folle Tergesteo, sei solo, e gli uomini soli fanno cose strane, come i bambini. La solitudine è uno spazio così vasto che anche se ti circondi di persone non accenna a riempirsi.

Ti sembro un bambino?

Lo sei, quando impugni la tua spada e alzi bandiera nera, o quando tenti di spiegare alla gente cose talmente ovvie da poter essere intese solo da chi non ha la malizia dell’adulto.

Tu sei reale?

Lo sono come tutte quelle persone che ami ma che non stanno mai ferme, e ti spiazzano perché per quanto ti sforzi di rispettare i loro spazi ti ritrovi inesorabilmente a parlare da solo. Chi ti osserva non può sapere che il tuo interlocutore è andato via senza avvisare. Hai sostituito le loro fughe con lunghe chiacchierate con un posto vuoto, ma non è follia non rassegnarsi ad essere abbandonato.

Basta parlare, è l’ora. Lo senti? Ti ha portato un cavallo, è quello che ci serviva.


Tergesteo ci sei?

Eccoli, vengono a controllarmi, mi portano da mangiare, mi trattano come se fossi un folle … o un bambino.

Tergesteo, con chi stai parlando?

Con lei, non la vedi?

Sei da solo qui … mi prendi in giro?

Dice che mi hai portato un cavallo.

Ti ho portato da mangiare e anche un cambio, il cavallo che hai sentito è il mio.

Sarà bene che io mi cambi, lei non deve vedermi così.

Lei? La donna con cui … stavi parlando?

È ancora qui anche se ci sei tu, perché mi deve portare da lei. Ti farò riavere il cavallo, perdonami …
--Cerchezlafemme
La giovane albanese sta cavalcando spensierata, la partenza è imminente, potrebbe non rivedere la sua città mai più, cerca di memorizzare ogni casa, ogni albero, ogni volto.

Il cavallo le passa davanti a velocità sostenuta, a malapena ne riconosce il cavaliere, ma le sembra che abbracci il cavallo e che non ne abbia il controllo.

Non ha tempo di pensare, istintivamente si dice che deve fermarlo.

Stringe le redini, si lancia all’inseguimento. Lehze si allontana alle sue spalle, ma la corsa continua senza soste. Il suo cavallo non è abbastanza veloce, la distanza tra loro non accenna a diminuire. Vorrebbe provare ad affiancarlo, urla, chiama, ma il cavaliere non sembra sentirla. Magari ha paura, magari è svenuto.

All’improvviso la bestia che la precede si impenna. Una presenza invisibile contro cui sembra provare a non scontrarsi. Disarciona il cavaliere e scappa via come in preda al terrore.

La ragazza assiste impotente alla scena, ferma il suo cavallo e si precipita a soccorrere l’uomo. Adesso lo vede bene in volto, anche se il sangue lo copre in parte, è Tergesteo, lo ha incontrato in taverna, un paio di volte, è amico di Legio.

Prova ad aiutarlo, ma non riesce a capire neppure se respira. Si abbassa, fino a sedersi a terra. Quando gli solleva la testa per mettersela in grembo il movimento innaturale del collo le palesa la drammatica realtà: Tergesteo è morto.

L’uomo sorride, non si è accorto di nulla. Cer lo veglia per alcuni interminabili minuti, gli carezza i capelli, gli bacia la fronte come faceva con lei la madre quando non riusciva a consolarla, poi si alza, si toglie il mantello, copre il corpo disteso a terra, come se la morte necessitasse di pudore, risale sul proprio cavallo e si allontana, dapprima lentamente poi lanciando il cavallo al galoppo.

Spalanca la porta della taverna. Gli avventori smettono di parlare. Indossano tutti le loro sporte e le loro armi, pronti a partire.


“Ho bisogno di parlare con Legio” la voce è strozzata, fa fatica a uscire.

La conducono da lui.

“C’è stato un incidente, Tergesteo è caduto da cavallo. Non ho potuto fare niente per lui, mi dispiace” china la testa dispiaciuta.
Leenie
Cosa si deve fare quando un uomo muore?
A parte piangerlo, non intendo quello.
Quello lo avevo fatto abbondantemente, come si poteva notare dal mio fazzoletto e dalle maniche zuppi, e dai miei occhi.
Intendo dire proprio dal punto di vista materiale.

Non riuscivo a fare nulla, seduta su quel che restava di una sedia nell’antro di Tergesteo. Lui era lì, pareva dormisse, ci regalava l’ultimo dei tanti mezzi sorrisi. Qualcuno, grazie al cielo, gli aveva già chiuso gli occhi e ora pareva mi scrutasse attraverso le palpebre con quell’espressione insieme placida e beffarda.
Qualcun altro, tra gli uomini di Legio, forse gli stessi che lo avevano riportato indietro, avrebbe provveduto al resto. Lavarlo, rasargli il volto, comporlo nella bara ordinata frettolosamente. Mi veniva un moto di stomaco solo a pensarci, e continuavo a rimandare il mio dovere.

Non volevo che le sue cose venissero frugate da qualche estraneo, e avevo chiesto di essere lasciata sola mentre lo facevo.
In tasca avevo la missiva di Tiwaz, giunta poco prima, per un sadico scherzo del destino, pareva quasi che bruciasse, e non osavo aprirla.

Con le mani che mi tremavano e la vista ancora offuscata, mi chinai su di lui e frugai delicatamente nelle tasche della giubba. A parte pochi spicci, trovai una pergamena.

Lasciai dunque che gli altri entrassero e proseguissero quello che io non avevo il coraggio di fare, dare a Tergesteo la sua ultima forma terrena.
Mi appartai e lessi. La grafia decisa di Tergesteo era insolitamente nidita, considerando lo stato della sua mente negli ultimi tempi. Doveva aver raccolto, pazientemente, tutti gli istanti di lucidità per comporre quello scritto. Ma a quale scopo?





Lezhe.

scrivere non serve a comunicare con altri.
serve a fissare le idee, a parlare a se stessi.

Un'ombra nera si addensa, il tempo passa, la mia volontà , lentamente , vacilla.
E' passato troppo tempo dal cappio di Modena.
Non riesco a dimenticare.
La foga dei combattimenti mi lenisce un poco il dolore, ma per poco.
Imbracciamo le armi per guarire - o tentare di farlo - ferite passate, non per infliggerne ad altri.

Un assalto si approssima. Spero sia l'ultimo.
Sono lontano dalla mia gente.
Lontani dai miei Porcelli, lontano dai miei Fantasmi.
E' piacevole pensare che all'inizio e alla fine della vita ho potuto combattere al fianco di fratelli.

I Porcelli, di fatto, non sono più.
Ai Fantasmi comando : non disperdetevi.
Per ognuno di noi che muore, ne sorgeranno altri 100.
Sempre se il numero conta qualcosa.
Non disperdetevi.
Radunatevi e combattete come mai avete fatto.
Nel nome di quello che la Brigata è e di quanto rappresenta.
La lotta prosegue.
Senza quartiere, continua, imprevedibile.
Noi siamo della stessa sostanza di cui son fatti gli incubi.

Lascio tanti amici, qualche nemico, pochi - credo - sprezzanti.
Con tanti mi sono accomiatato, con alcuni non l'ho fatto e me ne dolgo.
Possa il mio saluto e il mio incoraggiamento giungere a Jun,Ippolita e William.
E a tutti i Porcelli , ma a loro in particolare.

Possa la mia voce giungere alla mia famiglia, a mio padre e alle mie figlie.
Penso alla dolce Lilih in particolare che tanto ha sofferto , abbandonata dal padre per inseguire la propria follia.
Scusa figliola.

Penso alla piccola Tiw.
Pochi sanno, mia dolce figliola, che sei sangue del mio sangue.
Abbiamo voluto serbare per quanto possibile il segreto, che tanto ci ha pesato.
Ora, credo, sei libera : con me morto, nessun pericolo puoi temere.
Esultino i nemici.
Tanti , pochi? Non so.
Alcuni mi sono rimasti nella mente.

Non vedrò una nuova alba.
Non me ne dolgo.
So quello che lascio, attendo quello che troverò.
Troverò la mia Danith, finalmente.
In fondo questo ho cercato e voluto.
Il fine della mia vita è una promessa.

Chiedo all'ignoto scopritore di questa lettera, di frugare il mio cadavere un cerca di oro ed armi, con le quali pagarsi l'atto di pietà di portare la mia fredda carne a Fornovo.
Portatemi là.
Portatemi a casa.
Portatemi da lei.

Io mi fermo. La battaglia però continua.
Finché vedremo sorgere uomini e guerrieri e farsi spazio tra miseri politici, miseri fuorilegge, miseri soldati.

Non abbiate pietà per il misero.




Il sospetto che avevo sempre avuto si cristallizzò in un’atroce certezza.
Estrassi la missiva di Tiwaz e ne strappai i sigilli, febbrilmente, galoppando sulle parole. Boccheggiai.

Tiwaz…. E Tergesteo… ma allora…
Fu come un pugno in pieno petto, e la veloce sequenza di immagini che credevo sepolte nella mia memoria mi tolse il fiato.

Mio padre nella bara.
Mia madre piange sorretta da mio fratello.
Mia sorella piange e io la abbraccio.
Io non piango.

E Tiwi, che non piange mai…

Tergesteo già mi manca. Mi manca il suo sorriso gentile, la sua voce persuasiva, quel suo essere un riferimento per noi tutti senza dover fare nulla di particolare per imporsi. Quel lampo nero negli occhi nell’impeto dell’assalto. Quel suo preoccuparsi sempre per tutti. I suoi silenzi, e le sue parole. La stessa follia che ora ce l’ha portato via, lo rendeva in grado di creare bellissimi arazzi di parole.

Ma sto divagando, e ho un dovere da compiere.


Mi alzai stancamente e andai allo scrittoio, asciugandomi gli occhi col dorso della mano.
Tergesteo sapeva. Tiwi sapeva. Solo io da stupida non sapevo e credevo di poterlo fermare. Ma sua figlia attendeva notizie, la Brigata doveva sapere. E dunque con mano ancora tremante ricopiai le ultime parole savie del Folle, e vergai i due biglietti di accompagnamento:




Tiwi, carissima.
Ti scrivo per confermarti quello che in cuor tuo già sapevi. Anche lui lo sapeva. Come, non oso immaginarlo. La fine è arrivata senza che se ne avvedesse, è morto sorridendo, cadendo da cavallo mentre fuggiva da sé stesso.
Vorrei tanto poter esserti vicino, vorrei tanto che tu potessi essergli vicino. Quando mio padre è morto, ero più giovane di te, dunque non credere che non sappia cosa vuol dire, anche se stenterai a crederlo.
Ora, ascoltami attentamente, è importante. Ti prego di non fare niente di avventato. Non voglio perdere anche te, o saperti in giro da sola non ancora ristabilita. Aspetta lì dove sei, hai la mia parola che in qualche modo potrai dare un ultimo saluto a tuo padre. Ti prego Tiwi, una tomba è già troppo.
Ti allego il suo ultimo scritto, ne ho fatto una copia per timore che andasse perduto. L’originale te lo darò quando potrò riabbracciarti.
Ti voglio bene

Liriel






A tutti i membri della Brigata Fantasma,
indirizzo questa mia a coloro che so impegnati nella crociata, il mio pensiero va a voi tutti.
E’ con la morte nel cuore che vi comunico che il nostro Tergesteo ha lasciato questo mondo. La stessa Follia che lo accompagnava da sempre ed era per lui dono e maledizione, ce lo ha infine portato via.
I nobili fra voi mi perdoneranno se il mio tratto è incerto e scarne le parole. Potrei forse trovare stile migliore se non fosse per il dolore che quanto vi scrivo ha portato anche a me.
Vi mando una copia del suo ultimo scritto. Appena possibile raggiungerò Tiwaz a Venezia e la accompagnerò a Fornovo. Il perché vi sarà chiaro leggendo.
Invidio quanti di voi riusciranno a credere che il nostro amico sia in un luogo migliore. Io oltre l’Abisso non vedo nulla. Spero riusciremo ad essere all’altezza delle sue aspettative.

Liriel

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Morphea




Ci sono persone che lasciano un segno... altri ne lasciano molti di più.
Possono farlo semplicemente spalancando la porta di una bettola, o richiudendola... possono arrivare quando hai bisogno di loro, solo perchè glielo chiedi... possono piombare nella tua vita, anche se non penseresti mai di incontrarle. Ci sono persone che ti insegnano tanto e non hanno paura di ammettere quando si sbagliano.
Ci sono persone che hanno il coraggio di essere quello che sono e non si nascondo mai, anche a costo di dire o fare cose sbagliate.

Lui c'era.

Lui è piombato improvvisamente tra noi, trascinandosi dietro le fiamme dell'inferno e la sua follia. Quella follia in cui spesso ci trovavamo, le fiamme tra cui danzavamo spesso da soli in attesa di una fine certa.


Questa non è la sua danza, questa non è la sua morte.
La sua follia non avrà mai degna sepoltura... e la sua spada non avrà mai giustizia.

Nessun saluto...
Nessuna battaglia...
Lontano da Fornovo...
Lontano dalla sua Danith....
Lontano da quella spada piantata tra le rocce....

E' lì che ti porteranno, ma so per certo che non avresti voluto andarci così....





Mi mancherai Terg... mi mancherai....




Chikka
La notizia giunse a Pisa. Fu facile ricordare l' incontro con lui, proprio lì, proprio a Pisa. Che il destino a volte, ci mandi dei segnali? Era seduto in taverna, tra le sue figlie, lo ricordava così, un uomo con stile. Lo stile ce l' hai, o non ce l' hai, non lo trovi al mercato come un pezzo di formaggio. Non si inventa, non si impara.

Ci vuole stile nella vita, qualunque cosa tu faccia, ci vuole stile.

Ci vuole stile nella morte.

Senza Tergesteo, questo mondo non sarà più lo stesso.

Addio..

Pensò tra le lacrime.
Pierluigi68
La taverna è chiusa ed oramai abbandonata, non c'è quasi più nulla, appunto quasi.
Prendo il bicchiere che ho portato da casa, riempito con l'acqua del pozzo, lo alzo e in un attimo ricordo le parole :

Requiem aeternam dona eis, Domine; In memoria aeterna erit iustus ab auditione mala non timebit. Absolve Domine animas omnium fidelium defunctorum ab omno vinculo delictorum et gratia tua illis succurente mereantur evadere iudicium ultionis, et lucis aeternae beatitudine perfrui.


Bevo, apro la porta ed esco, prima di richiudere a chiave, pronuncio :

Ite, missa est
_________________
Tiwaz
Non è facile ammettere che la persona che ci teneva ancorati a questa vita non esiste più.

La lettera di Liriel giace sullo scrittoio, aperta, fissa il soffitto, come me, da quando l'ho aperta.

Guardo l'aria cercando risposte nelle crepe del soffitto.

Lilih, Jun, Ippolita,William … li ha nominati lui, devo scrivergli, devo avvisarli, devo avvisare le mie sorelle, e il nonno.

Chissà perché queste persone, che un tempo avrebbero significato qualcosa e che in alcuni casi sono state importanti, adesso sono solo nomi che faticano a diventare volti.

E mi rendo conto che la mia sofferenza adesso è costellata dalle loro assenze.

La solitudine è la migliore cura per il dolore, perché non ti obbliga a mantenere un comportamento dignitoso con chi ti circonda. Nella solitudine puoi mortificare il corpo e l’anima lontano dai giudizi e dalla commiserazione altrui.

Cerco di ordinare le idee, anche se Tergesteo non vorrebbe non può pretendere che la sua morte transiti indenne e passi senza che chi gli ha voluto bene abbia modo di accorgersi che lui non c’è più per loro.

La prima lettera, a chi l’onere della prima lettera?

Il tempo scorre al contrario adesso, mi rivedo bambina, addormentata sulla sedia mentre colei che chiamo con confidenza zia continua a rimproverarmi per essere stata maleducata in taverna e per aver preso il suo cavallo senza permesso.




Mia cara zia Ippolita, mio caro fratello William,

ho disimparato col tempo a scrivervi perché quello che avrei potuto raccontarvi avrebbe finito col causarvi l’ennesima delusione. Non sono mai stata una nipote o una sorella putativa diligente e me ne dolgo, ma quel poco di educazione che ho raggiunto lo devo alle vostre insistenze e alle vostre punizioni.

Non posso fare a meno di vergare questa lettera, la piuma fa fatica a scorrere ma sento che se non lo faccio adesso il peso che porto dentro mi trascinerà a fondo e finirei col rinunciare a comunicarvelo, pur di risparmiarvi una tale sofferenza e a vivere pur di risparmiarla a me medesima.

Tergesteo è morto in Albania. Ha avuto una delle sue solite crisi, ma stavolta non c’era nessuno di noi con lui per fermarlo. E’ salito a cavallo … è stato disarcionato, o è caduto … non saprei. Non ha sofferto mi hanno riferito.

Aveva una lettera con sé, gli ultimi pensieri sono andati anche a voi, a Jun e a tutti i Porcelli Mannari. L’ho ricopiata, potreste fare in modo che anche gli altri suoi amici sappiano e leggano le sue ultime parole?

Resterò a Venezia per ora, dopo non so, devo cambiare tutto, deve cambiare tutto.

Vi abbraccio, Tiw


Da ore resto immobile, aspettando un segnale, un’altra lettera, tenere tutto dentro, o continuare a elargire dolore a piene mani. L'onda benefica delle lacrime non giunge ad annegare i miei demoni.

Il padre di mio padre, le mie sorelle, la mia famiglia. Anche a loro devo una notizia e una spiegazione.




Generale Swantz,

o forse dovrei chiamarvi nonno. So che Tergesteo vi ha detto di me, del rapporto che ci legava. Mi avete aperto le porte della vostra casa e di questo vi sono grata, non ho mai usato il vostro nome ma sapere di avere una famiglia mi è di conforto in momenti come questo.

Vostro figlio, mio padre, è morto.

E’ stato un incidente, si trovava in Albania ad inseguire la sua libertà, è caduto da cavallo, non so altro. La persona che mi ha comunicato tale ferale notizia mi ha fatto avere copia di un suo scritto, credo di farvi cosa gradita nell’allegarlo a questa lettera. Vogliate avvisare voi le vostre nipoti, se avrete bisogno di me mi troverete a Venezia, per ancora un mese credo, potrete indirizzare la missiva al sindaco che me la farà avere.

I miei rispetti, Tiwaz


Adesso il dolore si sarebbe sparso in maniera incontrollabile.

In allegato a entrambe le lettere quello scritto che a tratti consola e a tratti svilisce.




Lezhe.

scrivere non serve a comunicare con altri.
serve a fissare le idee, a parlare a se stessi.

Un'ombra nera si addensa, il tempo passa, la mia volontà , lentamente , vacilla.
E' passato troppo tempo dal cappio di Modena.
Non riesco a dimenticare.
La foga dei combattimenti mi lenisce un poco il dolore, ma per poco.
Imbracciamo le armi per guarire - o tentare di farlo - ferite passate, non per infliggerne ad altri.

Un assalto si approssima. Spero sia l'ultimo.
Sono lontano dalla mia gente.
Lontani dai miei Porcelli, lontano dai miei Fantasmi.
E' piacevole pensare che all'inizio e alla fine della vita ho potuto combattere al fianco di fratelli.

I Porcelli, di fatto, non sono più.
Ai Fantasmi comando : non disperdetevi.
Per ognuno di noi che muore, ne sorgeranno altri 100.
Sempre se il numero conta qualcosa.
Non disperdetevi.
Radunatevi e combattete come mai avete fatto.
Nel nome di quello che la Brigata è e di quanto rappresenta.
La lotta prosegue.
Senza quartiere, continua, imprevedibile.
Noi siamo della stessa sostanza di cui son fatti gli incubi.

Lascio tanti amici, qualche nemico, pochi - credo - sprezzanti.
Con tanti mi sono accomiatato, con alcuni non l'ho fatto e me ne dolgo.
Possa il mio saluto e il mio incoraggiamento giungere a Jun,Ippolita e William.
E a tutti i Porcelli , ma a loro in particolare.

Possa la mia voce giungere alla mia famiglia, a mio padre e alle mie figlie.
Penso alla dolce Lilih in particolare che tanto ha sofferto , abbandonata dal padre per inseguire la propria follia.
Scusa figliola.

Penso alla piccola Tiw.
Pochi sanno, mia dolce figliola, che sei sangue del mio sangue.
Abbiamo voluto serbare per quanto possibile il segreto, che tanto ci ha pesato.
Ora, credo, sei libera : con me morto, nessun pericolo puoi temere.
Esultino i nemici.
Tanti , pochi? Non so.
Alcuni mi sono rimasti nella mente.

Non vedrò una nuova alba.
Non me ne dolgo.
So quello che lascio, attendo quello che troverò.
Troverò la mia Danith, finalmente.
In fondo questo ho cercato e voluto.
Il fine della mia vita è una promessa.

Chiedo all'ignoto scopritore di questa lettera, di frugare il mio cadavere un cerca di oro ed armi, con le quali pagarsi l'atto di pietà di portare la mia fredda carne a Fornovo.
Portatemi là.
Portatemi a casa.
Portatemi da lei.

Io mi fermo. La battaglia però continua.
Finché vedremo sorgere uomini e guerrieri e farsi spazio tra miseri politici, miseri fuorilegge, miseri soldati.

Non abbiate pietà per il misero.

_________________

E' SOLO UN GIOCO!
F.petrus


Arrivò d'improvviso, come i temporali d'estate.
Non fece nulla per annunciarsi, solo l'umidità lieve, solo la tensione elettrica nell'aria, le avvisaglie allegramente ignorate.


"Cara mia, io sono arrivato a dieci. Hai per caso fatto di meglio?"

Prima che la Contessa Eriti potesse replicare, la porta tuonò ed un messo irruppe con tranquillità.
Chiese della Brigata Fantasma, e il loro tavolo alzò mani e voci per rispondere.
Felice della fortunata casualità, il messo consegnò loro alcune missive e se ne andò.

E aprirono la lettera inviata da Liriel, la loro compagna in Albania.
Alcuni pensavano che si sarebbe lamentata dell'inattività e della stasi nei pressi di Lezhe.
O forse pensavano che si trattasse di qualche comunicazione urgente, mobilitazione, avviso, comando.
O altre immagini come l'estiva illusione delle quattro gocce.

Lessero le poche parole di Liriel, scarne di desolazione e svuotate da pianto.
Lessero il lascito di Tergesteo Barbarigo.

Ferenç Petrus pensò a quanto poco lo avesse conosciuto.
Poche parole, pizzichi di facezie, collane di pochi istanti allora consueti, oggi essenziali.

Scossi come campo di grano dall'acquazzone impietoso, come albero giovane dal vento impetuoso, i compagni della Brigata Fantasma ristettero per qualche interminabile istante.

Ferenç Petrus uscì fuori. Notò che la serata era serena e s'indignò.
Prese a camminare sotto un viale deserto e andò avanti a lungo.
Morto il misconosciuto uomo, rimaneva l'ignoto segno lasciato, indistruttibile anche per la saetta del temporale.


Non disperdetevi.
Per ognuno di noi che muore, ne sorgeranno altri 100.
Sempre se il numero conta qualcosa.
Non disperdetevi.
Radunatevi e combattete come mai avete fatto.
Nel nome di quello che la Brigata è e di quanto rappresenta.
La lotta prosegue.
Senza quartiere, continua, imprevedibile.
Noi siamo della stessa sostanza di cui son fatti gli incubi.


_________________
Moltogroove
    ...Ducato di Milano...


Si vociferava che Aristotele si fosse un altro Porcello

"....è morto....è morto..."  - Si diceva in giro.
"...Aristotele si è preso un altro Porcello..."   - Cloud non capiva bene di chi si trattasse.
"...In quel di Lezhe il suo corpo ormai senza vita..."   - Continuavano a dire.
"Lezhe? E dove si trova? Ma poi di chi stanno parlando?" - Pensò Cloud.

S'avvicinò al gruppo di persone tristi da cui provenivano le voci.

"Scusate non ho potuto fare a meno di sentire i vostri discorsi, vogliate perdonarmi, la curiosità è un mio gran difetto, chi è morto?" - Chiese Cloud
"Signore, è morto Tergesteo, in quel di Lezhe non si sa cosa sia successo, si sa solo che ora sarà sempre con Aristotele"  - Risposero


    ..Attimi di silenzio, attimi d'incredulità..



Non poteva crederci, colui che era sempre stato per lui un grande esempio di uomo non c'era più, avrebbe voluto incontrarlo altre volte dopo quel piccolo viaggio con lui per il Ducato, le notizie delle sue imprese facevano sempre il giro per tutti i Regni Italici, Cloud aveva sempre desiderato essere come lui...

"...Addio Terge...chissà un giorno..." 


Non sapeva che altro dire, non aveva parole per l'accaduto, ormai era andato...

    ...Per sempre...

_________________
Eriti
Il gelo.
Minuti che sembrano attimi. Attimi che sembrano anni.

Non c'erano parole fra di loro in quegli attimi che potessero esprimere il loro stato.
Quei minuti intercorsi fra la baldoria in taverna, l'arrivo del messo e la lettura di quei fogli parvero battiti di ciglia, mentre ora quegli attimi sembrano anni, pesanti come macigni. Non era più il tempo delle battute. Non era più il tempo di vantarsi dei caduti provocati. Non era più il tempo di parlare.

Prima Clarisse, poi Siria, adesso Tergesteo.

Fantasmi che diventavano Fantasmi, e andavano a trasformarsi della stessa consistenza degli incubi. Incubi che nella notte, eterei come l’aria, avrebbero spaventato gli stolti avventori solitari di terre maledette.
Le loro gesta sarebbero state narrate. Le loro morti distorte. E col tempo il loro ricordo sarebbe diventato leggenda.
In campi di fiori bianchi, si narrerà che durante le notti di luna piena appare il fantasma di una dama, di bianco vestita, che invita i viandanti a raggiungerla, e di loro ne spariscono per sempre le tracce.
Durante assalti a castelli e municipi, si narrerà che nella concitata marcia si potrà vedere al proprio fianco, la figura di una donna coi corvini capelli, che ridendo sparirà dietro le porte dei palazzi. Fortunati coloro che l'avvisteranno, si dirà che chi la vede, avrà la riuscita dell’assalto.
Infine, si narrerà, che nelle strade solitarie, quando la desolazione ti circonda, sarà possibile vedere un uomo che solitario attende. Alla domanda di cosa ci fa in quel luogo, risponderà “Attendo la mia Follia, alla ricerca del mio ultimo assalto”. Coloro che lo vedranno, saranno così attratti da tale carisma, che lo seguiranno sparendo con lui nella nebbia.

Erano stati pochi i momenti in cui Eriti ebbe modo di parlare con lui. Attimi.
Troppo pochi per affermare di averlo conosciuto davvero. Abbastanza da comprendere il peso della sua perdita.

Nella testa una frase riecheggiava:

      Ai Fantasmi comando : non disperdetevi.
      Per ognuno di noi che muore, ne sorgeranno altri 100.
      Sempre se il numero conta qualcosa.
      Non disperdetevi.


Avrebbe preferito i 3 caduti, agli ipotetici 300.
Chi cade non lascia solo un posto vuoto in lancia. Lascia un posto vuoto nella vita di chi li ha amati, di chi ha combattuto con loro, di chi ha avuto il privilegio di considerarli Fratelli in armi, vuoto che nè in 10 nè in 100 possono colmare.

      Non disperdetevi.


Era tempo che i Fantasmi si riunissero.
Fornovo sarebbe stato un ottimo punto di ritrovo.

E fra le pieghe del tempo li avrebbero rincontrati, in fondo erano fatti della stessa materia di cui sono fatti gli incubi, e gli incubi, si sa, sono immortali.
Li avrebbero trovati alla fine di quella che era chiamata vita ad attenderli, e di nuovo insieme sarebbero andati alla ricerca di una nuova avventura.
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