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a caccia di Fantasmi

Ilsebill
Montevarchi è una città molto tranquilla, con un grande frutteto, prezzi bassissimi-Ilsebill da quando è entrata nella repubblica fiorentina sgrana gli occhi al vedere quanto poco costa tutto, il mais, la carne, il pane, in compenso gli stipendi sono bassissimi e trovare uno che paghi più di 15 ducati è una rarità. Non che le importi: lei sotto padrone non lavora, ha una barca e una scala, e sceglie sempre le risorse cittadine che le permettono di avere ogni giorno cibo fresco.
Ieri è stato difficile trovare qualcuno che comprasse le sue merci, aveva una fame da lupi ed è stato solo pregando cortesie che è riuscita a vendere un tronco di legno per pagarsi il cibo.
In compenso ha incontrato e conosciuto un po' di gente locale, compresa una curiosa gran signora bionda. La quale, dopo aver sorriso con condiscendenza a sentire Ilsebill negare qualsiasi problema di litigio coi colori, le propone di diventare la sua dama di compagnia, o eventualmente la sua guardia del corpo.
Ilsebill non avendo orgoglio non si sente offesa, ma è estremamente perplessa.
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Manntje, Manntje, Timpe Te,
Buttje, Buttje in der See,
myne Fru de Ilsebill
will nich so, as ik wol will.
Memnone
Navigo
qualche volta
tra i fantasmi del passato.

Lievitanti e sfuggenti
ricordi pacifici
che metafisicamente
si trasformano in incubi
per volere del male
che mi attanaglia
tra le sue dita inquietanti
sporche di sangue raffermo
sotto le unghie appuntite.

Fantasmi di tempi lontani,
di presenti in fuga,
di futuri nascosti
.



Le lenzuola intrise dal sudore che grondava dal suo corpo non erano una novità. Da mesi ogni mattina il suo risveglio era il medesimo, ciò non era dovuto al caldo afoso dell'estate che ancora doveva venire ma all'incubo che costantemente lo accompagnava durante le sue inquiete notti. Aveva avuto la certezza che quel terribile sogno rispecchiasse la realtà senza mai farsene una ragione, a lungo si era ingannato chiudendosi in un mesto silenzio.

Quel giorno si alzò come al solito stravolto, si avvicinò al catino colmo d'acqua ghiacciata e, dopo essersi rinfrescato, si soffermò ad osservarsi davanti lo specchio. Le cicatrici delle ferite riportate in guerra erano la prova tangibile del suo passato, seguì con il dito l'orlo rossastro che dalla spalla scendeva lungo il torace, sospirando pensò che ciò che riusciva a vedere e toccare nulla era in confronto a quello che si celava sotto, nel profondo dell'animo. Lì la ferita sanguinava ancora, dolorosa più che mai.

Si voltò di scatto verso la finestra, il rumore di un carro che passava per la via lo distolse dai suoi pensieri, si affacciò, un corpo coperto da una grossolana tela veniva portato alla sua ultima dimora. Uno scrupolo lo sopraffece, come aveva potuto lasciare Liriel sola a Roma? Come non gli era venuto in mente che sarebbe stato più opportuno accompagnarla, malata com'era, invece di lasciare che affrontasse in tutta solitudine il viaggio verso il suo ritiro dalle suore gaetane? E poi, loro l'avrebbero accudita nel migliore dei modi?

Senza perdere altro tempo si vestì, dopo aver caricato il suo carro di merce, che proprio a Gaeta avrebbe dovuto portare, si mise in cammino senza indugiare oltre, rimurginando tra se un'unica frase.

I fantasmi esistono, li creiamo noi, siamo noi i fantasmi.
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Leenie
Liturgia della ore – parte VI
Nona


Al rintocco della campana per la preghiera dell’ora Nona, Liriel alzò per un attimo gli occhi dal libro.
Erano passati diversi giorni, tutti uguali e tutti tediosi, la febbre era venuta e se n’era andata nuovamente senza significativi miglioramenti o peggioramenti.

A quell’ora di solito la accompagnavano fuori.
L’ora d’aria come i vecchi o i carcerati.
Avrebbe preferito appartenere alla seconda categoria, ma con la coperta sulle ginocchia e lo scialle sulle spalle, era invece molto più assimilabile alla prima.

Quel giorno nel giardino ombroso e quieto si stagliavano sul fondo due figure scure. Due uomini, le cui sembianze le erano ben note, e che la fecero sobbalzare.

Chissà perché molti di noi, per un verso o per l’altro sono soliti vestirsi di nero, o di grigio.

Questo l’incongruo pensiero in quel momento. Nero e grigio erano i colori della Brigata Fantasma, che invero non richiedeva una divisa, ma che molti di loro finivano per adottare nel proprio abbigliamento, ognuno per motivi propri. Per lei il nero significava portare il suo lutto più grande, quello che non era riuscita a superare, ma se ne aggiungevano sempre di nuovi a darle un motivo in più: Siria, Dean, ora Tergesteo, c’era sempre qualcuno da ricordare.
Invece ora, per distinguersi dalle monache, continuava a portare l’abito giallo indossato al matrimonio di Petrus.

Ed era proprio Petrus quello comparso in fondo al giardino, insieme ad un altro volto conosciuto, Memnone. Le si avvicinarono ad ampie falcate, poi arrivati vicino la salutarono, ciascuno a modo suo: Memnone con un lieve abbraccio. Petrus appositamente con un elaborato inchino, uno di quelli a cui non era in grado di rispondere in maniera appropriata. Stavolta si sentì legittimata a non fare nulla, vista la difficoltà ad alzarsi.

Liriel, siamo venuti a salvarti dalla torre, come nelle favole, hai ben due principi azzurri a tua disposizione!

Petrus mentre le parlava rideva, ma le sembrò di cogliere un barlume di preoccupazione nel suo sguardo. Memnone invece era rosso in faccia e pareva ancora più preoccupato.

Scusaci per non essere venuti prima, e per non averti accompagnato.

Una calda ondata di sollievo la attraversò.

Quando partiamo? Godremo finalmente dell’ospitalità del signor Conte?

Naturalmente madonna, partiamo appena siete pronta.


Solo a sentire queste parole, Liriel si sentiva già meglio.
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Ilsebill
Inizio maggio, che spettacolo le sere che cominciano ad allungarsi, e il momento successivo al tramonto, quando il cielo è di un blu particolare, indescrivibile a parole.
La notte scende pian piano, luminosissima per la luna piena, il cielo diventa cupo e le cime degli alberi dei frutteti argentee. Le nuvole si stagliano grigio acciaio sul blu nerastro, simili a fantasmi, a brandelli di lana grezza incapaci di coprire adeguatamente le stelle.
Ci sono sere, quando ci si trova soli, che sembrano essere uno spettacolo del creato, una consolazione per la solitudine, un'opera d'arte splendida creata per noi. Forse è perché la compagnia occupa la nostra attenzione, deviandola dalle meraviglie naturali che ci circondano.
Fa ancora freddino la sera ma Ilsebill resiste lo stesso sdraiata in mezzo al frutteto, avvolta nel suo coprispalle di lana svizzera, nero come il cielo. Le nuvole prendono strane forme davanti ai suoi occhi assonnati, non bastano le ombre della notte a rendere la vista più opaca, ora ci sono anche quelle della stanchezza.

Quella che stella sarà? Gli è quel lì lo Gran Carro? O Orsa, come se chiama? Che poi, mai non l'ho capito, che c'entrino i carri colli orsi. O è carro o è orso, s'ha da decidere.
Quelle nuvole lì mi paion na vesta d'una femina elegante, d'una signora.
Quello mi par lo manto d'un guerriero che avanza colla spada tratta...


Un brivido, il ricordo delle ferite di guerra. E poi un sorriso, il ricordo di un emblema.

Pare proprio lo stemma de la Brigata...

Chissà se Hasbra l'è arrivato. Farem bene a ripartire noi pure, e andar più vicini a li altri Fantasmi...


E così si riscuote, si alza, e torna verso la città a cercare il compagno di viaggio, certa che sia in qualche bettola malfamatissima a tentare di convincere un malcapitato avventore di cose assolutamente assurde, per esempio che siamo nel 2011, che le persone che usano poche vocali nel parlato lo fanno per risparmiare tempo e non perché sono olandesi, esistono dei carri con ruote che si muovono da sole, e che non siamo noi a parlare bensì degli omini nascosti nella nostra testa a scrivere ciò che noi pensiamo e diciamo.
Ilsebill ride di gusto a queste buffissime idee mentre le sue scarpe fanno un rumore leggero leggero sui ciottoli della strada.
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Manntje, Manntje, Timpe Te,
Buttje, Buttje in der See,
myne Fru de Ilsebill
will nich so, as ik wol will.
Memnone
La lunga distesa di dune che dalla costa scivolava verso il mare aperto si notava ancor prima della città. Cinta ai suoi lati da due promontori, la spiaggia di Serapo, annunciava ai viaggiatori l'arrivo a Gaeta. L'alba stava già lascinado il passo al tiepido mattino, solo il tempo necessario per trovare una locanda dove sistemarsi e si sarebbero messi alla ricerca di Liriel.

Non era poi così difficile immaginare dove, in quella città, una donna sola e malata avesse potuto trovare rifugio se non allo Stabilimento della Santissima Annunziata, luogo edificato proprio per il ricovero di malati, poveri e bambini abbandonati. Memnone e Petrus, senza indugiare oltre, si diressero a piè spedito verso il lungomare, una piccola piazzetta si apriva sul lato destro svelando la facciata della chiesa da cui proseguiva un lungo muro di cinta innalzato a protezione della quiete monacale.

Un piccolo pertugio si aprì sul grande portone ligneo al loro bussare e, dopo aver spiegato il motivo della loro visita, i due furono accompagnati da una corpulenta monaca verso i grandi giardini dove, seduta con uno scialle sulle spalle ed una coperta sulle ginocchia, la loro amica era intenta a leggere un libro, il suo colorito era smunto più che mai e sul suo volto s'intravedeva una grande tristezza.

Si avvicinarono a lei a grandi falcate riuscendo a rubarle un sorriso di sollievo non appena li riconobbe. Memnone abbracciò affettuosamente l'amica, non nascondendo una strana sensazione di disagio e preoccupazione nel trovarsi in quel luogo. Anche Liriel sembrava impaziente di lasciare quel luogo al più presto.

Quando partiamo? Godremo finalmente dell’ospitalità del signor Conte?

Disse rivolgendosi ai due.

Naturalmente madonna, partiamo appena siete pronta.

Ancora qualche ora, il tempo di concludere alcuni affari che Memnone doveva sbrigare in città, e avrebbero inizito insieme il viaggio verso Pontecorvo.
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F.petrus
"Finalmente potrai godere del riposo in un letto degno di tal nome. Allora sei contenta?"

Ferenç Petrus accompagnava, o meglio, sosteneva Liriel nel tragitto fra la stanza del convento in cui era ricoverata e la carrozza che li aspettava sul cortile. Cercava di essere il più allegro possibile, alternando prospettive fabulistiche a motti goliardici, sicuro del fatto che lasciar trapelare la sua inquietudine o, ancor peggio, i suoi sensi di colpa per la condizione di Liriel, non avrebbe fatto altro che peggiorare le condizioni di salute della malata.
L'amica, aggrappandosi al suo braccio con discreta tenacia, rispose con un mezzo sorriso.


"Sarà meraviglioso avere Samiro a distanza di sicurezza. A dire il vero... ho visto fin troppo il letto ultimamente."

"Quando ti senti in forze puoi alzarti ed andare in giardino. Sappi che però non ti farò scendere le scale da sola! Ogni volta che le percorro, rischio io stesso di scivolare e rovinare giù per la rampa, per quanto sono erti quei dannati gradini!"

Coadiuvato da Memnone, aiutò Liriel a sollevarsi e a sistemarsi sulla carrozza. Si permise un'ultima ironia.

"Liriel, ti ho già detto che sei molto elegante con questo vestito e che al matrimonio sei stata splendida? Dico sul serio, ti dona molto. Però sarà il caso di lavarlo, quando arriveremo a Mignano."

Le sorrise di nuovo, poggiandole una mano sulla spalla.
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Leenie
Liturgia della ore – parte VII
Vespri


La carrozza ondeggiava, cullandola nel sonno.
Quando l’avevano caricata in carrozza le avevano dato un guanciale e una coperta e lei, stremata e fiaccata dalla febbre che saliva si era addormentata quasi subito. Ora sperimentava quella sicurezza, nel dormiveglia, che provano i bambini ad addormentarsi durante un viaggio, nella certezza che i genitori veglieranno sul loro sonno e non potrà accadere nulla di male. Era una bella sensazione, sentiva su di sé lo sguardo attento e preoccupato degli uomini che l’accompagnavano.

Anche Samiro si era unito inaspettatamente alla comitiva ma doveva essere montato a cassetta, perché la sua voce non la raggiungeva.
Sentiva invece gli altri due che parlottavano.

E ora che facciamo?

Calmati, ci prenderemo cura di lei, vedrai che starà bene. Ho già dato disposizione per andare in cerca del miglior cerusico della zona e di portarmelo, a forza se necessario. Tu piuttosto, non vuoi tornare a casa, da tua moglie?


Una lunga pausa.

Non finché non sarò certo che starà bene. Non avremmo dovuto lasciarla andare sola.

Quel che è fatto è fatto. Ora preoccupiamoci di sistemare le cose.


Dopo un po’ il moto della carrozza si era arrestato e si erano aggiunte altre voci, indistinte.

Eccellenza, lasciate stare, ce ne occupiamo noi… E va bene, come volete voi.

Sì, il cerusico è già arrivato, vi aspetta di sopra.


Liriel sentiva che veniva sollevata a braccia e dopo un po’ che veniva adagiata su qualcosa di estremamente soffice e confortevole.

Padrone, volete fare la cortesia di uscire? Le mettiamo una camicia pulita. Poi credo che voi e il dottore possiate entrare.

A quel punto Liriel perse il filo e quel barlume di coscienza che ancora le restava e per molto tempo non percepì più nulla, ripiombando nel sonno.
Non avrebbe saputo dire quanto aveva dormito, ma quando si riebbe un uomo anziano dalla’spetto gentile le sorreggeva la testa e le accostava alle labbra una tazza da cui proveniva un forte odore di erbe. Il sapore era disgustoso.

E allora?

Non temete, l’artemisia farà il suo lavoro, non ha mai fallito, Eccellenza.

Si rimetterà?

Sicuro, deve solo berlo due volte al giorno per una decina di giorni, gli attacchi di febbre si faranno meno intensi fino a scomparire, e allora non avrà che da riposare per rimettersi in forze. Ah, ma siete sveglia? Su bevete, vedrete che vi farà bene.


Liriel obbedì, poi richiuse gli occhi. Sentì che qualcuno le scostava dalla fronte i capelli e vi passava qualcosa di bagnato. Lontano, un campanile rintoccava i Vespri.
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Samiro
"Che noia..."

Furono le parole che pronunciò Samuele mentre osservava le poche nuvole che coprivano la luce del sole, accarezzandosi la barba incolta.
Si stava addormentando steso sul prato, quando il suo sguardo si poso su un ramoscello poco distante il quale vi era uno strano insetto verde eretto sulle zampe posteriore, immobile e con le zampe anteriore giunte come se stesse pregando.
Poco distante da esso, vi era un altro insetto simile, ma più piccolo, intento nel muoversi con estrema delicatezza, guadagnava centimetro dopo centimetro in direzione dell’insetto più grande.
Una volta abbastanza vicino il piccolo insetto salto sul dorso di quello più grande, lo avvolse stringendo le morse anteriore sul petto, mentre con le zampe posteriore si avvinghio all’addome.
Samuel osservò la scena stupefatto, il tempo si fermò, tanto era compiaciuto per quello che stava osservando.
L’insetto più grande girò il collo di 360° è strappo il collo del suo compagno, una gran parte del torace presto fini nelle fauci dell’animale, una scena terrificante, l’apoteosi dell’orrore ma allo stesso tempo sublime.
Ciò che stupì Samuele, era che il maschio continuò il suo amplesso amoroso, un vero un automa sessuale di straordinaria efficacia, l’ultimo pegno di dedizione totale verso la compagna.
Dovevano essere passate parecchie ore da quando Samuele aveva incominciato ad osservare quella macabra scena, il sole era sparito, e le nuvole coprivano le stelle.
Samuel alzandosi da terra si guardò attorno portando la mano alla nuca, non riusciva a individuare la strada verso la locanda dove soggiornava.
Intanto lo strano insetto seduto sul ramoscello del melo aveva divorato il suo simile, e con le lunghe tenaglie protese in avanti, parve indirizzare Samiro verso nord.
Samuele spezzo il ramoscello, facendo cadere l’animale a terra schiacciandolo con lo stivale fece un cenno di stizza, e si dileguò nel cuore della notte verso nord, trovando la meta desiderata.
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-Senza parole-
Leenie
Liturgia della ore – parte VIII
Compieta




La Ruota gira e le Epoche si susseguono.
Lasciando ricordi che divengono leggenda.
La leggenda sbiadisce nel mito,
ma anche il mito è ormai dimenticato,
quando ritorna l'epoca che lo vide nascere.
In un'Epoca ancora a venire,
un'Epoca da gran tempo trascorsa,
il vento si alzò proveniente dal mare.
Il vento non era l'inizio.
Non c'è inizio né fine, al girare della Ruota del Tempo.
Ma fu comunque un inizio.


Sovente si ha la sensazione che nulla di nuovo accada, che la vita sia un susseguirsi di corsi e ricorsi, una ruota che gira perenne senza fine e senza scopo.
Quando si svegliò Liriel vide la luce ondeggiante di una candela e si trovò distesa in un letto. Come la prima mattina passata al monastero di Gaeta, ed ebbe precisamente tale sensazione.
Ma qualcosa era cambiato, non era più sola. A fianco al letto stava seduto un uomo, semiaddormentato, che si destò sussultando quando lei lo chiamò, piano.

Memnone…

Oddio, Liriel, mi ero addormentato… sei sveglia? Come ti senti?

Un po’ meglio…


Si passò la lingua sulle labbra secche. Era zuppa di sudore e aveva la gola riarsa.

Aspetta ti do un po’ d’acqua.

Fece per sollevarle il capo, ma lei si tirò su un gomito, fermandolo con un gesto, e gli prese la tazza dalle mani.

Non sono ancora invalida, Mem.

Gli porse di nuovo la tazza, poi si riadagiò contro i cuscini.

Memnone, da quanto sei qui? Quanto tempo è passato? Siamo a casa di Petrus?

Lui riappoggiò la tazza sul comodino., si risedette e attaccò:

Calma calma, non ti agitare che ti risale la febbre. Siamo qui da meno di un giorno, è quasi mezzanotte e sì, è casa di Petrus. Sono qui da meno di un’ora, gli ho dato il cambio. Le cameriere strillavano come matte, ma lui ha detto che non si fidava di loro per starti vicino e ha insistito a vegliarti di persona. Quando la testa ha cominciato a ciondolargli, mi sono offerto di dargli il cambio, vedi bene con che risultato…

Lei ridacchiò.

Solo qualche ora? La febbre è durata meno del solito.

Sì? Be’ il medico che ti ha visitata sembrava sapere il fatto suo. Come ti senti ora?

Un po’ stanca. Ma nel complesso meglio del solito. E ho fame.

Non siamo riusciti a farti mangiare, ma l’appetito è un buon segno. Aspetta, vedo di farti portare qualcosa. Una cosa mai vista, ci sono servitori dappertutto qui…


Si alzò, andò alla porta e lo sentì parlottare con qualcuno. Quando rientrò nella stanza, Liriel si decise a porgli una domanda che le frullava nella testa.

Mem? Che ci fai ancora qui? Perché non sei andato a casa?

Volevo assicurarmi che stessi bene, prima di ripartire. Ho già visto troppi compagni morire senza che potessi fare nulla…

Che sciocco che sei! Io non ho la minima intenzione di morire. Però… grazie per essere venuti a prendermi. Ma ora c’è Petrus, e c’è Samiro. Quando Tiwaz tornerà lo sai che ripartiremo, non ti resta molto tempo da passare a casa. Vai a casa, io starò bene, lo prometto. Io stessa se potessi stare con mio marito, sarei partita… Appena in forze, passeremo a prenderti, andremo incontro a Tiwi e andremo a Fornovo a salutare... Tergesteo.


Indugiò con fatica sul nome. Si voltò a guardarlo, interrogativa.

Memnone?

Il viso di lui era in ombra, e la luce della candela ondeggiava, mossa da uno spiffero proveniente dal mare.
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Samiro
Il sole sorgeva alto in cielo, per Samuele un nuovo giorno stava per iniziare.
Si alzo dal letto con la solita voglia di fare, fece le solite cose nello stesso ordine di tutti i giorni, nella medesima maniera, prese la colazione che gli veniva lasciata fuori dalla porta e la consumò in solitudine.
Una volta uscito fuori dalla stanza, in assenza di ordini, sapeva che era libero di occupare il tempo come meglio credeva cosi prese la via che lo portava al frutteto, sfruttando la sua stazza fu estremamente semplice poter afferrare il frutti che più lo ingolosivano, una volta riempita la sacca andò a consumarli in un luogo appartato.
Si portò a poche centinaia di metri dal frutteto, vicino alla strada che portava fuori Pontecorvo, nascosto dalla Kaffekvarn vegetazione e coperto dal sole, Samuele iniziò ad azzannare le mele con la voracità di un lupo affamato.
L’unica cosa che disturbava Samuele erano i pochi viandanti lungo la strada, e tra un morso e l’altro, origliava i loro discorsi e comprendeva il loro modo diverso di esprimersi.
Samuele notava come i loro discorsi erano più fluidi, comprensibili ai loro pari, cosi Samiro iniziò il tentativo di riprodurre i vari suoni e le parole come facevano i viandanti lungo la strada.
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-Senza parole-
Ilsebill
Diversamente dal solito, oggi Ilsebill chiacchiera molto col suo compagno di viaggio. E' allegra, ridacchia e gli tira gomitate mentre gironzolano per le strade di Montepulciano.
Sai Lon, una dele cose che più mi aveva dato gran piasere, a parte de processar l'Imperadore, era stata successa a Venezia. Gli era un ministro delle opere faraoniche che, pure non essendo prefetto, m'aveva detto che non potevo entrar a la capitale, sto Don Cancaro d'un Cancaro. Allora io che ci ho fatto, ho andata per le bettole più messe male e chiedendo lor informazioni, m'han dit che ancor lo esercito s'era ritirato ne le mura interne de la città e alora ai passanti non c'avevan timore di perder la vita.
E pian pian di soppiatto son entrata a Venezia lo stesso e per la gran sodisfazione de averci beffato la dogana, non c'ho manco avuto bisogno de magnare molto perché già sentivo la panza piena e tesa di contentezza.
Era tantissimo tempo che lo volevo rifare, che dici, te piace che abbiam andati qui senza permessi? Forse non servivan pure... ma fa lo stesso! L'importante è non girar uffici de dogane e aver la pelle attaccata ai ossi!

Lon non sembra così entusiasta, magari pensa che essere incoscienti possa dare problemi, ma Ilsebill se ne infischia e continua a ridacchiare tutta contenta. A un certo punto passando per un banchetto del mercato tira una gomitata più forte a Lon e poi urla al proprietario di un banchetto di frutta:
Brav'omo, un sorcio! Un ratto un topo! Lì sotto! AAAAH!! L'è grosso come un gatto!
Il povero fruttivendolo si china, nel frattempo Ilsebill continuando ad urlare indietreggia, urtando un passante, che a sua volta urta un altro banchetto dall'altra parte della strada gettando a terra una buona quantità di verdura; il fruttivendolo, distratto, si rialza per capire che succede e sbatte la testa sul banchetto, rovesciando pure lui qualche frutto; Ilsebill continua a gridare che vede topi in giro, correndo e sbattendo contro tutti i banchetti, e in cinque minuti si è creato l'inferno, tutti cercano queste dannate pantegane mostruosamente grandi, le donne strillano sollevandosi le gonne, qualche uomo ne approfitta per sbirciare con la scusa di guardare sotto i banchetti, qualche fifone e fifona salta in mezzo alla frutta per non incontrare i topi, buona parte delle merci cade a terra.
A questo punto Ilsebill si riavvicina a Lon, che è rimasto in disparte, e sorridendo innocente gli offre una mela mentre lei ne sgranocchia un'altra, invitandolo a svignarsela in fretta.
Ah quanto me son divertita!
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Manntje, Manntje, Timpe Te,
Buttje, Buttje in der See,
myne Fru de Ilsebill
will nich so, as ik wol will.
Ilsebill
Altri lunghi giorni di marcia sono stati, quelli da Montepulciano agli Abruzzi.
Tanto che Ilsebill ha spesso rimpianto d'aver lasciato la città del vino in taverna: va bene, lei non avrebbe avuto i soldi per comprarselo, ma che importanza ha? E'l'idea che conta.
L'incontro con l'Abruzzo non è stato molto buono, Ilsebill odia le dogane ma, visto che la prima città a cui si arriva è proprio la capitale, è andata controvoglia a informarsi. Queste dogane dei nostri tempi sono micidiali: hanno succursali dappertutto e ci si arriva ovunque si trovi, sono peggio della maphia.
Indisciplinata com'è, la vagabonda è entrata fregandosene della fila e dicendo che avrebbe volentieri assaltato il castello ma non aveva tempo, quindi se per cortesia le rilasciavano il permesso che si faceva prima. Il tizio della dogana le si è rivolto con un "Messere, vi concederò il lasciapassare a data ravvicinata al vostro arrivo."

Adesso lei e Lon stanno facendo il giro lungo. Non entreranno in capitale, andranno direttamente alla città successiva. Tagliacozzo, pare si chiami. Chissà se troveranno notizie degli altri.
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Manntje, Manntje, Timpe Te,
Buttje, Buttje in der See,
myne Fru de Ilsebill
will nich so, as ik wol will.
Samiro
Samiro aveva iniziato la giornata con il piede sbagliato, appena uscito dalla taverna pestò una grossa cacca fumante, il tutto lo irritò fino a incupirsi più del solito.
Finalmente giunta la sera, entro in una delle tante taverne sperando di potersi rilassare bevendo una buona birra, in attesa di riunirsi assieme agli altri.
Appena apri la porta notò che la locanda era più affollata del solito, abbassò il capo per nascondere il viso sfruttando la folta barba e sciogliendo i lunghi capelli portandoli in avanti, camminando ai lati della taverna cercò di passare inosservato agli occhi dei presenti, ma il tentativo fu vanificato dai suoi modi goffi nel districarsi tra i tavoli urtò una sedia facendola cadere a terra, attirando l’attenzione su di se.
Subito la taverniera si avvicino a Samiro aiutandolo a raccogliere la sedia, e gli fece strada al tavolo facendolo accomodare in un angolo dando le spalle a tutti i presenti.
Samuele mentre sorseggiava birra, non riuscì a fare a meno di ascoltare le chiacchiere, troppe, di un abitante del luogo.
Con la coda dell’occhio Samuele scrutava i suoi movimenti, lo irritavano, portava una rosa rossa sull’occhiello del gilet marrone, parlava, straparlava, di fronte a lui una donna dai capelli nero corvino, li guardava disgustati amoreggiare.
All’improvviso Samuele si alzò intimandolo di fare silenzio con tono di voce irritato, l’uomo si rifiutò, cosi Samiro prese l’occasione per dare impulso ai suoi desideri, sfidando l’uomo di fronte a quella che forse poteva essere la sua donna.
Lo sfidante accettò senza esitare, diede a Samiro la possibilità di scegliere il luogo e il giorno, basta che l’incontro si disputasse a mani nude.
Quelle parole furono musica per le orecchie di Samuele, cosi accettò le condizioni, e diede ordine che l’incontro si potesse disputare in lizza il giorno seguente.
Sorseggiò l’ultimo goccio di birra, e lanciò un’occhiata carica di disprezzo verso i presenti.
Il giorno seguente Samuele si recò nella foresta, sedendosi a terra incrociando le gambe, invocava improbabili dei chiedendogli a loro l’aiuto affinchè uscisse vincitore della sfida.
La sera calò in fretta, la lizza era gremita di persone che invocavano il nome del loro compaesano un certo “Ilcaravaggio” poco importava a Samuele, era sicuro di come sarebbe finito il tutto e guardando quella donna che stringeva tra le mani la rosa rossa del gilet del suo avversario, si intravide dipingersi un sorriso amaro.
Il silenzio si impadronì dell’arena, l’incontro era iniziato e gli dei parvero avere voltato le spalle a Samuele, Ilcaravaggio fù il primo a colpire l’avversario in pieno volto.
Samiro sputo a terra, saliva misto sangue, e mentre Ilcaravaggio si apprestò a colpire nuovamente, gli dei guardarono con sguardo benevolo Samuele, che subito afferrò il braccio dell’avversario e colpendolo più volte con un impeto di odio e ferocia lo lasciò steso al suolo privo di sensi.
Uscendo dall’arena Samuele buttò l’occhio qua e la, tra le persone sedute in arena, non vi era nessun viso familiare si incupì ma era soddisfatto di ciò che aveva appena lasciato alle spalle.

http://img684.imageshack.us/img684/697/samirovscaravaggio.jpg
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-Senza parole-
Memnone
Rimase in silenzio mentre lei insisteva a chiamarlo. Con lo sguardo fisso continuava a guardare l'amica stesa sul letto mentre la sua mente vagava altrove, sorda ai suoi richiami, rapita dalla fiamma ondeggiante della candela.

Perchè non sei andato a casa? Passeremo a prenderti... andremo a Fornovo a salutare... Tergesteo...

Le parole di Liriel continuavano a martellargli il cervello vuotandolo da ogni altro pensiero rincorrendosi, come un cane che si morde la coda, in un vortice di ricordi. In quell'istante avrebbe voluto avere ciò che solo l'Altissimo possiede, il dono dell' ubiquità. Avrebbe voluto onorare contemporaneamente i doveri che era tenuto a mantenere, occuparsi dei suoi cari che aveva lasciato a Sora e nello stesso tempo star vicino ai suoi amici di brigata nell'attesa di accompagnare all'ultima dimora colui che gli aveva fatto conoscere una nuova vita, incontrare nuovi amici, trascinandolo in un entusiasmante avventura ma allontanandolo inevitabilmente dalla sua casa, dai suoi affetti, dalla sua amata moglie.

Tornò in se...

Hai ragione Liriel, ti lascio in ottime mani, Petrus non ti farà mancare sicuramente nulla, il medico che ti ha in cura sembra molto preparato, tutta questa servitù sarà di certo in grado di soddisfare ogni tua esigenza e poi c'è anche Samiro. E' ora che torni a casa prima di prepararmi per il lungo viaggio che renderà degna sepoltura al nostro... amico.

Non se la sentiva di pronunciare quel nome, ancora una volta voleva negare la realtà. Si avvicinò all'amica stringendola in un abbraccio, non troppo forte viste le sue ancor deboli condizioni. Si avviò verso l'uscio, senza voltarsi, sperava non dovesse passare troppo tempo dal giorno in cui si sarebbero rivisti.
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Eriti
Era tornata.
Non la vedeva da anni, eppure la moria dei giorni passati attorno a se non lasciava dubbi.
Peste.

Che buffa la vita alle volte.
Volente o nolente riesce sempre a farti fronteggiare un fantasma, che sia del passato o che sia in carne ed ossa.

La stima dei morti a Siena era una quarantina, ma a Soliera?
Non lo sapeva, aveva mandato immediatamente un messo tramite nave ad informarsi, ma almeno qualche giorno avrebbe impiegato per arrivare, controllare la situazione e tornare. E nel mentre sperare di non contrarre il morbo.

Dalla finestra dell'ufficio che occupava, osservava le terre di Siena, mentre la sua mente vagava fra ricordi e pensieri.
Si rivedeva bambina piangente che non voleva separarsi dalla madre per scappare alla peste.
Pensava ai parenti delle vittime che quella strage aveva fatto.
Ricordava quanti più volti possibili dei Solieresi, e sovrapponeva quei pianti che ora vedeva a Siena a loro. Quanti di loro non avrebbero ricevuto degna sepoltura? Sperava pochi, cercava di convincersi di quei pochi, ma anche la speranza alla fine muore, e dentro di se, già si preparava al peggio.

Aveva sperato per giorni di rivedere qualche fantasma, ma non quello che le si era parato di fronte ora.
Non erano quelli i Fantasmi che cercava.
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